
L'ultimo anno gli stranieri hanno inviato all'estero 6,2 miliardi di rimesse. E un terzo del denaro in uscita segue canali occulti.Ci dovevano pagare le pensioni. Dovevano svolgere i lavori che noi non vogliamo più fare. Dovevano risolvere la crisi demografica del nostro Paese e magari. Per adesso, però, gli immigrati ci stanno soltanto prosciugando. Quelli che non lavorano stabilmente, spesso si mettono a delinquere: gli stranieri sono l'8,5% della popolazione, ma il 33% dei detenuti che affollano le carceri. Quelli che lavorano, anziché alimentare il mercato interno, spediscono nei Paesi d'origine parte dei loro redditi.Nel 2018, secondo i dati diffusi da Bankitalia, c'è stato un vero e proprio boom delle rimesse spedite all'estero dalle presunte «risorse»: 6,2 miliardi di euro, un improvviso aumento del 20% su base annua. Tanto per farsi un'idea: quella cifra è pressoché equivalente al costo del reddito di cittadinanza per il 2019. Solo che la «cittadinanza» è quella straniera. L'ammorbidimento della legge Fornero con la famosa quota 100 vale addirittura di meno: quest'anno, circa 5 miliardi e mezzo. Pro capite, l'ammontare delle rimesse non è da capogiro: ogni immigrato impegna sui 1.200 euro. Ma ogni goccia fa il mare. E il mare è diventato un oceano. Quello delle rimesse, dunque, è un business enorme. Un business per tanti (dai money transfer ai mediatori informali, come vedremo), tranne che per il nostro Paese, che in dieci anni si è visto sottrarre 66,4 miliardi di euro. Le rimesse, infatti, erano cresciute ininterrottamente dal 2008 al 2011, toccando un picco di quasi 7 miliardi e 400 milioni in un solo anno. Poi, la diminuzione, fino al minimo di 5 miliardi del 2017. Infine, lo scorso anno, la nuova esplosione. E, come volevasi dimostrare, tra gli stranieri più generosi con le loro famiglie ci sono stati quelli che sono arrivati in Italia senza scappare da nessuna guerra. I cosiddetti migranti economici. Dominano la classifica degli stranieri più prodighi verso le nazioni d'origine i bengalesi (733,1 milioni, +37,2% rispetto al 2017). Non se la cavano male neppure i pakistani (423,7 milioni, un exploit dell'81,8% su base annua). Tra gli africani, invece, spiccano i senegalesi (385,3 milioni, +24,5% rispetto al 2017). Nell'ordine di grandezza dei 300 milioni di euro anche cingalesi e marocchini, mentre si fanno notare, ai piani medi, i nigeriani (74,8 milioni), i ghanesi (63,1 milioni) e i tunisini, con 56,3 milioni di euro. Il loro Paese non è un porto sicuro per i migranti, ma lo è indubbiamente per le rimesse. Direte voi: una volta gli italiani che emigravano negli Usa mantenevano i parenti rimasti in patria. Allo stesso modo, oggi, gli stranieri presenti nello Stivale danno una mano alle loro famiglie d'origine. Cosa c'è di male? Peccato, però, che non sempre i canali di trasferimento del denaro siano perfettamente trasparenti. Il che espone le rimesse al rischio di diventare uno strumento adatto al riciclaggio, oltre che un potenziale canale di finanziamento per le organizzazioni terroristiche. A maggio 2018, ad esempio, un'operazione congiunta di polizia e Guardia di finanza ha sgominato un'organizzazione specializzata nel sovvenzionamento di cellule estremiste in Siria, che operava proprio tramite il trasferimento occulto di somme di denaro. Secondo un report del 2016 della Banca d'Italia, l'ultimo dedicato a questo fenomeno, del totale delle rimesse, almeno un terzo viaggia su canali informali. Forse anche per questa ragione le rilevazioni del 2018 hanno fatto registrare un aumento molto sensibile rispetto all'anno precedente: l'istituto di via Nazionale ha adottato metodi innovativi nella raccolta dei dati, provando a dare conto anche dell'attività degli intermediari finora esclusi dai calcoli. Molte altre transazioni, tuttavia, continuano a svolgersi in clandestinità. Ma come si sfugge all'occhio delle autorità? Si può ricorrere a un classico, il «denaro al seguito»: un immigrato torna nella sua nazione per un periodo e porta con sé un po' di contanti. Ma, almeno nel caso dei Paesi islamici, chi vuole evitare i money transfer tracciabili può adoperare il sistema dell'hawala. È un meccanismo basato sul contributo di mediatori che agiscono sulla parola e che si affidano a una sorta di codice d'onore. Uno si trova nel Paese di residenza dello straniero e prende in carico la somma. Contatta un altro broker nel Paese di destinazione dei soldi e dispone la consegna del denaro alla famiglia del mandatario, impegnandosi a rifondere il debito con il suo agente sul territorio appena possibile. In cambio, i mediatori trattengono una commissione. Pochi mesi fa, la trasmissione Le Iene ha rivelato come, a Milano, alcune macellerie islamiche avessero messo in piedi una sorta di banca clandestina, capace di movimentare sottobanco fino a 60.000 euro a transazione. Soldi che, in assenza di controlli, potrebbero essere indirizzati alle organizzazioni terroristiche. D'altronde, le inchieste sugli attentati dell'11 settembre dimostrarono che l'hawala aveva garantito almeno una piccola parte dei fondi necessari a organizzare gli attacchi. In parole povere: non solo le rimesse miliardarie costituiscono una perdita netta per lo Stato che accoglie gli stranieri e, intanto, spende miliardi per assicurare loro il sistema di welfare, ma sono pure un mezzo attraverso il quale si possono foraggiare attività illecite. Quando non si trasformano in un incentivo all'emigrazione di massa.È quello che è successo con l'esodo dal Sud America verso gli Stati Uniti. Lo spiega alla Verità Carlo Cauti, corrispondente in Brasile dell'agenzia Nova e di Radio Montecarlo: «I Paesi da cui partono le carovane di migranti sono poverissimi, hanno tassi di analfabetismo mostruosi, servizi inesistenti, eppure i loro conti sono tutti in ordine». Secondo Cauti, infatti, «essi fanno affidamento proprio sulle rimesse in dollari per sistemare le finanze statali. Ma ciò innesca un circolo vizioso: anziché investire quel denaro in programmi sociali, per combattere le cause alla base dell'emigrazione, questi Paesi incamerano il denaro solo per gli aggiustamenti di bilancio, spingendo la gente a partire ancora. Così, da un lato, i migranti allentano la pressione demografica e sociale, ma dall'altro fanno il “lavoro sporco", inviando in patria soldi che i governi possono utilizzare per mettere in sicurezza i conti pubblici».In effetti, com'è facile immaginare, quello delle rimesse non è un fenomeno che riguarda esclusivamente l'Italia. Certo, secondo l'Eurostat (le rilevazioni dell'ente di statistica europeo sono ferme al 2017), il nostro Paese è secondo nell'Ue quanto a flussi di denaro diretti verso gli Stati extracomunitari, alle spalle della Francia. Ma, complessivamente, il drenaggio di denaro dalle nazioni europee è gigantesco: si parla di 30,3 miliardi che ogni anno si muovono in senso opposto rispetto ai migranti. Ovviamente, anche gli emigrati europei rispediscono soldi in patria. Il saldo, però, è negativo: nell'Ue entrano meno di 10 miliardi. Per tentare di trattenere una parte di questa ricchezza che, prodotta nel nostro Paese, prende il volo, lo scorso anno il governo gialloblù aveva approvato un'imposta con un'aliquota all'1,5% sui money transfer (che, peraltro, sui soldi degli immigrati fanno altri soldi: il costo delle operazioni si aggira intorno al 7% del totale). La misura aveva suscitato l'indignazione dei «buoni», i quali avevano puntato il dito sulla «tassa punitiva e xenofoba», come l'aveva definita Repubblica. Altri avevano temuto che l'imposta incoraggiasse il nero. A vedere il boom di rimesse nel 2018, parrebbe di no. E miliardi di euro continuano a lasciare l'Italia.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.