2021-09-24
Alcune regioni dimostrano che la dad si può evitare. Estendiamo il modello a tutte
Veneto e Alto Adige mandano al domicilio solo l'alunno positivo, evitando di chiudere intere classi. E uno studio di «Lancet» conferma: meglio così che le maxi quarantene.Altro che dad scongiurata. La scuola è ripresa da pochi giorni e sono già preoccupanti i numeri degli studenti costretti a casa per un solo positivo al Covid registrato in classe. La quarantena dei «contatti asintomatici ad alto rischio» non è uguale per tutti. Da 14 giorni per chi non farà il tampone al termine dell'isolamento si scende a dieci, per i non vaccinati, infine a sette per l'allievo con due dosi in corpo.L'ha deciso il governo, mentre sono le singole Regioni che stabiliscono i criteri secondo i quali si rimane in presenza o si finisce in dad, perché non c'è un protocollo nazionale. Un controsenso inspiegabile, che giustifica l'inevitabilità della didattica a distanza per intere classi invece che per pochi allievi risultati positivi. Basterebbe però, come vedremo, estendere a tutto lo Stivale il modello - che funziona - seguito da Veneto e Provincia autonoma di Bolzano per liberare dagli arresti domiciliari migliaia di studenti.Così accade che in Lombardia ci siano 90 classi in isolamento solo per un alunno contagiato. «Una misura che va rivista e corretta», ha commentato sul Corriere della Sera il coordinatore regionale della campagna anti Covid, Guido Bertolaso, «i ragazzi devono andare a scuola. Si facciano tamponi anche agli alunni anziché metterli tutti in quarantena, sempre in Regioni dove la situazione è migliore». La Toscana isola l'intera scolaresca. «Ogni volta che abbiamo un positivo tra i ragazzi dobbiamo mettere tutta la classe in quarantena», si è lamentato sulla Nazione Alessandro Artini, presidente regionale dell'Associazione presidi. L'Azienda sanitaria Toscana centro ha conteggiato ben 41 classi già in dad nella sola provincia di Firenze. Lo stesso accade in Puglia, con 45 classi in quarantena dopo l'accertamento di una positività al Covid, e in Sicilia dove, se si verifica un caso di Covid-19, secondo i protocolli sanitari gli studenti rimangono in isolamento nelle rispettive abitazioni seguendo le lezioni con la didattica a distanza. A Sciacca, in provincia di Agrigento, per un professore di religione positivo al tampone ben otto classi di una scuola primaria sono rimaste senza lezioni in presenza. In Basilicata si contano nove classi in quarantena per un totale di 137 studenti costretti alla dad. In Veneto, invece, dove sono state somministrate l'89% delle dosi distribuite e dove la campagna vaccinale procede anche con il booster per persone più anziani e fragili, a partire dalla scuola primaria si lascia a casa solo l'alunno positivo al Covid. Il resto della classe, se negativo al tampone, continua la frequenza. Il governatore Luca Zaia non è certo uno che rallenta nel raccomandare il vaccino anti Covid, due giorni fa annunciava soddisfatto che nella sua Regione «i ventenni, finora, hanno fatto meglio di tutti e sono al 77% mentre i ragazzi sotto i 20 anni hanno raggiunto il 64%». Se il presidente ha deciso che solo l'alunno positivo va in dad, non lo si può certo definire un irresponsabile. E i risultati si vedono, con appena 25 classi in quarantena nel Veneto. D'altra parte, negli Stati Uniti sta funzionando il test to stay ovvero un tampone quotidiano per gli studenti contagiati ma senza sintomi, che possono continuare la frequenza scolastica con mascherina e distanziamento. Che sia una buona pratica lo conferma uno studio su The Lancet condotto in Gran Bretagna, dal quale risulta che non si verificavano molti più contagi se gli studenti infetti, monitorati ogni sette giorni, venivano lasciati in presenza. Un po' come accade in Provincia di Bolzano dove, in caso di un singolo caso di positività, finiscono in dad solo i compagni di classe che non partecipano allo screening permanente con i test nasali, adottato dalla Provincia autonoma. Il problema, dunque, è distribuire tamponi in grandi quantità e rapidamente, cambiando l'approccio verso i contagi a scuola. «In età pediatrica trattiamo l'infezione da Covid come se fosse una normale influenza», ha dichiarato pochi giorni fa alla Verità Gian Vincenzo Zuccotti, pediatra, direttore del dipartimento di pediatria all'ospedale Buzzi di Milano, suscitando moltissime reazioni positive e condivisioni. In Emilia Romagna, nella primaria e secondaria di primo e secondo grado finiscono in quarantena i compagni di banco, gli altri sospendono la frequenza ma se risultano negativi al tampone tornano in aula. Il Lazio intende muoversi in questa direzione: «Bisogna evitare il più possibile l'inconveniente della quarantena sia a livello di numeri che di tempo», ha dichiarato Alessio D'Amato, assessore alla Sanità, proponendo di fare come capita in aereo. «Se c'è un positivo vanno in quarantena i passeggeri nelle due file dietro, davanti, e di lato rispetto al caso. Lo stesso meccanismo può essere applicato nelle scuole, sostituendo alle file i banchi». Le Asl laziali non sarebbero d'accordo perché mancano medici per fare lo screening, quindi il problema è di scelta politica, di investire in tamponi a tappeto per scongiurare la dad. Senza dimenticare il grande problema dei servizi 0-3 anni e della scuola dell'infanzia dove, in caso di positività di un bimbo, in ogni Regione si applica la quarantena a tutti i compagni di sezione. Il dipartimento di Sanità locale può estendere l'isolamento ad altre classi o addirittura chiudere la scuola, con enormi problemi per i piccoli e i loro genitori.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)