L’esecutivo, forte del decreto sui Paesi sicuri, trasferirà presto 60-70 persone nei centri fatti costruire oltre Adriatico. Possibili nuovi scontri coi giudici, grazie all’interpretazione della sentenza della Corte Ue.
L’esecutivo, forte del decreto sui Paesi sicuri, trasferirà presto 60-70 persone nei centri fatti costruire oltre Adriatico. Possibili nuovi scontri coi giudici, grazie all’interpretazione della sentenza della Corte Ue.La nave Libra torna nel Mediterraneo: dovrà portare nel Centro per i rimpatri albanese i migranti soccorsi in mare. E adesso? I magistrati getteranno la spugna e la toga? Lasceranno che la struttura si riempia di stranieri da rimandare a casa? Oppure, se investiti dei prevedibili ricorsi, continueranno a contestare i trasferimenti a Gjadër, appigliandosi alla sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre? E il governo ha un piano per affrontare il prossimo round della contesa? Da fonti del Viminale trapela fermezza: avendo l’esecutivo reso la lista dei Paesi sicuri oggetto di una legge, anziché di un decreto ministeriale, per i tribunali non dovrebbe essere più così facile snobbarla, appigliandosi all’inferiorità della fonte giuridica. Va qui ricordato che, in virtù dell’accordo siglato con Edi Rama, sull’altra sponda dell’Adriatico noi possiamo condurre solamente gli stranieri che sono sottoposti a procedure di respingimento semplificate verso Paesi sicuri. Intanto, la maggioranza ha scelto di lasciar decadere, pur senza ritirarlo, il decreto uscito dal cdm del 21 ottobre, che individuava tutte le mete idonnee per i respingimenti. Il suo contenuto è confluito nel dl flussi. Le toghe di Bologna hanno già alzato il tiro, rivolgendo un quesito ai colleghi del Lussemburgo: dal momento che la norma italiana sembra essere in contrasto con quella dell’Ue, così come interpretata dalla Corte di giustizia stessa, quale delle due bisogna applicare? L’ormai famosa sentenza emessa un mese fa, in effetti, qualifica in senso restrittivo la direttiva del 2013. E precisa che gli Stati d’origine possono essere considerati sicuri soltanto se, sulla totalità del loro territorio, non si registrano «generalmente e costantemente» delle persecuzioni.Il problema è che il verdetto lussemburghese, poi, si spinge più in là. Esso assegna ai magistrati il compito di valutare, in sede di ricorso, se l’identificazione dei Paesi sicuri da parte delle autorità competenti, ovvero della politica, sia conforme ai principi dell’ordinamento dell’Ue. In parole povere, introduce un autentico sindacato giudiziario sugli elenchi nazionali, indipendentemente dal prestigio della fonte normativa italiana che li esprime e che, comunque, i giudici e la Consulta reputano subordinata agli editti di Bruxelles.Da questo punto di vista, sono interessanti le iniziative della Lega. La prossima settimana (forse mercoledì), la commissione Politiche dell’Unione europea di Palazzo Madama dovrebbe decidere se inserire nel calendario dei lavori l’indagine conoscitiva sulla gerarchia delle fonti del diritto, promossa dal senatore Claudio Borghi. Il quale è andato dritto al nocciolo della questione: ci si può sottrarre al giogo dell’Ue su una materia che sta tanto a cuore al popolo sovrano e sulla quale anche la nostra Costituzione assegna competenza esclusiva allo Stato, ossia al Parlamento e al governo? Se sì, come? In fondo, i nostri partner non paiono altrettanto solerti nel conferire a direttive e regolamenti comunitari quella primazia che, in Italia, ammettiamo con impareggiabile zelo: «Se la Germania fa quello che vuole», ha commentato con La Verità Borghi, «noi chi siamo, i parenti sotto tutela?».Poi c’è la faccenda degli emendamenti al disegno di legge sulla separazione delle carriere dei magistrati, presentati dal Carroccio per modificare gli articoli 11 e 117 della Carta. Obiettivo: stabilire che «le norme italiane prevalgono rispetto a quelle europee». Se passassero, sarebbe una rivoluzione giuridica. È una strada difficilmente percorribile, benché parecchi, da Varsavia a Berlino, l’abbiano già battuta.La partita è apertissima. E l’esecutivo non è disposto a mollare l’osso. L’investimento simbolico (ed economico) sull’esperimento albanese, che è una novità forse capace di fare scuola, è stato troppo consistente per tirarsi indietro dinanzi alla levata di scudi delle toghe. La parola a loro: dimostreranno se sono impegnate nella difesa del diritto o in una crociata ideologica. Ieri, la stampa che di quegli ambienti è il megafono insisteva: gli organismi giudiziari non sono tenuti ad «aiutare» il governo. Dio ce ne scampi: viva la magistratura indipendente. Ma non quella che, il governo, ha la missione di affossarlo.Il clima è incandescente. Domani, nel capoluogo emiliano, si svolgerà l’«assemblea straordinaria» con il capo dell’Anm, Giuseppe Santalucia, furioso per i pezzi della Verità sul pedigree ideologico del giudice di Bologna, Marco Gattuso. Salvatore Casciaro, segretario generale dell’associazione, ha auspicato che «si torni a un clima di rispetto del ruolo costituzionale della giurisdizione e che cessino» gli attacchi «anche personali» ai magistrati. E il presidente delle Camere penali, Francesco Petrelli, ha manifestato «il timore che», nel conflitto tra politica e giustizia, «si vada incontro a una indebita escalation che potrebbe coinvolgere anche l’Europa». Perché è venuto a galla il nodo del primato del diritto Ue e perché il dossier immigrazione sta agitando la maggioranza Ursula bis: il Ppe fa asse con i vituperati sovranisti. Palla al centro: comincia il secondo tempo.
Antonio Scurati (Ansa)
Eccoli lì, tutti i «veri sapienti» progressisti che si riuniscono per chiedere all’Aie di bandire l’editore «Passaggio al bosco» dalla manifestazione «Più libri più liberi».
Sono tutti lì belli schierati in fila per la battaglia finale. L’ultima grande lotta in difesa del pensiero unico e dell’omologazione culturale: dovessero perderla, per la sinistra culturale sarebbe uno smacco difficilmente recuperabile. E dunque eccoli, uniti per chiedere alla Associazione italiana editori di cacciare il piccolo editore destrorso Passaggio al bosco dalla manifestazione letteraria Più libri più liberi. Motivo? Tale editore sarebbe neofascista, apologeta delle più turpi nefandezze novecentesche e via dicendo. In un appello rivolto all’Aie, 80 autori manifestano sdegno e irritazione. Si chiedono come sia possibile che Passaggio al bosco abbia trovato spazio nella fiera della piccola editoria, impugnano addirittura il regolamento che le case editrici devono accettare per la partecipazione: «Non c’è forse una norma - l’Articolo 24, osservanza di leggi e regolamenti - che impegna chiaramente gli espositori a aderire a tutti i valori espressi nella Costituzione italiana, nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in particolare a quelli relativi alla tutela della libertà di pensiero, di stampa, di rispetto della dignità umana? Poniamo quindi queste domande e preoccupazioni all’attenzione dell’Associazione italiana editori per aprire una riflessione sull’opportunità della presenza di tali contenuti in una fiera che dovrebbe promuovere cultura e valori democratici». Memorabile: invocano la libertà di pensiero per chiedere la censura.
Olivier Marleix (Ansa)
Pubblicato post mortem il saggio dell’esponente di spicco dei Républicains, trovato impiccato il 7 luglio scorso «Il presidente è un servitore del capitalismo illiberale. Ha fatto perdere credibilità alla Francia nel mondo».
Gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Anzi, visto che siamo in Francia, l’ambientazione è più quella di un noir vecchio stile. I fatti sono questi: un politico di lungo corso, che conosce bene i segreti del potere, scrive un libro contro il capo dello Stato. Quando è ormai nella fase dell’ultima revisione di bozze viene tuttavia trovato misteriosamente impiccato. Il volume esce comunque, postumo, e la data di pubblicazione finisce per coincidere con il decimo anniversario del più sanguinario attentato della storia francese, quasi fosse un messaggio in codice per qualcuno.
Roberto Gualtieri (Ansa)
Gualtieri avvia l’«accoglienza diffusa», ma i soldi andranno solo alla Ong.
Aiutiamoli a casa loro. Il problema è che loro, in questo caso, sono i cittadini romani. Ai quali toccherà di pagare vitto e alloggio ai migranti in duplice forma: volontariamente, cioè letteralmente ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione oppure involontariamente per decisione del Comune che ha stanziato 400.000 euro di soldi pubblici per l’accoglienza. Tempo fa La Verità aveva dato notizia del bando comunale con cui è stato istituito un servizio di accoglienza che sarà attivo dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2028. E ora sono arrivati i risultati. «A conclusione della procedura negoziata di affidamento del servizio di accoglienza in famiglia in favore di persone migranti singole e/o nuclei familiari o monogenitoriali, in possesso di regolare permesso di soggiorno, nonché neomaggiorenni in carico ai servizi sociali», si legge sul sito del Comune, «il dipartimento Politiche sociali e Salute comunica l’aggiudicazione del servizio. L’affidamento, relativo alla procedura è stato aggiudicato all’operatore economico Refugees Welcome Italia Ets».
2025-12-03
Pronto soccorso in affanno: la Simeu avverte il rischio di una crisi strutturale nel 2026
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iStock
Secondo l’indagine della Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza, dal 2026 quasi sette pronto soccorso su dieci avranno organici medici sotto il fabbisogno. Tra contratti in scadenza, scarso turnover e condizioni di lavoro critiche, il sistema di emergenza-urgenza rischia una crisi profonda.
Il sistema di emergenza-urgenza italiano sta per affrontare una delle sue prove più dure: per molti pronto soccorso l’inizio del 2026 potrebbe segnare una crisi strutturale del personale medico. A metterne in evidenza la gravità è Alessandro Riccardi, presidente della Simeu - Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza - al termine di un’indagine che fotografa uno scenario inquietante.






