
Dopo il caos sul Mes, i tedeschi tornano alla carica: gli istituti italiani secondo loro hanno in pancia troppi titoli di Stato rispetto al resto dell'Unione. Il ministero dell'Economia parla già di «ipotesi negoziale».Avant'ieri mattina è arrivato come un fulmine a ciel sereno un comunicato del Ministero dell'Economia finalizzato a correggere alcuni titoli dei giornali che non avevano riportato correttamente l'intervento del ministro Roberto Gualtieri presso il Rome Investment Forum. Si ribadiva la sua contrarietà a qualsiasi ipotesi di ponderazione del rischio dei titoli di Stato nei bilanci delle banche, e si specificava che il ministro si riferiva a una «una base per una riflessione, non ancora una concreta proposta» riguardante la diversificazione transfrontaliera degli attivi bancari (non solo titoli di Stato).Il successivo commento apparso ieri sul Sole 24 Ore, se possibile, ha peggiorato ancora il quadro delineato dal Mef. Si parla, infatti, di incentivi (fiscali, probabilmente) per l'acquisto di titoli di Stato esteri da parte di banche italiane e si definisce questa ipotesi come «apertura negoziale» nell'ambito della trattativa sull'unione bancaria.Va ricordato che il mese scorso, il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, lanciò una pietra nello stagno del dibattito sul completamento dell'unione bancaria, in particolare la terza gamba costituita dalla garanzia comune sui depositi, ponendo la condizione della ponderazione del rischio dei titoli di Stato nei bilanci delle banche. Una condizione molto onerosa e preoccupante per le banche italiane che detengono oggi circa 400 miliardi di euro di titoli pubblici, che sarebbero quindi costrette a proporzionali assorbimenti di capitale, come accade per un qualsiasi prestito. Inoltre le banche italiane, dopo la crisi del 2011, hanno praticamente raddoppiato i titoli in portafoglio, conseguendo ricche cedole e plusvalenze. Val la pena di notare, per capire il peso di quei titoli nelle banche italiane, che le banche francesi , spagnole e tedesche detengono titoli dei rispettivi paesi per 151, 180 e 163 miliardi di euro. Quasi nulla rispetto a noi. Tale proposta di Scholz fu subito rispedita al mittente, anche dal governatore Ignazio Visco. Da ultimo, anche nell'informativa del presidente Conte sul Mes di ieri in Parlamento. Stupisce dunque due volte che sia possibile adottare una tecnica negoziale di questo tipo. Infatti, considerata la posizione di partenza prima evidenziata, nello scenario ipotizzato da Gualtieri le banche italiane sarebbero di fatto costrette a ridurre i titoli pubblici posseduti. Com'è possibile anche solo pensare a una misura del genere che sortirebbe indirettamente e di fatto il medesimo effetto della richiesta tedesca? Insomma, siamo alle solite. Data ormai per persa la partita sul Mes, Gualtieri si accinge a negoziare la garanzia comune sui depositi senza alcuna leva e si vede costretto a soddisfare i desiderata del dominus tedesco, parandosi dietro la foglia di fico della diversificazione transfrontaliera, facendo sì che i tedeschi conseguano proprio l'obiettivo posto, abbastanza provocatoriamente, all'inizio della trattativa: un limite alla concentrazione dei titoli pubblici nei bilanci delle banche. Una subalternità di cui conosciamo bene gli effetti sin dalla infelice trattativa sul bail in. Inoltre, con la riforma del Mes, i tedeschi hanno già ottenuto di fatto anche la ponderazione del rischio dei titoli pubblici, pur formalmente assente. Cos'altro è allora la preventiva e sistematica valutazione di sostenibilità del debito di tutti i paesi aderenti (ex art. 3), se non l'assegnazione di un rating «de facto» con le inevitabili conseguenze per i titoli pubblici detenuti dalle banche?La assurdità e dannosità di tale ipotesi di lavoro, è confermata anche dalle parole pronunciate dal governatore Visco lo scorso 15 novembre che restano, nonostante poco convincenti tentativi di correzione, la più efficace ed autorevole sintesi dei problemi del Mes e dello stallo delle riforme dell'Eurozona: «…Se si vuole davvero spezzare il legame tra banche e debito sovrano occorre pertanto ridurre il rischio associato alle obbligazioni pubbliche, non solo le consistenze detenute dalle banche. Il mero trasferimento delle obbligazioni rischiose dal bilancio delle banche a quello di altri settori non ridurrebbe il rischio complessivo…». Difficile dirlo in modo più chiaro. Non rileva chi possiede i titoli, e quindi ridurre quelli posseduti dalle banche non è una soluzione, ma il fatto che tali titoli siano percepiti come rischiosi. È proprio questo il vizio alla radice di tutto. La fissazione tedesca per il rischio da debito e per l'eventuale sua condivisione non smette di cercare vie, più o meno tortuose, per indurci alla disciplina fiscale e quindi poi, forse, condividere il rischio. Il Mes è appositamente costituito a questo scopo, come strumento per disciplinare fiscalmente i paesi riottosi, dopo che si è capito che la Commissione è troppo morbida ed esposta a valutazioni politiche. Anche in questo caso, le linee di credito sotto condizione impossibile e pochi insufficienti miliardi per il fondo di risoluzione delle crisi bancarie, del tutto inutili le prime e insufficienti i secondi, nascondono il vero obiettivo di farci ridurre il debito, anche con le cattive della minaccia di ristrutturazione. Ci riprovano con l'unione bancaria, ma trascurano l'attenzione che c'è ora nel Paese, alta come mai in passato.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.