
Anche in caso di tariffe al 15%, per controbilanciare i danni dovremo passare da 620 a 700 miliardi di vendite all’estero. La soluzione può essere un’area di libero scambio nel Mare nostrum. Ma attenzione a Parigi.Anche nell’esito migliore per gli europei del negoziato Usa/Ue l’Italia dovrebbe compensare una certa riduzione dell’export e dei margini di guadagno delle sue imprese esportatrici. Per esito migliore realistico, infatti, stimo dazi statunitensi in media attorno al 15% che incorporano quelli già esistenti, con alcuni eccezioni settoriali sia negative sia positive. Caso intermedio attorno al 20% e peggiore, come minacciato da Washington, del 30%. Per inciso, ovviamente il caso «migliorissimo» sarebbe zero dazi reciproci con abbattimento delle barriere non tariffarie e convergenza sugli standard industriali, alimentari, regolamentari, eccetera, tra Ue e Usa. Ma la probabilità è minima perché Washington ha invertito il suo rapporto con il mondo: da mercato aperto che dal 1945 e dai primi anni Cinquanta più decisamente con un modello di commercio internazionale asimmetrico - importazioni senza reciprocità per incentivare la convergenza degli alleati - sostiene i modelli nazionali trainati dall’export ora è diventato un mercato interno che fa pagare l’accesso. E l’Ue non vuole cambiare alcuni dei suoi standard considerati dall’America barriere non tariffarie perché non c’è il consenso interno tra Stati. Giusto o sbagliato che sia (per me è un errore di economia tecnica sia la posizione statunitense sia l’assetto regolamentare europeo troppo verdista e socialisteggiante) ora questa è la realtà: un cambio di mondo. La probabilità di caso migliore relativo prevale, ma non di tanto su quello intermedio anche a causa del dilettantismo europeo di minacciare apertamente controdazi simmetrici mentre il Giappone, per esempio, ha attuato una controdeterrenza più silenziosa e sofisticata. Nel caso peggiore la destabilizzazione del mercato internazionale sarebbe un danno troppo forte sia per gli europei sia per l’America. Pertanto ho chiesto ad alcuni miei ricercatori un primo scenario, pur solo indicativo, di cosa dovrebbe fare l’Italia nel caso migliore, linea anche in caso di quello intermedio. La simulazione preliminare è che dovrebbe continuare con più spinta la già dinamica azione per costruire partenariati strategici bilaterali con vantaggi reciproci come ombrello (geo)politico per sostenere un aumento dell’export anche in parte alternativo verso quello dell’America. L’obiettivo macro finanziario (già fissato dal governo) dovrebbe essere quello di ottenere 700 miliardi di export in pochi anni a partire dai circa 620 correnti. Il calcolo dei miei ricercatori lo porta a un ammontare maggiore nella medesima temporalità. Tale obiettivo non è un’opzione teorica, ma una necessità: la conversione del modello economico italiano trainato dall’export (40% circa del Pil direttamente e indirettamente) a uno trainato di più dai consumi interni è molto impervio. Semplificando, l’Italia ha bisogno di una ricapitalizzazione trainata più dall’export per debolezza dei motori interni. Anche la Germania, ma questa ha più spazio fiscale per investimenti. L’Italia invece deve pagare ogni anno 80-90 miliardi di servizio del debito (rifinanziandolo con aste che spostano il risparmio da investimenti produttivi al rendimento passivo) invece di poterli investire per lo sviluppo. Da un lato, il governo corrente sta mettendo in equilibrio il sistema finanziario pubblico riparando i buchi fatti dai governi di sinistra e simili precedenti. Dall’altro, il peso del debito resta e impedisce ricapitalizzazioni forti interne. In sintesi, Roma deve andare globale per evitare il declino economico. E deve farlo con più intensità e velocità a causa del possibile calo pur relativo dell’export verso l’America. I bilaterali strategici fatti con metodo italiano sono un’ottima strategia. Ma per dare loro forza finanziaria devono poi trainare l’Ue o l’America nonché il G7. Per esempio, Giorgia Meloni è riuscita a ingaggiare l’Ue per rinforzare alcuni bilaterali italiani nel Mediterraneo. Ora dovrebbe ingaggiarla di più in un progetto Ekumene, cioè accordo di libero scambio in tutto il Mediterraneo, poi estendibile verso Penisola araba, Africa orientale-australe e India. Ma è probabile che la Francia a conduzione Emmanuel Macron non voglia lasciare all’Italia la posizione di primo attore in questo scenario. Quindi va caricata la Germania - certamente cointeressata - per avere forza sufficiente a far ragionare l’irragionevole Francia in termini collaborativi, senza dimenticare l’ingaggio di Londra con interessi sempre più euroconvergenti. In tale prospettiva va apprezzata la prudenza italiana, come quella tedesca, per non demonizzare Israele pur con postura amichevole verso il mondo islamico, mentre va criticata la posizione di Parigi che demonizza Gerusalemme per competere con l’Italia e altri nelle relazioni con l’islam. Per il corridoio ferroviario di Lobito (Angola) finalizzato al reperimento di materie prime critiche africane, gli Stati Uniti, interessati per il contenimento dell’influenza cinese, sono il partner principale per motivi di ombrello di sicurezza. E ci sono almeno una ventina di casi dove l’azione italiana deve ingaggiare o europei o americani o giapponesi per aumentare la sua presenza globale utile all’export. E dentro l’Europa? Certamente di più, ma va prevista una forte concorrenza. Quindi fuori dall’Europa o fuori dal business, ma in modi compatibili con l’Ue, l’America e il G7 e il sostegno dei più potenti tra questi attori. In conclusione, il cambio di mondo detto sopra costringe l’Italia ad un salto più in alto. I lettori si rendano conto dell’enorme complessità di tale impegno e raccomando loro di dare più attenzione a questo sforzo di interesse nazionale vitale. Invito a leggere per i dettagli il mio Italia globale (Rubbettino, novembre 2023).www.carlopelanda.com
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Negli anni Dieci del secolo XX il fisiologo triestino Amedeo Herlitzka sperimentò a Torino le prime apparecchiature per l'addestramento dei piloti, simulando da terra le condizioni del volo.
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Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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Stadio di San Siro (Imagoeconomica)
Ieri il Meazza è diventato, per 197 milioni, ufficialmente di proprietà di Milan e Inter. Una compravendita sulla quale i pm ipotizzano una turbativa d’asta: nel mirino c’è il bando, contestato da un potenziale acquirente per le tempistiche troppo strette.
Azione-reazione, come il martelletto sul ginocchio. Il riflesso rotuleo della Procura di Milano indica un’ottima salute del sistema nervoso, sembra quello di Jannik Sinner. Erano trascorsi pochi minuti dalla firma del rogito con il quale lo stadio di San Siro è passato dal Comune ai club Inter e Milan che dal quarto piano del tribunale è ufficialmente partita un’inchiesta per turbativa d’asta. Se le Montblanc di Paolo Scaroni e Beppe Marotta fossero state scariche, il siluro giudiziario sarebbe arrivato anche prima delle firme, quindi prima dell’ipotetica fattispecie di reato. Il rito ambrosiano funziona così.











