2018-08-30
«All’Arena devo tutto, tornerà a splendere»
L'ex soprano Cecilia Gasdia alla sua prima stagione come sovrintendente: «La scarsa qualità ha fatto scappare il pubblico, chiamerò i talenti e i migliori cantanti. L'opera può piacere pure ai giovani: non è in streaming, ma emozione pura con 1.250 persone dietro le quinte».Da piccola sognava di diventare pilota dei caccia militari, ma il padre, che era stato nell'Arma di cavalleria, la stroncò: «Non è possibile, sei una donna». Ce l'ha fatta a prendere il brevetto di volo e oggi è nella cabina di pilotaggio di un aereo spettacolare, anche se instabile. Vincendo ancora una volta un pregiudizio. Cecilia Gasdia è dalla primavera scorsa la prima sovrintendente donna alla guida dell'Arena di Verona. Un colosso che l'anno scorso ha richiamato quasi 381.000 spettatori, macinando 22,5 milioni di incassi. Eppure, quello che è uno dei più bei teatri all'aperto del mondo arriva da un decennio disastrato: un commissariamento, 26 milioni di buco lasciati in eredità dal sindaco Flavio Tosi, il corpo di ballo licenziato, esposti, scioperi e turbolenze delle maestranze. Che sono tornate a scioperare, prima del Barbiere di Siviglia del 9 agosto, in piena stagione lirica, chiedendo garanzie credibili su organici, contratti, concorsi e su una programmazione spalmata su 12 mesi. L'ex soprano, 58 anni, non sembra sentire la pressione. Vincitrice del concorso internazionale di voci Maria Callas della Rai nel 1980, ha calcato i palcoscenici di tutto il mondo, interpretando più di 90 ruoli a fianco dei più bei nomi della lirica, diretta da maestri come Riccardo Muti, Herbert von Karajan e Claudio Scimone. I maligni le pronosticano un flop, ma lei non teme di steccare: «La mia sarà una programmazione oculata, da buon padre di famiglia che dovrà pagare le spese per i precedenti sprechi. Le responsabilità di cui dovremo tener conto sono tante, non solo artistiche».Sovrintendente, l'Arena ha visto negli anni un calo della qualità e un debito salito vertiginosamente. Come si rimedia?«Stiamo prendendo ogni misura possibile per ridurre le uscite e aumentare le entrate senza perdere la qualità, anzi, aumentandola. La qualità è il motore necessario della nostra crescita, per riavvicinare il pubblico che si era allontanato dall'Arena e per accogliere al meglio il nuovo. Un'impresa difficile, perché il piano di risanamento ci impone anche nel 2018 due mesi di stop assoluto non retribuito per tutti i dipendenti della Fondazione. Ma non è impossibile farcela, se tutti si impegnano».Come sta andando la sua prima stagione?«Siamo quasi alla fine e le cose stanno andando meglio rispetto al passato, anche se è presto per sbilanciarsi. Abbiamo avuto grandi soddisfazioni per il Barbiere di Siviglia, con un grande cast - da Leo Nucci a Ferruccio Furlanetto - che è diventato il fiore all'occhiello di un'Arena più attenta alle grandi voci. Un mio azzardo è stato anche scommettere sui giovani. Molti dei debuttanti hanno risposto benissimo, riscuotendo un buon successo di pubblico e migliorandosi ogni sera. Molti altri grandi che non erano mai stati all'Arena si stanno affacciando adesso su questo teatro unico: Anna Netrebko, per esempio, che debutterà nel 2019 nel Trovatore con il marito Yusif Eyvazov. Stiamo lavorando per allargare gli inviti, vogliamo portare in Arena nei prossimi anni tutti i più grandi, insieme ai giovani talenti».Il gruppo politico di Flavio Tosi la accusa di non avere capacità manageriali e di essere una nomina politica, in quota Fratelli d'Italia.«A chi pensa questo, direi di provare a candidarsi in piena campagna elettorale a soli due mesi dalle elezioni, per uscirne sovrintendenti. Credo che le motivazioni che hanno portato alla mia nomina siano altre. Conosco l'Arena dall'interno da quando avevo 16 anni, mi ha dato tanto come figurante, come artista del coro e come solista. Ricordo la grandezza dell'Arena di allora e a quella grandezza internazionale voglio riportarla, ora che ho l'occasione di restituire tutto ciò che mi ha dato». Quante ore lavora al giorno?«Non tengo il conto. Di solito, durante l'anno, mi sveglio alle 6 e sono al lavoro in ufficio per le 7.30, fino alle 19.30. Dopo quell'ora si va in teatro, sia al Filarmonico o in Arena. Durante il festival estivo le lancette dell'orologio si spostano più avanti: l'opera finisce sempre dopo mezzanotte». Negli ultimi anni in molti hanno detto che l'opera è morta. Il rapporto 2017 della Siae segnala però una buona salute della lirica (+8,68% il numero degli spettatori), in controtendenza rispetto al crollo del cinema. E le prime posizioni sono occupate dalle opere dell'Arena 2017, da Nabucco all'Aida.«Mi verrebbe da dire che, rispetto al cinema, un'opera in streaming non si può riprodurre. Non parlo ovviamente della trasmissione in diretta, ma dell'insostituibile emozione di uno spettacolo dal vivo con il lavoro di centinaia di persone in carne e ossa davanti a te. Contrariamente a quel che si pensa, l'Arena non è solo un bacino per turisti. La risposta dei giovani è incoraggiante. In parallelo c'è la crescita dei molti giovani che vogliono fare musica e si iscrivono a corsi di studio per affrontare le professioni del canto e delle arti».La sua prima in Arena da sovrintendente?«L'emozione è stata grande: a gioia e privilegio si è unito il senso vivido di grande responsabilità. Dall'inizio sapevo che sarei sempre stata presente, vigile e d'aiuto per il corretto funzionamento dell'immensa “macchina" areniana, che durante il festival supera le 1.250 persone tra artisti, maestranze, comparse, sarte, truccatori, calzolai, artigiani». Guardando i cantanti sul palco, ha nostalgia dei suoi anni da soprano? «Non proprio nostalgia, ma una folata di gioia. Sono presente ogni sera, a un passo dal palcoscenico, per vedere, controllare e, se c'è il giusto trasporto sulla scena, partecipare emotivamente. Se lo spettacolo va come deve andare, la gioia e la passione dal palcoscenico sono contagiose».Ricorda il suo debutto in Arena? «Ricordo bene il debutto nel 1976, nel Boris Godunov come comparsa, e nel 1983 come Liù in Turandot. A pensarci mi viene un leggero brivido ancora adesso: sono state sere indimenticabili, in cui anche il figurante più lontano dal golfo dell'orchestra si sentiva protagonista, parte di un incantesimo enorme per un pubblico di oltre 13.000 persone. Bisognerebbe provare anche per una sola sera a essere su questo palcoscenico unico, per capirne meglio il mistero». Nel 1996 rischiò la vita sul palco dell'Arena perché stava malissimo e dovette cantare perché non le trovarono una sostituta.«La sostituta, a dire il vero, c'era, ma le fu accordato un permesso artistico extra Arena la stessa sera. Oggi questa cosa non potrebbe accadere, perché abbiamo due possibili sostituzioni per artista. Dobbiamo essere preparati a queste emergenze: a tutte le possibili eventualità va aggiunta anche quella del clima, che può causare malori o sbalzi di pressione a chiunque».Da piccola andava a scuola davanti all'Arena. L'anfiteatro era nel suo destino, anche se il suo sogno da piccola era quello di guidare aerei militari.«L'Arena è sempre stata parte della mia vita di bambina. Sentire i primi lavori di montaggio dalle aule di scuola era il richiamo primaverile. Essere parte di quel mondo era un sogno, così come quello di pilotare aerei militari. Ho potuto coronare entrambi i sogni: uno all'Arena nelle diverse professioni, ora con qualche responsabilità in più, ma anche l'altro. Ho ottenuto il brevetto di volo nel 2001. Ho anche avuto il privilegio di poter pilotare almeno una volta una delle Frecce tricolori».Davvero? Ce lo racconti.«Avevo fatto molti concerti per l'Aeronautica militare e un giorno il capo di Stato maggiore mi ha chiesto che cosa poteva fare per sdebitarsi. Ho risposto: “Vorrei salire una volta sulle Frecce". Così mi hanno addestrato e poi mi hanno fatto provare. Sono stati i 43 minuti più emozionanti della mia vita. Evoluzioni fantastiche, mai un momento di paura».Ha infranto un tabù: essere cantante e mamma.«Per nostra fortuna, la maternità non è più un tabù nell'opera ed è finito il tempo delle dive costrette a scegliere di rimanere sole per il bene della propria carriera. Ho fatto il possibile per conciliare la professione con l'essere mamma, ho portato i miei due figli in tutto il mondo da quando sono nati. Li allettavo in camerino tra un passaggio e l'altro sul palcoscenico. Sono cresciuti tra i violinisti che provavano e i cantanti che facevano i vocalizzi». Renata Tebaldi, al termine di una rappresentazione alla Scala, le disse: «Hai fatto bene a diventare mamma».«Aveva la fama, ma era triste perché non aveva avuto dei figli e una famiglia. “Sei fortunata", disse, “a mettere insieme le due cose"».Lei è anche un'appassionata sportiva.«Sono stata una sciatrice promettente, ho vinto delle gare da bambina. Amo andare in bici, sono una ciclista da viaggi lunghi, mi piace andare nei Paesi dove ci sono molte ciclabili. Quest'anno l'anfiteatro mi ha costretto a passare».Come si diventa campioni nello sport o nell'arte?«Fuoriclasse si nasce. O lo si è o non lo si è. Decide la natura».Un consiglio ai giovani che vogliono sfondare?«Di non sfondare. Di non affrontare la professione con l'intento di diventare subito amati, famosi, ricchi, insomma di successo. Le arti, e la musica in particolare, sono prima di tutto una vocazione, una missione, una passione che va incanalata con metodo. Se si vuole davvero riuscire, non bisogna mai sentirsi arrivati e continuare a studiare, senza perdere il desiderio di migliorarsi, approfondire, ricominciare».Turandot, Aida o Violetta?«Sul palco tutte, nella vita nessuna. Turandot, che sembra forte, capitola solo per un bacio. Le altre muoiono per amore. Nella lirica siamo pieni di eroine che vengono ammazzate per gelosia e passione, come nella vita. In punta di piedi e con rispetto, in Arena abbiamo ricordato e denunciato questo grave fenomeno posando un mazzo di rose rosse su un posto libero in platea alla prima rappresentazione di Carmen, il più famoso femminicidio della storia».
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