
A nove mesi dalle denunce contenute nel memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti, il nuovo Motu proprio di Bergoglio tocca i nodi dell'omosessualità nei seminari e delle «coperture». Smontando così la tesi di chi parlava di «macchinazione politico mediatica».Sono diverse le novità presenti nel Motu proprio Vos estis lux mundi, «Voi siete la luce del mondo», firmato ieri da papa Francesco per la lotta agli abusi del clero. Due meritano una menzione speciale perché sembrano davvero una risposta, seppur indiretta, a molte delle denunce contenute nella testimonianza che l'ex nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, pubblicò su La Verità nell'agosto 2018. Quella testimonianza, derubricata da molti commentatori alla voce «macchinazione politico mediatica», trova, invece, delle conferme. Almeno nella sostanza. Nelle nuove regole valide per tutta la Chiesa, e che arrivano dopo il summit del febbraio scorso a Roma con i capi dei vescovi del mondo, c'è un chiaro riferimento a tutti i delitti commessi contro il sesto comandamento del decalogo (non commettere atti impuri) e tra questi anche quelli che consistono «nel costringere qualcuno, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, a compiere o subire atti sessuali». Il riferimento è rivolto alle molestie compiute da un chierico nei confronti di adulti, siano ad esempio seminaristi, novizi o religiose. Il testo non parla apertamente del problema della cultura omosessualista diffusa nel clero, così come aveva denunciato Viganò e in qualche modo anche Benedetto XVI nei suoi recenti «appunti», ma è chiaro che nel Motu proprio la questione viene annoverata tra le piaghe degli abusi, oltre alle molestie perpetrate nei confronti dei minori e delle persone cosiddette vulnerabili (per queste ultime si considerano anche i casi occasionali in cui viene a mancare la capacità di intendere e di volere).L'altro elemento che rappresenta un riconoscimento della veridicità delle circostanze riportate nella testimonianza Viganò, circostanze che attestavano un sistema di coperture e reticenze fino ai massimi livelli della Chiesa, riguarda l'individuazione di una fattispecie di crimine riferita proprio alle «coperture». Si parla delle «azioni od omissioni dirette a interferire o ad eludere le indagini civili o le indagini canoniche, amministrative o penali, nei confronti di un chierico o di un religioso». Il caso dell'ex cardinale statunitense Theodore McCarrick, oggi ridotto allo stato laicale, secondo Viganò era proprio il frutto di quel sistema, così come lo sono stati altri casi, come ad esempio quello di Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, riconosciuto colpevole dopo decenni di sussurri. Ogni diocesi del mondo entro giugno 2020 dovrà dotarsi di uno «sportello» accessibile al pubblico «per presentare segnalazioni, anche attraverso l'istituzione di un apposito ufficio ecclesiastico». Quindi, ecco un'altra novità, si introduce per chierici, religiosi e religiose «l'obbligo di segnalare tempestivamente» all'autorità ecclesiastica i fatti che riguardino i crimini di abuso. Questo obbligo di denuncia non interferisce con quello eventualmente presente nelle leggi dello Stato in cui avvengono i fatti. Come ci si attendeva, anche in relazione alla valorizzazione delle «periferie» rispetto al «centro», viene ad assumere un ruolo particolare il Metropolita, vale a dire l'arcivescovo che presiede una provincia ecclesiastica che comprende più diocesi e vescovi, come ad esempio il vescovo di Milano o Bologna. Nel caso che l'accusa fondata riguardi un vescovo, anche per aver «coperto» casi di abuso, il Metropolita chiede autorizzazione al Vaticano e quindi procede con l'indagine e ogni trenta giorni informa Roma dell'andamento (entro 90 giorni l'istruttoria deve essere completata). In questo lavoro di indagine il Metropolita può farsi aiutare anche da «persone qualificate», secondo «la necessità del caso e, in particolare, tenendo conto della cooperazione che può essere offerta dai laici». Terminato il lavoro del Metropolita subentra la congregazione della Dottrina della fede che procede secondo le esistenti norme canoniche.Il Motu proprio pubblicato ieri rappresenta un atto concreto rispetto alle critiche di vacuità che avevano accompagnato il summit sulla protezione dei minori del febbraio scorso. «Più volte il Santo Padre ha detto, preparando quell'incontro sinodale», ha dichiarato il cardinale Marc Ouellet a Vaticannews, «di desiderare concretezza ed efficacia, perché ciascun vescovo o superiore religioso partisse da Roma avendo chiaro in mente che cosa fare e che cosa non fare. Questo nuovo documento stabilisce nuove ed efficaci procedure per contrastare la piaga degli abusi». Non si può negare che queste nuove procedure siano misure importanti, a questo punto bisognerà capire quanto aiuteranno nell'applicazione concreta dell'esistente canone 1395 del codice di diritto canonico. Questo canone riguarda i peccati esterni dei chierici commessi contro il sesto comandamento, dal concubinato alla relazione omosessuale, e per cui si può arrivare fino alla dimissione allo stato laicale. Resta sul tavolo la questione spinosa della vita dei seminari in riferimento alla cosiddetta cultura omosessualista che vi si sarebbe infiltrata in vari casi, e che anche Benedetto XVI ha denunciato nei suoi «appunti».Del rapporto tra crisi della dottrina morale e diffusione degli abusi nel clero non c'è traccia in questo Motu proprio, ma non era il contesto per farlo. Peraltro, per qualcuno quella di Ratzinger è solo saggistica personale. Tuttavia le positive azioni concrete messe in campo da Francesco non sono alternative all'analisi di Ratzinger: entrambi riconoscono una necessaria conversione «continua e profonda» a Dio per risolvere davvero questa tragica piaga. Senza avventurarsi, sottolinea Benedetto XVI, in «un'altra Chiesa inventata da noi».
Ansa
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