2019-03-15
        Alle Olimpiadi i trans sfideranno le donne
    
 
Per la prima volta ai Giochi i maschi non operati gareggeranno contro le femmine, purché per un anno mantengano il testosterone sotto una certa soglia. Ma le colleghe si ribellano. E anche le opinioniste femministe iniziano ad ammettere: «È la morte dello sport».I soldati verranno divisi in base alla biologia. Vietate dal 12 aprile altre transazioni.Lo speciale contiene due articoliChe c'entra la prevenzione di infortuni e malattie degli atleti con gli sportivi transessuali? Chiedetelo al Comitato olimpico internazionale (Cio), il quale si offre di finanziare progetti di ricerca che, appunto, spaziano dalla protezione dagli infortuni, agli atleti trans, alla salute mentale. La nostra, vista la confusione in cui rischiamo di piombare in vista delle Olimpiadi del 2020 in Giappone. Secondo le linee guida del Cio, infatti, gli sportivi transgender possono gareggiare con le donne anche se non sono nemmeno operati.La questione in ballo è oramai arcinota: è giusto che un atleta (senza l'apostrofo) competa per una medaglia come se fosse un'atleta (con l'apostrofo)? Non è una discussione sul sesso degli angeli, E nemmeno sul gender degli uomini. Il punto è che chi è nato maschietto ha una certa massa muscolare, una certa carica ormonale, una certa struttura fisica che gli conferisce un sistematico vantaggio sulle colleghe femmine. Realtà che le bandiere arcobaleno non bastano a obliterare. Parecchie sportive ed ex sportive, non a caso, sono sul piede di guerra. La Verità si è occupata recentemente della ex campionessa di tennis Martina Navratilova. Lesbica, icona Lgbt, ma pronta a definire «un folle imbroglio» l'idea di lasciare che atlete transgender competano accanto alle donne biologiche. Su di lei, ovviamente, si era abbattuta la fatwa degli attivisti, come la ciclista trans Rachel McKinnon, coautrice di una ricerca che pretende di smontare la tesi del vantaggio strutturale dei maschi biologici. L'associazione Athlete ally l'aveva accusata di omofobia (in pratica, la Navratilova discriminerebbe sé stessa). Alla fine, l'ex tennista era stata costretta a fare ammenda: «Non intendevo dare a nessuno dell'imbroglione», si era giustificata sul suo sito, «ma solo rifarmi al caso teorico di chi cambiasse genere, magari temporaneamente, per ricavarne un mero vantaggio competitivo». Alla campionessa, comunque, era arrivato il sostegno di altre atlete: ad esempio, l'ex maratoneta Paula Radcliffe, o la mezzofondista e oro olimpico Kelly Holmes. Nel frattempo, la ciclista transgender McKinnon aveva trovato una nuova nemica da mettere alla berlina: la nuotatrice Sharron Davies, rea di aver twittato: «Credo ci sia una fondamentale differenza tra il sesso in cui si è nati e il genere con cui ci si può identificare. Per proteggere lo sport femminile, chi gode di un vantaggio in quanto maschio non dovrebbe poter gareggiare contro le donne». In pratica, la Davies ha preso la tesi Lgbt della differenza tra sesso e genere, rivoltandola contro i suoi creatori: proprio perché il vostro fisico non coincide con i vostri desideri, voi maschi trans non avete il diritto di gareggiare come se aveste il corpo di una donna. Ma le regole, appunto, cosa dicono? Facciamo un passo alla volta per non perderci nel labirinto gender. In base alle linee guida, approvate già nel 2016 dal Comitato olimpico, le donne «transitate» al genere maschile possono gareggiare contro gli uomini biologici, anche se non hanno subito interventi chirurgici per la «riassegnazione di genere». Per gli atleti nati maschi ma diventati donne ci sono alcune restrizioni. Devono certificare di «identificarsi» con il genere femminile e non possono modificare questa dichiarazione per almeno quattro anni. E già qui uno si chiede: allora un atleta può partecipare a un'Olimpiade come donna e a quella successiva come uomo? Il secondo requisito riguarda i livelli di testosterone: meno di 10 nanomoli per litro nei 12 mesi precedenti alla prima gara. Limite che da aprile 2018 si discute se abbassare a 5 per litro. Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico, aveva affermato che la questione era «in agenda», ma finora non è stato apportato alcun cambiamento alle linee guida. Dunque, per gli sportivi transgender, pure non operati, è già possibile prendere parte a una competizione olimpica. Sebbene, finora, nessuno di loro abbia ancora partecipato alle Olimpiadi. Le donne, comunque, anche in prospettiva di un'ulteriore stretta sulla «mascolinità» dei loro aspiranti avversari, non sono affatto convinte che sia legittimo sdoganare le atlete transgender.Sono proprio le femministe quelle che sembrano più risolute a opporsi a questa specie di sanatoria. Su The Federalist, Jessica Gulmire scrive che lasciar gareggiare i trans «in qualunque categoria con la quale si identifichino, senza che debbano subire un intervento chirurgico, sancirà la fine degli sport femminili, almeno per quanto riguarda le donne biologiche (donne che hanno le mestruazioni e ghiandole mammarie funzionanti)». Già, perché oramai è necessario specificarlo: le donne sono proprio quelle là, quelle con le loro «cose», quelle che sono in grado di partorire. E su Unherd, Meghan Murphy, autrice canadese che, per intenderci, ha fondato un blog dal titolo Feminist current, ha sentenziato che «le atlete trans si prendono gioco degli sport femminili». Come ha ricordato la Muprhy, infatti, «diminuire il livello di testosterone per un anno non cambia il corpo al punto tale da annullare il vantaggio intrinseco che deriva dall'essere biologicamente maschio. Non cambia le ossa, gli arti o gli organi. Non riduce la massa muscolare a un livello tale da rendere il corpo uguale a quello di una donna. Questi uomini continueranno a essere più grossi e più forti». Ecco. Pure chi normalmente avalla l'ideologia gender, ha capito che la fantasia sta annientando la realtà. E che un'Olimpiade con i maschi che fanno le donne sarebbe la morte dello sport, l'ultimo consesso al mondo in cui la natura conta ancora qualcosa. Se ci vedessero, chissà che direbbero gli antichi greci. Loro, che le Olimpiadi le hanno inventate.Alessandro Rico<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/alle-olimpiadi-i-trans-sfideranno-le-donne-2631642653.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="trump-disarma-la-disforia-di-genere-lesercito-usa-accetta-due-sessi" data-post-id="2631642653" data-published-at="1762181682" data-use-pagination="False"> Trump disarma la disforia di genere «L’esercito Usa accetta due sessi» I transgender potranno rimanere nelle forze armate statunitensi purché continuino a indentificarsi con il loro sesso biologico. È quanto stabilito dal dipartimento della Difesa americano, dopo mesi di contenzioso e controversie sulla questione, iniziata con un tweet del presidente Donald Trump del 2017, con cui annunciava che «il governo Usa» non avrebbe permesso ai trans «di servire in qualsiasi veste nell'esercito». In base al memorandum emesso martedì dal Pentagono le reclute potranno identificarsi come transgender a patto che usino le uniformi, i pronomi, le camerate e i bagni adibiti per il loro sesso di nascita. Di conseguenza non sarà consentita alcuna transazione dell'identità sessuale dopo l'entrata in vigore delle nuove regole prevista per il 12 aprile. Da quella data non saranno autorizzate a servire nell'esercito le persone a cui viene diagnosticata una disforia di genere. La nuova politica esonera le truppe transgender che hanno già effettuato la transizione o che hanno iniziato il processo medico-chirurgico. Il New York Times mercoledì riportava le dichiarazioni rilasciate sotto anonimato da un alto funzionario del dipartimento, il quale ha spiegato che non si tratta di un divieto e non si prevedono espulsioni. Le persone transgender potranno ancora servire, «a condizione che aderiscano agli standard del loro sesso biologico». Nel concreto un uomo che ha iniziato la transizione fisica non potrà andarsi a lavare nelle docce delle donne o a coricare nelle camerate femminili. I funzionari del Pentagono affermano che le nuove disposizioni garantiscono parità di trattamento a tutte le truppe e che la maggior parte dei soldati transgender in servizio non saranno colpiti. Un dirigente che ha incontrato i giornalisti ha definito la disforia di genere «una condizione mentale grave», paragonandola a una lunga lista di condizioni, dall'asma ai problemi motori, che squalificano qualcuno che vuole servire. Non la pensano così i militari trans riuniti sotto l'associazione Sparta, guidata dal comandante Blake Dremann, il quale ha riferito che c'è un «senso di urgenza» tra alcuni militari che vogliono intraprendere la transizione prima del 12 aprile. «Ciò che conta è che ciascun membro sia capace e focalizzato sulla missione», ha detto lo stesso Dremann (in quanto lesbica prima e transgender dopo) la scorsa settimana in un'audizione. Di altro avviso l'ammiraglio Raquel Bono, direttore dell'Agenzia per la difesa della salute, che davanti ai parlamentari ha detto che l'esercito ha rilevato diverse situazioni problematiche relative alla disforia di genere, come un maggior numero di visite psichiatriche e più frequenti pensieri di suicidio, che organismi come l'American medical association non riescono a riconoscere e che finirebbero per danneggiare, di fatto, le operazioni militari. Al centro delle polemiche è finito anche un rapporto pubblicato da Usa Today che rivela che il Pentagono ha speso quasi 8 milioni di dollari per curare oltre 1.500 militari transgender dal 2016, anno in cui venne ritirato il bando al ruolo arruolamento. Nei trattamenti, i cui costi sono stati sostenuti dal governo, rientrano ben 161 procedure chirurgiche tra cui riduzione o aumento del seno e la riassegnazione del sesso biologico. La stretta sull'esercito si aggiunge a quella voluta sempre dal presidente Donald Trump sui bagni nelle scuole pubbliche, con la revoca della norma voluta da Barack Obama che consentiva agli studenti di usare bagni e spogliatoi in base al sesso percepito e non a quello biologico. Marco Guerra
        
    (Arma dei Carabinieri)
    
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina. 
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi.  Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo. 
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Novità per i cittadini. Da questo mese stop al telemarketing da numero mobile, mentre il 30 novembre potrebbe arrivare lo stop a molti autovelox non conformi alle normative.