2024-07-02
In Romagna lavori rinviati da 20 anni. Potevano ridurre i danni da alluvione
L'alluvione del maggio 2023 a Lugo di Romagna (Ravenna) colpita dall'esondazione del Senio (Ansa)
Esposto di un consigliere comunale di Fdi: «Se si fosse costruita la cassa d’espansione lungo il Senio, nel 2023 avremmo avuto 6,5 milioni di metri cubi d’acqua in meno». E la sinistra sempre al potere... Un consigliere comunale del Comune di Faenza, Stefano Bertozzi (Fdi), ha presentato un esposto alla Procura di Ravenna per la mancata realizzazione della cassa d’espansione Ca’ Lolli a Tebano, lungo il fiume Senio. Un’area che ha subito gravi danni durante l’alluvione dell’anno scorso e che, se l’opera - programmata nel 2005 - fosse stata portata a termine, magari si sarebbe risparmiata parte della sofferenza. «Io non ho mai sostenuto che se ci fossero state le vasche non avremmo avuto danni», ha spiegato Bertozzi alla Verità, rivolgendosi a chi ora gli dà dello sciacallo, «perché quello che è successo è stato veramente di portata epocale. Però li avrebbe limitati tantissimo in alcuni punti. Sicuramente ci sarebbero stati ben 6,5 milioni di metri cubi di acqua in meno».Parliamo di progetti il cui iter di realizzazione è stato avviato quasi 20 anni fa. Risale infatti al 2005 il primo accordo quadro tra la Regione Emilia-Romagna, la provincia di Ravenna e i comuni di Faenza, Riolo Terme e Brisighella per una serie di interventi contro il dissesto idrogeologico. Uno di questi, considerato di importanza strategica, consiste proprio nella realizzazione di tre casse di espansione per laminare le piene del Senio. L’area individuata è di circa 70 ettari, in buona parte di proprietà del comune di Faenza ma data in locazione a un’azienda agricola del territorio, con anche alcuni privati coinvolti. Nel 2006 viene poi realizzato il progetto esecutivo, che prevede un accordo pubblico-privato: i concessionari potranno coltivare l’area ed estrarre e commercializzare la ghiaia ivi presente - che ha grande mercato nel settore dell’edilizia - in cambio della costruzione degli invasi. La Regione, alla fine, avrebbe semplicemente dovuto collegare le tre casse.Quattro anni dopo, nel 2010, viene firmata la convenzione finale tra il comune di Faenza e due società che si erano aggiudicate i lavori, una cooperativa della zona e una srl. A queste vengono dati cinque anni di tempo, con al massimo 12 mesi di proroga riconducibili ad «atti meteo-climatici straordinari o altri fatti non prevedibili», per restituire la terra con le casse arginate. Passati i cinque anni, le due aziende chiedono la prima proroga in ragione della sopravvenuta crisi del mercato immobiliare e il comune, nonostante non figuri tra le cause previste, la concede. Alla fine, però, si arriva a ben tre proroghe, quindi da cinque anni si passa a otto, al termine dei quali i lavori sono fermi a metà: le arginature non ci sono e, delle tre casse ipotizzate, ne è stata realizzata soltanto una, quella nel comune di Riolo Terme (che tuttavia non è mai stata collegata al fiume).Nel 2018, alla richiesta della quarta proroga, interviene la Regione guidata da Stefano Bonaccini. Uno dei suoi dirigenti dà parere negativo «a fronte della rilevanza strategica che tale tipologia di opera assume a livello regionale rispetto agli obiettivi di sicurezza idraulica dei territori di valle». La richiesta, infatti, «oltre a non essere in linea con le prescrizioni contenute nella convenzione, non appare funzionale alla realizzazione dell’opera». Così la Regione, che era sempre stata informata anche in passato, ora sconfessa la legittimità delle precedenti proroghe. La quarta viene quindi negata ma ad oggi, sei anni dopo, il comune di Faenza non ha ancora escusso le fideiussioni concesse all’inizio dei lavori - 2,17 milioni di euro -, con cui forse si sarebbe potuto terminare l’opera. Le assicurazioni si oppongono eccependo le proroghe illegittime concesse dal municipio, e solo di recente il comune si è finalmente mosso per vie legali.Ma nel 2018, grazie al via libera della Corte dei Conti, la Regione ha a disposizione 8,5 milioni di euro per realizzare le opere in questione. Bonaccini esulta e parla della possibilità di «onorare un impegno per due importanti interventi di prevenzione al dissesto idrogeologico: la cassa del Baganza nel parmense, dove un alluvione nel 2014 fece danni ingenti anche nel Comune di Parma, e le casse del Senio per i tutti i comuni della bassa Romagna». Poi però non si muove nulla. Nel 2020 il Comune di Faenza, con una delibera formale, accetta la cessione volontaria alla Regione dei terreni destinati alla realizzazione della cassa Ca’ Lolli con un indennizzo di 667.000 euro. A quanto è noto, però, la Regione non ha mai dato seguito al procedimento espropriativo.Soltanto a febbraio 2024, mesi dopo la terribile alluvione dell’anno scorso, viene notificato al comune di Faenza un decreto regionale a firma di Stefano Bonaccini - non in qualità di presidente della Regione ma di Commissario straordinario all’emergenza idrogeologica, carica che ricopre da quando è stato eletto - in cui si comunica che nel 2022 era ripartito l’iter di esproprio. Per qualche strano motivo, la trasmissione dell’atto è avvenuta due anni dopo.L’azione forse si spiega col fatto che nel 2024 l’area è stata inserita all'interno di un intervento di somma urgenza eseguito con i soldi della struttura commissariale guidata dal generale Figliuolo. Durante l’alluvione del 2023, infatti, il Senio ha rotto l’argine proprio dove ci dovevano essere le casse di espansione. Le vasche costruite, lasciate incompiute e non arginate (a 20 anni dal primo accordo quadro), non hanno avuto quell’effetto laminazione per cui erano state pensate. «Tutto questo lascia molto arrabbiati», ha dichiarato Stefano Bertozzi, «perché paesi come Castel Bolognese (che ha anche registrato una vittima), Solarolo e la zona di Via Casale (Faenza) sono andati sott’acqua. La responsabilità politica è evidente, quello che ho chiesto alla Procura è di accertare se ci sono anche responsabilità penali».
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