
I pm che indagano sulla morte della giovane insegnante avanzano dubbi «sull'autenticità della sottoscrizione di alcuni documenti». Un carteggio durato un anno avrebbe inciso sulla scelta di mettere fine alla propria vita.Era bella, Alessandra. Lo sguardo intenso. I capelli corvini. Quei denti bianchissimi, scoperti dal sorriso ammaliante. È morta, Alessandra. Il 27 marzo 2019, in una spoglia villetta color cobalto della zona industriale di Pfäffikon, vicino Zurigo. È la casa dei suicidi assistiti. La clinica svizzera Dignitas, specializzata in eutanasia, porta qui suoi pazienti. Come Dj Fabo: cieco e tetraplegico, arrivato e mai ripartito. O Alessandra Giordano: 46 anni, insegnante di Paternò, vicino Catania. Lei, però, non era una malata terminale. Era solo depressa. E, negli ultimi tempi, soffriva di una nevralgia cronica: la sindrome di Eagle. Eppure non c'è più. È fuggita da quel paesone siciliano e da quella vita che le sembrava disperante, lasciando l'ignara famiglia nell'angoscia. Voleva essere dimenticata da tutti. Invece, come ha rivelato La Verità, la procura di Catania ha aperto un'inchiesta per «istigazione al suicidio». Qualcuno ha fomentato la sua debilitata coscienza? Panorama è in grado di anticipare i nuovi, inattesi, scenari dell'indagine. Che ora potrebbe intrecciarsi con la discussione parlamentare sull'eutanasia, proposta dai 5 stelle.I magistrati hanno avviato le verifiche dopo la denuncia dei familiari della donna. Referti medici, carteggi, contratti, pagamenti: tutto sequestrato. Tra questi, ad esempio, c'è anche la fotocopia di un articolo. L'ha scritto Emilio Coveri, presidente di Exit. Si definisce: associazione italiana per il diritto a una morte dignitosa. Ed è in stretti legami con Dignitas. Quell'articolo, in realtà, è un dettagliatissimo racconto. Viene pubblicato a gennaio 2018, sul periodico inviato ai soci di Exit. Coveri riferisce di una telefonata ricevuta da Alessandra, che vive a Paternò. L'ha contattato qualche settimana prima, mentre s'avvicinava il Natale. «È sola e i suoi parenti non accettano che lei voglia andare a morire in Svizzera», spiega l'articolo. «Ogni tanto», prosegue, «lei mette davanti il fatto che è credente». Insomma, pare vacillare. Una lunga telefonata. E alla fine, ammette il presidente di Exit, «mi sento felice». Chiarisce: «Ha prevalso la mia teoria. La vita è nostra, di nessun altro. Tanto meno di quel Dio che vuole farci soffrire inutilmente e di tutta la sua banda». Parole che adesso sono al vaglio degli investigatori. Alessandra, dopo quel colloquio, s'iscrive a Exit: «Il cui ruolo di eventuale rafforzamento del proposito suicida», annota la procura, «è ancora da valutare in ogni suo aspetto».Nell'inchiesta, però, è finito anche lo scambio di mail tra Dignitas e Alessandra. Come la comunicazione del 3 maggio 2018. La clinica chiede alcuni documenti alla donna. E un chiarimento, su un referto medico inviato due mesi prima. Quel passaggio perplime: «Una frase in cui il dottore spiega che, dopo tre giorni di trattamento infiltrativo, il dolore le è passato del tutto». Insomma: la nevralgia di Alessandra forse viene e va. Così Dignitas sollecita Alessandra: deve far confermare al suo neurologo «che il dolore purtroppo è tornato o riapparirà imperterrito». Il primo atto firmato della procura di Catania è deflagrante: il 29 marzo 2019 chiede il sequestro preventivo dei beni dell'insegnante. I pm temono che abbia intestato i suoi averi alla clinica. I magistrati argomentano: «Appare altamente probabile che la donna abbia assunto obbligazioni a favore degli stessi autori del reato». Ovvero: «I legali rappresentanti della struttura in cui ha trovato la morte». I pm aggiungono: «Il rispetto delle procedure di legge sembra quantomeno dubbio». L'8 aprile 2019 il gip di Catania non convalida però il sequestro. La scelta di Alessandra, argomenta, è stata libera e consapevole: l'insegnante non era in uno stato di «infermità o deficienza psichica». Contro il provvedimento del giudice, la procura presenta appello lo scorso 15 aprile. Cinque pagine. Che ripercorrono lo stato delle indagini e schiudono l'orizzonte dell'inchiesta. Panorama ne svela il contenuto. I magistrati precisano: ad Alessandra, «che soffriva di disturbi connessi alla depressione», la clinica ha fatto sottoscrivere alcuni documenti. Era diventata socia di Dignitas, che l'avrebbe tutelata nei suoi interessi: «Avanzando nei congiunti fondati dubbi sulla piena consapevolezza riguardo gli effetti di tali disposizioni, nonché sull'autenticità della sottoscrizione».Sospetto atroce. Ma tutto da dimostrare. Come l'istigazione al suicidio, del resto. Ipotesi rafforzata, sostiene la procura, da un carteggio telematico cominciato più di un anno fa. La morte dell'insegnante, spiegano i magistrati, «è il frutto di un lungo ma costante accompagnamento». Da parte di chi? «Ignoti esponenti della clinica elvetica», li chiamano i pm. «Hanno inciso inevitabilmente sull'iter formativo della decisione finale della donna». Gli «ignoti» chiedevano certificati medici e documenti. Davano suggerimenti, anche sugli alberghi disponibili. O indicazioni, per superare gli ostacoli burocratici. Ancora: «Fornivano tranquillizzanti messaggi di comprensione e praticabilità di una scelta che anche loro hanno contribuito a far maturare». Uno snodo dell'inchiesta sembra dirimente: Alessandra poteva morire? L'eutanasia in Svizzera è lecita. «Tuttavia», sostengono i magistrati, «appare alquanto dubbia la sua ammissibilità nel caso delle patologie di cui soffriva la Giordano, come la depressione o la sindrome di Eagle, che altro non è che una nevralgia cronica». È invece possibile, ricordano i pm, in altri casi «debitamente certificati». Ovvero: «Patologie incurabili, handicap intollerabili o dolori insopportabili». Per questo, la procura ha chiesto una consulenza tecnica psichiatrica e neurologica. Ricordando che «il codice penale elvetico, prevede la punibilità dell'istigazione o dell'aiuto al suicidio in caso di fine egoistico». Come quello «finalizzato ad appropriarsi di beni materiali». Sull'appello cautelare presentato dalla procura deciderà il Tribunale del riesame di Catania, presieduto da Sebastiano Mignemi. Le indagini però proseguono. I pm, nelle prossime settimane, potrebbero iscrivere qualcuno nel registro degli indagati. Il dubbio investigativo è diventato un tarlo: chi ha soffiato sulla fiammella che teneva in vita Alessandra?
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».
La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.




