2019-11-26
Il Fondo salva Stati può chiederci 110 miliardi (e non li restituisce mai)
L'Italia deve 110 miliardi al fondo, denari che andranno perlopiù per salvare le banche. Per rifondere i contributori, invece, l'ente sta imponendo rate che scadranno nel 2060. Sui dem la pressione degli alleati grillini. Gian Luigi Paragone: «Se diventiamo pro Ue saremo noi a prenderci i vaffa...» E Federico Fubini riconosce: «Il Meccanismo è un'arma di Berlino contro Roma». Lo speciale contiene due articoli. Vi piacerebbe essere clienti di una banca dove entrate alle sette di sera per chiedere un'apertura di credito e ritrovarvi alle sette della mattina successiva con il fido sul conto corrente già pronto da spendere? Bene c'è una buona notizia ed una cattiva notizia. La buona notizia è che questa banca esiste. La cattiva è che di questa banca nessuno di noi sarà mai cliente. Stiamo parlando di un'istituzione a caso: il Mes il cui acronimo significa Meccanismo europeo di stabilità meglio noto fondo salva Stati «per gli amici». Già il prefisso «salva» dovrebbe indurvi a mettere subito mano alla pistola. Ogni volta che lo leggete la fregatura è in arrivo. Ricordate il decreto salva Italia preparato da Mario Monti? Le tasse sugli immobili quintuplicarono nel gettito. Il tutto condito con l'arrivo della famigerata legge Fornero. Oppure ricordate il decreto salva banche approvato dal governo Renzi? Gli obbligazionisti con in mano i bond subordinati di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara si trovarono azzerati per legge i loro investimenti dalla sera alla mattina. Il fondo salva Stati non sfugge a questa legge universale. Teoricamente creato per salvare la Grecia in realtà servì a salvare le banche francesi e tedesche che a dicembre 2009, secondo un'inchiesta del Sole 24 Ore del 2015 si ritrovavano in bilancio oltre 120 miliardi di prestiti incautamente erogati alla Grecia. Intervenne quindi il Mes, fondo di investimento giuridicamente privato con sede in Lussemburgo ancorché partecipato dagli Stati dell'eurozona. E l'esposizione delle banche francesi tedesche era scesa a circa sedici miliardi in tutto. Ebbene poiché il Mes eroga i fondi reperiti sul mercato e versati dagli azionisti, si dà il caso che l'Italia sempre nel dicembre 2014 si ritrovava ad aver contribuito con circa 41 miliardi. Di meno certo rispetto ai 62 della Germania ed ai 47 della Francia. Ma considerate che le banche italiane avevano nel 2009 un'esposizione al rischio Grecia di circa 7 miliardi non minimamente paragonabile ai quasi 80 degli istituti francesi ed ai 45 della Germania. Insomma abbiamo pagato per loro. Cosa su cui l'allora ministro Giulio Tremonti, prima che il governo Berlusconi fosse dimessionato, tento un'eroica quanto soccombente resistenza. Oggi il Mes ha un capitale sottoscritto di circa 705 miliardi. Ma il capitale effettivamente versato è di poco superiore agli 80. In caso di necessità ci saranno quindi da sborsare 625 miliardi. E circa 110, di questi 625, dovremo sborsarli proprio noi. Il capitale sottoscritto dall'Italia è infatti pari a 125 miliardi e per ora ne abbiamo versati giusto 14. Insomma l'equivalente di quattro clausole di salvaguardia o se preferite la metà della nostra spesa sanitaria annua. Vabbè - direte voi - mica ce li chiederanno tutti subito e comunque di tempo ne avremo. Si in effetti di tempo ne abbiamo abbastanza. Giusto una settimana dal momento in cui il direttore generale del Fondo decidesse di inviare la lettera di richiesta a tutti gli azionisti. Recita infatti l'ultimo paragrafo del comma 3 dell'articolo 9 dello statuto del Fondo che «i membri del Mes si impegnano incondizionatamente e irrevocabilmente a versare il capitale richiesto dal direttore ai sensi del presente paragrafo entro sette giorni dal ricevimento della richiesta». Il Mes - ve lo avevamo detto all'inizio - è una banca sprint sia nell'erogare che nel chiedere i soldi. Del resto con la riforma in arrivo il Mes potrà erogare entro 12 ore il «dispositivo di sostegno» che altro non sarebbe che una linea di credito dedicata al Fondo di risoluzione unico che quasi sicuramente sarà chiamato a mettere soldi per accompagnare la ristrutturazione di molte banche tedesche sulle cui prospettive l'agenzia di dating Moodys ha complessivamente abbassato la qualità dei giudizi nei giorni scorsi. Il Mes è un finanziatore veramente particolare. Inserito nel tritacarne delle disposizioni europee contribuisce a stringere la camicia di forza fatta di austerità cui molti Paesi richiedenti sono di fatto costretti. Ma zitto zitto riesce anche ad essere, se necessario, particolarmente flessibile nel riavere indietro i soldi prestati e che i vari Paesi contribuenti gli hanno a loro volta, conferito. La tanto decantata Irlanda, modello di sviluppo ed austerità espansiva a detta di tanti fenomeni, si ritrova ad avere dodici emissioni di titoli di stato sottoscritte dal Mes. A luglio del 2016 avrebbe dovuto rimborsare 5,5 milioni. Ha chiesto ed ottenuto giusta una proroghetta. Due di questi miliardi saranno pagati nel 2032 e gli altri nel 2033. Niente male vero? Il Portogallo invece, altro supposto benchmark di riferimento per i vari Alesina e Giavazzi, si è trattenuto un po' di più. Per i sei miliardi che avrebbe dovuto restituire la dilazione è stata di appena nove anni; fino al 2025. In compenso si è mosso per tempo ed ha ottenuto che i quasi quattro miliardi da restituire nel 2021 fossero spostati di appena quindici anni, al 2036. La Grecia non ha richiesto invece nessuna proroga. E ci mancherebbe altro visto che inizierà a pagare il capitale dal 2034 per finire intorno al 2060. Quei soldi noi li rivedremo più. Se arrivasse la letterina del direttore generale che ne chiede di nuovi entro sette giorni che dite? Ci proviamo pure noi con la proroga? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/altra-trappola-del-salva-stati-chiede-soldi-in-7-giorni-e-ce-li-restituisce-in-40-anni-2641451785.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="per-conte-la-sola-e-ben-digeribile-salvini-ignorante-o-in-malafede" data-post-id="2641451785" data-published-at="1760358994" data-use-pagination="False"> Per Conte la sòla è «ben digeribile». Salvini: «Ignorante o in malafede?» Sulla riforma del Mes, stiamo ormai per avvicinarci ai momenti decisivi. Partendo dal 13 dicembre (giorno del vertice europeo in cui l'Italia sarà chiamata a dire sì o a dire no), ci sono almeno altre due date da segnare con un circoletto rosso: il 10 dicembre, quando si terrà il dibattito in Aula per dare l'indirizzo al governo, e domani, 27 novembre, quando il ministro Roberto Gualtieri si presenterà davanti alle Commissioni riunite Politiche Ue e Finanze del Senato (quest'ultima presieduta dal suo fiero oppositore Alberto Bagnai). Da anonime «fonti del governo», intanto, arriva via agenzia una bordata a Matteo Salvini, il quale, si dice, «ogni giorno diffonde tante fake news. Ci sarà certamente occasione di un confronto su tutte queste sue mistificazioni. Nel frattempo sul Mes, considerato che è materia di competenza del ministero dell'Economia, il ministro Gualtieri è pronto in qualsiasi momento a confrontarsi in tv con Salvini, proprio alla luce delle tante falsità che continua ad affermare l'esponente della Lega». Sul versante della maggioranza, i grillini (per ora) tengono il punto, manifestando profonde perplessità. La posizione durissima di Gian Luigi Paragone è sembrata un assist a Luigi Di Maio affinché non ceda alle sirene eurotranquillizzanti: «Siccome il Parlamento può decidere se porre il veto o no», ha detto Paragone, «io non lo voterò mai, non vado a rovinare la vita degli italiani e non voglio lasciare solo a Salvini la bandiera di una lotta di buon senso. Nel programma del M5s c'erano scritte cose diverse da quelle che sento dire a Conte. Se loro hanno cambiato idea, chi è fuori dal M5s sono tutti gli altri. Se sono diventati europeisti, me lo devono dire e mi devono sbattere fuori. Noi abbiamo preso i voti su quel programma elettorale, se hanno cambiato idea devono andare in piazza a dire che sono europeisti, che vogliono il Mes e a quel punto si prenderanno i vaffanculo della gente. Qualche vaffanculo ci tornerà indietro». Nella serata di ieri, è arrivato anche un botta e risposta tra Giuseppe Conte e Salvini. Il premier, ad Adnkronos, ha definito «molto ben digeribile» la versione attuale del Mes. Il leader leghista ha replicato duramente: «Conte è incompetente, ignorante o in malafede?». A questo punto, resta da capire se il Pd, come ha fatto finora, insisterà sulla linea dell'inchino a Bruxelles tracciata da Gualtieri e da Paolo Gentiloni, e anzi se cercherà di piegare in extremis i pentastellati. Qualche indizio c'è, leggendo il cambio di atteggiamento di alcune personalità di area dem. Ad esempio, ieri colpiva leggere su Lettera 43 un intervento di Costantino De Blasi e Giampaolo Galli, quest'ultimo (già dg di Confindustria e poi deputato Pd) forse desideroso di emendarsi dalla sua recente audizione alla Camera (quella in cui parlava di «pericolo per l'Italia e per gli italiani», e in cui definiva l'ipotesi di ristrutturazione del debito, implicitamente innescata dal Mes, come «un colpo di pistola alla tempia dei risparmiatori»). Ieri, per Galli e De Blasi, il Mes è ridiventato «un'istituzione molto utile», mentre a far danni sarebbe «il confuso dibattito dominato dalle grida dei sovranisti». Anzi, ci si fa capire che dovremmo quasi ringraziare la Germania per la sua bontà: «Il Mes è una manifestazione di solidarietà». Da segnalare infine due operazioni mediatiche quanto meno curiose. Una è stata compiuta dall'agenzia Reuters, che ha messo nel mirino Matteo Salvini («Dall'euro al Mes, Salvini torna ad alimentare il fuoco euroscettico»). La tesi è: Salvini non mette più in discussione la moneta unica, ma la sua campagna anti Mes «allarma le autorità europee». Dopo di che, tutte le mosse del leader leghista vengono lette come un tentativo di equilibrio interno tra la componente eurocritica (Bagnai e Claudio Borghi) e i «moderati» Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia. Ma, al di là delle speculazioni sulla vera o presunta geografia interna leghista, è piuttosto surreale la logica dell'analisi: non va bene se un movimento è anti euro, ma non va bene nemmeno se si limita a discutere i meccanismi tecnici di funzionamento di un programma europeo. Dunque, si può solo dire sì a ciò che viene da Bruxelles? L'altra operazione porta la firma di Federico Fubini sul Corriere della Sera. Fubini ammette che tutta l'operazione Mes è stata concepita (già prima delle ultime proposte di modifica) avendo messo l'Italia nel mirino. Potremmo quasi dire che dove il ministro tedesco Olaf Scholz va in corsia d'emergenza, Fubini va invece in corsia di sorpasso: «Inutile nascondersi: quella misura è pensata avendo in testa un Paese in particolare, l'Italia. L'intera area euro, non solo la Germania, ha fondamentalmente perso la pazienza verso l'ultimo Paese dove la politica naviga senza rotta…». E ancora: «Le regole di bilancio europee saranno anche ottuse, ma in Germania si è semplicemente smesso di pensare che possano governare il rischio italiano. Si è concluso che lo si gestirà - se serve - imponendo perdite ai creditori privati o oneri alle famiglie italiane con la loro ricchezza». Resta però un mistero: se è una ghigliottina, e una ghigliottina pensata per il collo e la testa dell'Italia, perché mai occorrerebbe aderire d'urgenza?
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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