2023-11-16
Altro fronte di tensione. La pace in Etiopia appesa alla sorte degli Amhara
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E’ passato appena un anno dal cessate il fuoco dove il governo federale metteva la parola fine alla guerra che per due anni e mezzo aveva devastato il Tigray e minacciato la capitale Addis Abeba. Ma già ad agosto la situazione è tornata a degenerare.L’Etiopia resta senza pace e rischia di scivolare ancora una volta nella guerra civile. E’ passato appena un anno dal cessate il fuoco siglato a Pretoria dove il governo federale di Abiy Ahmed metteva la parola fine alla guerra che per due anni e mezzo aveva devastato il Tigray e minacciato la capitale Addis Abeba. Già nella scorsa primavera in Amhara, la seconda regione più grande dell’Etiopia, erano però iniziati gli scontri fra i militari governativi e le milizie locali chiamate Fano che in amaricò significa combattenti per la libertà. Ad agosto la situazione era degenerata ed i miliziani avevano preso il controllo della principali città della regione e di due aeroporti. Questa volta non c’era nessuno a fare da cuscinetto fra gli Amhara e la capitale federale Addis Abeba ed il premier Abiy Ahmed aveva subito reagito con forza. Le truppe federali erano calate nella regione ed in pochi giorni avevano ripreso il controllo dei centri principali, ma la guerriglia serpeggia ancora nelle campagne. Ahmed, premio Nobel per la Pace 2019 per aver messo fine al trentennale conflitto con l’Eritrea, ha dichiarato lo stato d’emergenza e bloccato internet per settimane. Oggi una fragile tregua è la fotografia della situazione con la tensione che resta nell’aria. Lasciando Addis Abeba spariscono le divise della Forza di Difesa Nazionale Etiope, l’esercito federale, e iniziano ad apparire le milizie di etnia Oromo, la prima regione che si attraversa lasciando la capitale in direzione Amhara. Gli Oromo sono il principale gruppo del paese ed anche il primo ministro appartiene a questa etnia. I checkpoint sono continui e per percorrere 50 chilometri occorrono quasi due ore. Per capire che la regione è cambiata basta guardare le divise della polizia locale e delle milizie che si susseguono sulla strada principale, l’unico collegamento con Addis Abeba. Un giovane ufficiale Amhara che comanda una piazzaforte ha il permesso di parlare. «Potete chiamarmi comandante Elias, ho il grado di capitano ed ho combattuto in Tigray». Le Fano e gli Amhara sono stati determinanti nel conflitto fra le truppe federali ed i tigrini e senza il loro contributo probabilmente il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray avrebbe conquistato Addis Abeba. «Abbiamo raggiunto un accordo con il governo, ma alcuni gruppi Amhara non lo trovano sufficiente- racconta il giovane ufficiale- molti dicono che questo governo sia in mano agli Oromo e che loro vogliono fare un genocidio del nostro popolo. Questa è la nostra terra e noi la difenderemo con forza, siamo il cuore dell’Etiopia». Attorno a lui i suoi soldati annuiscono e applaudono le sue parole, poi cantano un inno tradizionale e salgono sui pick-up. Le divise sono un po’ raffazzonate e anche le armi avrebbero bisogno di essere rinnovate, ma lo spirito resta comunque alto. «Dobbiamo difendere la nostra identità- continua Elias-e anche le province che abbiano conquistato durante la guerra in Tigray, storicamente quella è terra Amhara». Uno dei punti più spinosi della questione sono proprio le province di Wolkait e Raya, dette Tigray occidentale, che I Fano rivendicano per lo loro etnia. «Si tratta di aree agricole particolarmente fertili- spiega Haile Kefeleu un politico locale- che la costituzione etiope del 1995 riconosce al Tigray, ma la storia è diversa. Li hanno sempre vissuto gli Amhara e oggi Addis Abeba ha organizzato un referendum fra la popolazione locale per decidere con chi stare, ma prima devono tornare tutti i profughi Amhara scappati per la guerra». Il secondo punto di difficile soluzione è la decisione del governo centrale di avviare un piano per sciogliere le milizie regionali degli stati federali dell’Etiopia ed assorbirle nella polizia e nell’esercito. «Una mossa che scontenterebbe tutti- continua Hailé Kefeleu - ma con l’armistizio in Tigray del novembre scorso non si è parlato di sciogliere il Fronte di Liberazione del Tigray che resta pesantemente armato. Lo stesso discorso dovrebbe valere anche per le milizie di etnia Oromo, ma invece a noi sembra che sia stato preso di mira soltanto il popolo Amhara». Abiy Ahmed dovrà lavorare molto per trovare un accordo che non favorisca nessuna etnia nel complesso mosaico che compone il suo paese. «Cercheremo la via politica- conclude Kefeleu- ma gli Amhara sono stati fedeli a questo governo e non hanno avuto niente in cambio, la fiducia è calata ed adesso va riconquistata con i fatti». L’Etiopia è un gigante regionale e la sua stabilità serve a mantenere un equilibrio nel Corno d’Africa, una delle regioni più instabili del continente africano. Ad Addis Abeba c’è anche la sede dell’Unione Africana, un edificio donato dalla Repubblica Popolare Cinese, e sono tante le potenze orientali ed occidentali che corteggiano il grande paese africano, compresa l’Italia che ha invitato Abiy Ahmed a Roma nel febbraio scorso, mentre Giorgia Meloni è stata ad Addis Abeba in aprile ritenendo l’Etiopia uno dei protagonisti del piano Mattei.
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)
Francesca Albanese (Ansa)