2022-09-30
Altro che tetto Ue al prezzo del gas. In Germania piano da 200 miliardi
Olaf Scholz annuncia uno scudo straordinario anti rincari, mentre Bruxelles da mesi discute di riforma del Ttf e di limiti soltanto sulle importazioni russe. Telefonata fra Mario Draghi e Giorgia Meloni, che chiedono una linea comune.Industriali d’oltralpe contro il price cap spagnolo. Volkswagen studia delocalizzazioni nella penisola iberica.Lo speciale contiene due articoliIl governo tedesco rompe gli argini e decide di introdurre uno scudo del valore di 200 miliardi di euro per difendere famiglie e imprese dai prezzi dell’energia impazziti. Mentre in Italia si cercano gli spiccioli tra le righe della Nadef e la sola parola «scostamento» provoca reazioni scomposte, la Germania avvia un suo piano. Di fatto, il governo di Berlino pagherà l’energia per conto dei cittadini e delle imprese. Come? Mettendo sul tavolo 200 miliardi di euro di debito nuovo di zecca. Da Bruxelles e da Francoforte non sembrano esserci state particolari reazioni, che invece di solito, appena Roma sussurra qualcosa, giungono rapidissime e severe. Matteo Salvini, in un tweet, ieri ha osservato: «Urge intervenire anche in Italia, altrimenti le nostre aziende non potranno più competere e lavorare».Olaf Scholz, affiancato da Christian Lindner, ministro delle Finanze, e da Robert Habeck, ministro dell’Economia, ha presentato ieri il suo piano, che prevede un freno ai prezzi di energia elettrica e gas per famiglie e piccole e Pmi. Non sono stati forniti dettagli sul funzionamento di questo dispositivo, che dovrebbe entrare in vigore entro dicembre e restare fino alla primavera 2024. L’Iva sull’energia sarà ridotta dal 19 al 7% e saranno incentivate le fonti rinnovabili e i rigassificatori. Le due centrali nucleari che dovevano essere adibite a riserva resteranno in pieno esercizio. Le misure saranno finanziate attraverso un fondo di stabilità, già utilizzato per salvare Lufthansa, con l’emissione di titoli di debito pubblico. Lindner ha detto che la regola del massimo indebitamento (0,35% del Pil) per quest’anno è sospesa, per grazia autoconcessa, e sarà di nuovo applicata nel 2023. L’inverno sarà comunque duro per i cittadini tedeschi, cui l’autorità per l’energia tedesca (Bundesnetzagentur) ha chiesto ieri di consumare meno gas rispetto ai ritmi attuali.Non è un caso che la decisione di Scholz sia stata resa nota ieri, dopo che il gasdotto Nord stream è stato degradato a relitto in fondo al mare e proprio nel giorno in cui è stato diffuso il dato sull’inflazione in Germania, che è arrivata al 10%. Il governo tedesco si sente accerchiato e cerca di reagire. Peccato però che lo zeitgeist di quest’epoca sembri essere improntato soprattutto a un generalizzato si salvi chi può. A giochi fatti, arriva l’appello di Mario Draghi, fuori tempo massimo: «Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi, non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali. Nei prossimi Consigli europei dobbiamo mostrarci compatti, determinati, solidali». Appello alla compattezza anche di Giorgia Meloni, che ieri dopo l’annuncio di Berlino ha parlato al telefono con Draghi: «Serve una risposta immediata a livello europeo a tutela di imprese e famiglie. Nessuno Stato membro può offrire soluzioni efficaci e a lungo termine da solo in assenza di una strategia comune, neppure quelli che appaiono meno vulnerabili sul piano finanziario».Oggi si riuniscono a Bruxelles i ministri dell’Energia degli Stati Ue, che discuteranno la proposta di regolamento della Commissione che contiene la riduzione dei picchi di domanda elettrica, il tetto ai ricavi dei produttori di energia elettrica da fonti non a gas e una tassa straordinaria sui profitti delle compagnie energetiche. Si è parlato di questi temi sino allo sfinimento e quasi certamente il documento sarà approvato oggi per essere poi sottoposto a votazione il 6 ottobre al Consiglio di Praga, tra molti sorrisi e la quasi certezza dell’inutilità delle misure prese.Lo stanco rituale delle riunioni precedute da riunioni cui seguono altre riunioni prosegue anche su un non paper che la Commissione ha fatto trapelare, in cui si argomenta su un nuovo riferimento di prezzo per il gas naturale liquido (Lng) e su un tetto al prezzo del gas russo. Sul primo punto, il mercato olandese Ttf viene considerato non più rappresentativo del prezzo reale delle importazioni di Lng, che oggi pesano per il 33% di tutto il gas importato (+50% rispetto al 2021). La Commissione intende dunque creare un nuovo indice di riferimento, utilizzando i dati che già gli operatori devono comunicare per adempiere alla regolazione europea Remit sulla trasparenza. Queste considerazioni fanno il paio con un precedente documento della Commissione che intende creare un nuovo riferimento di mercato per tutto il gas europeo, riconducendo il Ttf alla sua essenza di mercato regionale tra i tanti.Il secondo punto si riferisce invece all’imposizione di un prezzo massimo per il gas importato via gasdotti dalla Russia. Lo scopo dichiarato è quello di abbassare i ricavi per Mosca. Nel documento si dice che se, a quel punto, Gazprom per reazione dovesse interrompere del tutto i flussi di gas, l’Europa riuscirebbe comunque a far fronte all’inverno grazie agli stoccaggi e alla solidarietà tra Stati membri. Il gas russo pesa ormai solo per il 9% degli approvvigionamenti europei e l’unico gasdotto rimasto attivo è quello che, via Ucraina e Slovacchia, giunge in Italia (circa 40 milioni di metri cubi al giorno, ma in certi periodi, come l’attuale, ridotti a poco più di 20). Dunque, il danno derivante dalla chiusura del gasdotto ricadrebbe quasi integralmente sull’Italia. Nel suo documento, la Commissione è molto scettica, per non dire critica, sull’idea di un price cap allargato a tutto il gas europeo. La soluzione viene giudicata troppo complessa, impegnativa dal punto di vista finanziario e destabilizzante per i mercati. «C’è una forte determinazione da parte di 15 Stati membri» che chiedono l’introduzione del price cap generalizzato e si sente del «nervosismo tra quegli Stati membri», afferma un alto funzionario Ue a Bruxelles. Poiché se ne parla da sette mesi, il nervosismo è giustificato, anche se, va detto, la posizione della Commissione sul tema, per una volta, non è affatto irragionevole. L’Italia è tra i 15 Paesi che con più vigore chiedono un tetto generalizzato, ma l’impressione è che non sarà accontentata.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/altro-che-tetto-ue-al-prezzo-del-gas-in-germania-piano-da-200-miliardi-2658361901.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="madrid-fa-concorrenza-sleale-alla-francia" data-post-id="2658361901" data-published-at="1664477689" data-use-pagination="False"> «Madrid fa concorrenza sleale alla Francia» In principio era il dumping fiscale: con un regime di tassazione ultracompetitivo, ad esempio, l’Irlanda riusciva ad attrarre frotte di imprese sul territorio, in fuga dagli esecutivi salassatori. Qualcun altro puntava sul dumping salariale: è, da sempre, l’asso nella manica dei Paesi dell’Est, il motore delle delocalizzazioni che impoveriscono gli operai in Europa occidentale. Non c’è due senza tre: adesso è giunto il tempo del dumping energetico. Se a Bruxelles, di fronte all’urgenza della crisi, si rinvia qualunque soluzione strutturale al problema degli approvvigionamenti e del costo del gas, le nazioni - almeno quelle più scaltre - agiscono di loro iniziativa. E procedere in ordine sparso comporta degli effetti collaterali: alla fine, gli Stati più svelti fanno concorrenza sui costi dell’energia a quelli che aspettano la Commissione Godot. Grande è lo scompiglio che ha portato, nel Vecchio continente, il price cap che la Spagna, insieme con il Portogallo, ha già adottato da qualche mese, avendo ricevuto il via libera dell’Ue. Lo stratagemma è piuttosto semplice: senza intervenire di forza sulle piazze internazionali, le centrali spagnole comprano il metano al prezzo astronomico che esso ha raggiunto a causa della speculazione. Ma quando lo smerciano sul mercato interno, non possono cederlo a una quota superiore ai 50 euro al megawattora. Chi copre la differenza? La voce «compensazione» nelle bollette degli utenti, le quali, nonostante le lamentele dei cittadini, sono rimaste comunque più basse di quelle pagate dagli altri europei; e i crescenti profitti della vendita di oro azzurro ai vicini francesi, ben lieti di incrementare gli acquisti, viste le tariffe convenienti. Il regime speciale per Lisbona e Madrid dovrebbe valere solo fino al 31 maggio 2023. Ma in questi giorni, proprio dai transalpini, si stanno levando accese proteste nei confronti di questa eccezione iberica. Gli industriali dell’alluminio francesi, in particolare, stanno invocando delle misure per far fronte a quella che considerano una forma di concorrenza sleale, resa possibile dai prezzi relativamente economici dell’elettricità che la Spagna è riuscita a mantenere. Cyrille Mounier, dell’associazione di categoria che riunisce le aziende del settore, lamenta una fuga dei clienti verso la penisola adagiata nel Mediterraneo. Dalla quale, nel frattempo, fanno orecchio da mercante. Il ministro della Transizione ecologica del governo Sánchez, Teresa Ribera, sentita da Euractiv, ha assicurato di non essere affatto al corrente delle lamentele di Parigi, pur avendo ammesso che il price cap interno, «a un certo momento, può comportare un minor costo dell’energia» per le industrie spagnole. Un vantaggio competitivo di cui devono essersi accorti pure in Germania. Già da una settimana, Volkswagen manifesta forti disagi rispetto alla prospettiva di una penuria di gas che, in patria, potrebbe manifestarsi drammaticamente nei prossimi mesi. Meno forniture energetiche e anche più onerose. Uno scenario che, secondo quanto aveva riportato Bloomberg, starebbe persuadendo il gruppo a trasferire parecchie linee di produzione all’estero. E indovinate chi si candida a ospitare i fabbricanti transfughi? Belgio, Portogallo (l’altro Stato che beneficia del price cap straordinario) e, naturalmente, Spagna. Tutti e tre Paesi in cui Volkswagen possiede degli stabilimenti, certo. Ma, almeno nel caso iberico, favoriti da un provvedimento che garantisce un costi contenuti dell’energia. Resta da capire se, dopo le varie interruzioni ai flussi che transitavano attraverso il Nord stream 1, il sabotaggio dell’altra pipeline nel Baltico, piena di gas ma mai mai entrata in funzione a causa dell’invasione russa in Ucraina, sia destinato a dare un’ulteriore spintarella ai vertici della casa automobilistica. È facile, ormai, prevedere un inverno gelido, sia climaticamente, sia dal punto di vista dell’economia. Di sicuro, l’aggravamento dell’emergenza ha dato una sveglia al cancelliere Olaf Scholz: il suo governo ha annunciato un maxi piano da 200 miliardi per calmierare gli aumenti di luce e gas. È la via tedesca al «tetto» interno - insieme con la scelta di nazionalizzare la compagnia petrolifera Rosneft, che poi fa il paio con l’appropriazione, da parte della mano pubblica, in Francia, del gestore Edf. Sono i capitoli del «patchwork» europeo: mentre l’Ue cincischia sul «cap» al solo prodotto russo, le cui importazioni potrebbero essere destinate a una repentina interruzione e che, dunque, rischia di rivelarsi completamente inutile, chi non si limita ad attendere una manna da Bruxelles prova a fare da sé. E l’ammuina non può che sbriciolare ulteriormente quella unità europea che, nei momenti critici, si mostra in modo sempre più evidente come un mero costrutto ideologico. Dietro la retorica della solidarietà, si va inasprendo la cruenta guerra energetica.
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