2022-02-10
Alle aziende vittima dell’ecocomunismo restano solo le tasse
Mario Monti il giorno della firma del «Fiscal Compact» nel 2012 (Ansa)
La Carta recepisce i vincoli, ma non i diritti dei contribuenti, ai quali non rimane che pagare. E cosa è green lo decide l’Ue.Nella Costituzione più bella del mondo la libertà d’impresa si inabissa sotto i colpi dell’ecocomunismo. Sarà consentito fare solo business green con il patentino dell’Ue. E la sola libertà sarà quella di pagare le tasse. Nel 2012 l’Italia scelse di aderire al Fiscal compact. L’uscita di scena di Silvio Berlusconi si era già consumata nel 2011. Al suo posto fu scelto da Giorgio Napolitano Mario Monti. Sotto questa duplice regia, il Parlamento italiano approvò l’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio. All’epoca qualche timido attore politico provò a suggerire l’idea di bilanciare la novità mettendo in Costituzione anche lo Statuto del contribuente. Si sarebbe potuto aggiungere in uno degli articoli modificati allora due righe per ricordare che la tutela del cittadino che paga le tasse debba essere innalzata allo stesso livello della necessità di ottemperare alle leggi Ue. L’idea fu presto dimenticata. Per anni è rimasta nei cassetti del Senato fino alla scorsa estate, quando le commissioni congiunte dei due rami del Parlamento resero pubblico un ottimo lavoro, composto da sole 18 pagine, ma tutte di elevato peso specifico. I parlamentari dopo mesi di lavoro hanno messo insieme in suggerimenti da spedire al governo per effettuare una equilibrata riforma fiscale. Tra i punti suggeriti, di nuovo l’idea di elevare al rango costituzionale pure i diritti dei poveri cittadini che pagano le tasse. Il governo ha recepito a modo suo le pagine di indirizzo. In parte le ha modificate per creare il testo base della legge delega di riforma del fisco, in parte ha forzato la mano con l’intento di inserire a forza il nuovo catasto e infine si è limitato a stralciare il paragrafo relativo allo Statuto del contribuente. Trascorso un altro semestre, arriviamo al mese scorso. L’Aula viene sollecitata dal governo per valutare la legge delega in commissione e filtrare gli emendamenti. Da un lato l’esecutivo di Mario Draghi chiede espressamente di chiudere la partita e approvarlo prima del 24 gennaio, data di avvio dell’elezione per il Quirinale. Dall’altro, i parlamentari seguono, per fortuna, la strada del buon senso politico e fanno slittare il pacchetto a fine febbraio. La fretta, d’altronde, era assolutamente ingiustificata. Gli effetti della riforma fiscale non entrerebbero comunque in vigore prima di gennaio 2023. Ciò che è però da sottolineare è che, nelle giornate di vaglio degli emendamenti, ciò che per l’ennesima volta avrebbe tentato di inserire in Costituzione i diritti dei contribuenti viene ucciso sul colpo. Il motivo è molto semplice. La maggior parte delle norme fiscali, dei decreti o degli indirizzi dell’Agenzia delle entrate sono emanati in deroga allo Statuto del contribuente. Metterlo in Costituzione significherebbe inchiodare i partiti e i governi alle proprie responsabilità. Non sarebbe più possibile perseguire il pareggio di bilancio semplicemente strozzando i cittadini, ma si imporrebbe un lavoro di riorganizzazione profonda delle clientele. Ciò serve a comprendere i silenzi che gravitano intorno a scelte basilari come la modifica del testo costituente. Come a maggio 2012, sotto la forte pressione dello spread, si è riscritta la Carta, così oggi, sotto la spinta dell’ecocomunismo, si inserisce soprattutto nell’articolo 41 una pistola carica che potrà essere utilizzata su spinta e indirizzo di Bruxelles contro le aziende italiane o contro i cittadini che oseranno rispedire al mittente la follia della transizione ecologica. Gli effetti del voto di martedì potranno avere, anche se su piani completamente diversi, lo stesso impatto che il bail in ha generato sul settore bancario. Le due parole aggiunte all’articolo 41 «salute» e «ambiente» saranno il diserbante della libertà d’impresa. «L’iniziativa economica privata è libera», si legge nel nuovo testo, ma «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute, all’ambiente». Sembrano dettagli, ma non lo sono. Così si inverte l’onere della prova. Tutti i cittadini devono essere liberi di perseguire la ricchezza e di inventarsi nuovi business in qualunque settore. Se poi qualcuno commette degli illeciti allora deve essere fermato. Nella fattispecie esistono dei reati ambientali. Chi li commette deve andare in galera. Con la filosofia dei socialdemocratici, invece, lo Stato e il suo braccio operativo, il governo, potranno indirizzare a priori le attività. Incentivare quelle ritenute a loro insindacabile parere green e far subito abortire quelle ritenute inquinanti. Se non ci sia accorda prima su ciò che è verde e ciò che sporca, appare a tutti chiaro che il potere dello Stato non avrà più alcun bilanciamento. Se Bruxelles decide che le auto devono essere solo elettriche anche se nel complesso della filiera produttiva inquinano più del diesel, chi produce motori a scoppio non potrà che fallire. Scrivere che la tutela dell’ambiente viene prima di tutto senza se e senza ma vuol dire rinunciare alla propria sovranità industriale e alla propria indipendenza. Le infrastrutture di un Paese, più che mai adesso dopo la pandemia, sono garanzia di autonomia. L’Italia ha ritenuto che il Tap, gasdotto che arriva in Puglia, fosse fondamentale per la propria indipendenza energetica. Ha messo sul piatto della bilancia l’impatto ambientale (nel caso specifico molto molto basso) e i benefici per i propri cittadini e per la propria geopolitica. Se il criterio di realizzo invece dipenderà da un report di Bruxelles, Roma non avrà più margini di valutazione. Se aggiungiamo che al vincolo esterno si è sostituito quello interno del Recovery plan tutto basato su ecologia e green, è facile capire che il cerchio si chiude. Un cerchio partito nel 2012 con l’arrivo di Monti. Ai cittadini italiani non resterà che pagare le tasse per finanziare spese sulle quali avranno zero voce in capitolo. Una bella Costituzione.