2024-07-29
Alberto Muraglia: «Altro che vigile in mutande... Avevo ragione io e me ne vado»
Il pubblico ufficiale trasformato in mostro per aver timbrato con gli slip: «Tornavo dalla Milano-Sanremo, turno di 12 ore. Ho vinto la causa, ora faccio l’aggiustatutto».La prima domanda è banale. Come sta Alberto Muraglia? «Dopo aver vinto anche l’ultimo grado di giudizio, mi sono tolto un peso dallo stomaco».In pochi conoscono Muraglia. Ma se chiediamo del vigile di Sanremo che ha timbrato in mutande se lo ricordano tutti. Che effetto le fa tutto questo?«Me ne son fatto una ragione». Non diamo per scontato che i lettori conoscano come si è poi sviluppata tutta la sua complicata vicenda giudiziaria dopo la diffusione del video. Ce la sintetizza?«Ha cinque-sei ore da dedicarmi?».Confido nella sua capacità di sintesi, lo confesso.«Un bravo giornalista d’inchiesta potrebbe scrivere un libro sulla mia storia e farebbe un discreto successo. Ho mandato una mail a Gianrico Carofiglio, ma non mi ha risposto».Mi sa che ha sbagliato interlocutore. Se vuole le do io un consiglio. Il nostro Giacomo Amadori è il numero uno nella cronaca giudiziaria in Italia.«Mi hanno arrestato alle 10 del mattino e tenuto ai domiciliari per la bellezza di 86 giorni. Mi hanno sequestrato le armi, anche quelle per uso sportivo e quelle per andare a caccia. Il mio comandante, presente all’arresto quando mi hanno requisito la pistola di ordinanza, mi ha consigliato un avvocato. Mi sono subito letto il fascicolo e ho chiamato il mio legale alle 19 dicendogli: “Guardi che io non ho fatto nulla di quello per cui mi accusano”. Lui ingenuamente non ci credeva: “Ma dice sul serio?”, è stata la sua risposta incredula. Mi ha raggiunto subito ed è uscito alle 2 del mattino da casa mia dicendomi: «Andiamo dal gip senza avvalerci della facoltà di non rispondere e chiediamo subito la revoca degli arresti domiciliari perché lei non c’entra niente”. Le va bene come sintesi?».Aspetti un attimo: mi spiega l’accusa?«Quattro-sei timbrature in abiti succinti e hanno ipotizzato il resto. Dicendo che rubavo gli straordinari. Domenica 23 marzo 2014 ho fatto 12 ore di straordinario come qualsiasi collega. Perché se non hai la febbre a 40 quando c’è la Milano-Sanremo secondo lei cosa fa un vigile? Lei è appassionato di ciclismo?».Una volta ne andavo matto. Chi ha vinto quell’anno?«Non ricordo. Forse un belga. Ma ricorderà che quel giorno a Ovada i ciclisti hanno dovuto prendere il pullman perché sul Turchino nevicava. Pioggia e neve devastanti. Rientro dopo 12 ore di onorato servizio con la mia vespa nella zona del mercato dove ho anche l’abitazione, accanto all’ufficio anagrafe. Arrivo sul pianerottolo e mi trovo mia moglie. Lei sa come è fatta una moglie».Un po’…«Mi fa: “Mica vorrai entrare in questo stato”. Mi dà un asciugamano. Mi spoglio sul pianerottolo e mi asciugo e nel frattempo timbro. Ecco il mio furto di straordinario. Ecco spiegato l’arresto».L’hanno arrestata per il rischio di reiterazione del reato?«Assieme ad altre 41 persone. Dipendenti comunali. Con contestazioni varie».E...?«I dieci - fra cui io - che hanno scelto il rito abbreviato sono stati tutti assolti in primo grado. Lei capisce che se il 25% degli arrestati viene subito assolto, qualche domanda bisognerà farsela».Il pubblico ministero immagino sia stato così temerario da ricorrere in appello.«Anche in appello hanno confermato l’assoluzione in primo grado». Le è stato riconosciuto un indennizzo di 130.000 euro. Giusto?«Io ho vinto anche tutti i gradi di giudizio nella causa di lavoro. A novembre la Corte di Appello ha condannato il Comune di Sanremo al reintegro e ovviamente al pagamento del dovuto. La sentenza era immediatamente esecutiva. Ho rinunciato al reintegro. Per il resto mi hanno dato un acconto. Mi è giunta voce che l’avvocato del Comune, che è ricorso in Cassazione, avrebbe detto: “Diamogli una parte tanto vinceremo e non saremo tenuti a dargli il resto”». Quindi lei è convinto di dover avere di più!«Non è una convinzione. È pura matematica. Non un’opinione. Se devi darmi otto anni di stipendio rivalutati in base al costo della vita il calcolo è semplice. Con 1.000 euro otto anni fa forse compravi una bici elettrica e oggi ce ne vogliono 1.200. Consideri che le ferie non godute, 53 settimane, devono anch’esse essere retribuite. Io non ho chiesto un risarcimento del danno biologico o di immagine. Ma l’arretrato. Capisce?».Muraglia cosa fa oggi nella vita?«L’aggiustatutto. Ho iniziato a pensare al mio futuro subito dopo l’arresto, anche perché sapevo che mi avrebbero licenziato. Cosa che poi hanno ovviamente fatto. Si erano esposti mediaticamente troppo sul mio caso».Che vuol dire?«Dopo tre giorni, come le dicevo all’inizio, siamo andati dal giudice e abbiamo giustificato tutti gli episodi contestati. Ma il pm ha continuato a ipotizzare condotte illecite che pure non avevano concreto riscontro. Non gliene voglio, la pressione mediatica era fortissima. Anzi una volta mi fece pure sorridere. Mi chiese se per un interrogatorio mi andava bene il giovedì successivo. Ero agli arresti domiciliari. Cosa avrei potuto rispondere?».Ah… Ricapitolando: 90 giorni di arresti. Motivati come? Pericolo di fuga? Inquinamento delle prove? Reiterazione del reato?«Fuga con moglie e tre figli la vedo complicata. Inquinamento delle prove?». La storia dell’inquinamento delle prove non si può sentire in astratto. E non parlo del suo caso. Se hai condotto un’inchiesta seria non c’è più niente da inquinare…«Avrei potuto rimediare un paio di jeans».Rimane la reiterazione del reato. Senta, come si è lasciato con i colleghi?«Le dico del sindaco... se vuole».Prego.«Subito dopo le mie dimissioni mi chiama il sindaco mostrandosi amareggiato. Aveva visto una mia intervista in tv. Mi chiama con fare amichevole dicendosi meravigliato della mia scelta di non accettare il reintegro dopo nove anni di battaglie. Gli ho detto: “Vede, caro sindaco, lei non ha fatto un errore a non chiamarmi mai una volta in questi nove anni, ma a ricorrere in Cassazione nella causa di lavoro riguardo al mio indennizzo».Faccio l’avvocato del diavolo. La cosa ci può stare.«No, guardi mi creda non sta in piedi. Si è fatto fare un parere di fattibilità e convenienza del ricorso in Cassazione dal legale che lo avrebbe redatto e che, a quanto mi dicono, a parcelle non scherza. Un po’ come chiedere al ristoratore se da lui si mangia bene. Ma le dirò di più!»Prego...«Quello stesso avvocato aveva difeso, contro il Comune di Sanremo, due colleghi che erano stati licenziati con me perché ritenuti anch’essi “furbetti del cartellino” nella retata di cui le parlavo all’inizio. Aveva sostenuto che il Comune aveva sbagliato tutto a licenziarci, ma purtroppo per i miei colleghi aveva perso. Per fortuna mia è riuscito a perdere anche dopo il salto della barricata, assistendo il Comune contro di me. Non conosco la deontologia degli avvocati, ma sul piano del buon senso mi sembra una cosa assurda. Non trova?».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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