2021-02-10
Al via i licenziamenti di massa all’ex Embraco
Il curatore fallimentare apre la procedura per lasciare a casa 398 persone su 406. Dopo tre anni di promesse di Carlo Calenda, Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli, 13 milioni di aiuti pubblici alla proprietà e l'intervento dell'Invitalia targata Domenico Arcuri, i dipendenti finiscono per stradaDopo diversi milioni di euro di soldi pubblici e molti anni di «sala d'attesa», per i lavoratori della ex Embraco è arrivata la parola fine. Il curatore fallimentare ha presentato la richiesta di licenziamento collettivo per 398 lavoratori su 406 dello stabilimento di Riva di Chieri (Torino), rilevato dalla Ventures production nel 2018. Quella giunta ieri non è purtroppo una notizia inaspettata. Come hanno spiegato i sindacati, si tratta di una decisione ampiamente attesa. Fim, Fiom, Uilm, Uglm di Torino hanno chiesto un incontro urgente con il curatore fallimentare. La procedura iniziata ieri lascia 75 giorni di trattativa prima di rendere effettivi i licenziamenti. Il che significa che a partire da maggio circa gli operai non prenderanno più lo stipendio. La verità, purtroppo, è che è stata proprio la politica a non essere riuscita a cavare un ragno da un buco in questa vicenda e c'è da credere che, purtroppo, la situazione non cambierà. L'unica certezza è che per evitare il peggio (senza riuscirci) sono stati spesi 13 milioni di euro di soldi pubblici. Tutto è iniziato tra il 2004 e il 2005, quando l'allora ministero delle Attività produttive decise di dare 5 milioni a fondo perduto, fondi che si aggiunsero ai quasi 8 milioni che la Regione Piemonte spese per finanziare l'acquisto dello stabilimento di Riva di Chieri. Grazie a quei soldi la Whirlpool, che ai tempi controllava la Embraco, non portò la produzione nell'Europa dell'Est, dove costruire elettrodomestici costa meno. In pratica, la Regione Piemonte, tramite la sua società finanziaria, si compra lo stabilimento (25.600 metri quadri) e in cambio la Whirlpool si impegna a produrre in Italia. La pace dura apparentemente una decina d'anni. Nel frattempo, Finpiemonte ha ceduto il 70% dello stabilimento piemontese della Embraco a due imprese. La fabbrica impiega 593 addetti (110 in cassaintegrazione) e la casa madre americana è pronta a sborsare altri 15 milioni di euro a patto, però, che l'allora presidente della Regione Roberto Cota si impegni a reperire 2 milioni a sostegno degli investimenti e per ammodernamenti. Sulla poltrona più alta del dicastero dello Sviluppo economico c'è Federica Guidi, affiancata dal suo vice Carlo Calenda. I 2 milioni richiesti dagli americani non arriveranno mai e quel poco di solidità che lo stabilimento si era guadagnato svanisce in una bolla di sapone: i problemi tornano più forti di prima. Dagli Stati Uniti fanno sapere che intendono licenziare 497 lavoratori e portare, dopo aver preso non pochi soldi pubblici, la produzione in Slovacchia. Calenda, intanto diventato ministro dello Sviluppo economico, afferma di aver proposto alla Embraco di ritirare i licenziamenti per avviare insieme un processo di reindustrializzazione. L'offerta di Calenda non produce alcun effetto e il governo e l'azienda finiscono ai ferri corti. Visti i risultati non certo entusiasmanti, Calenda decide di tirar fuori l'artiglieria pesante e chiama al tavolo della trattativa Invitalia per cercare di trovare un percorso di reindustrializzazione in tempi molto brevi, ma senza risultati. Dopo il nulla di fatto di Calenda, arriva poi quello dei grillini. «La sinistra ci ha traditi, ora speriamo nei 5 stelle», dicevano nel febbraio del 2018 gli operai ai giornali prima delle elezioni del 4 marzo. La vicenda si concluse con un piano di reindustrializzazione facente capo alla Ventures production.Anche in questo caso, la serenità dell'azienda durò poco. Lo stabilimento non raggiunse gli obiettivi previsti dal piano 2015-2018 e lo spettro di una delocalizzazione in Polonia e Turchia tornò a farsi avanti. Su Facebook, fiero, l'allora ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio scriveva di aver chiuso con successo il tavolo: «Siamo riusciti a ottenere zero esuberi e un ritorno delle produzioni dalla Polonia all'Italia». Sei mesi dopo l'azienda tornava ad annunciare nuovi esuberi e imminenti delocalizzazioni. Nel frattempo, la palla passa al nuovo numero uno del Mise, Stefano Patunaelli, che a luglio 2020 deve affrontare il fallimento della Venture capital, sui cui la Guardia di finanza ha aperto un'indagine per bancarotta distrattiva. Dopo mesi di trattative, lotte e proteste per gli ex lavoratori Embraco potrebbero esserci novità positive, diceva il ministro pentastellato in visita a Torino. Il 12 novembre 2020 il tavolo convocato presso il ministero dello Sviluppo economico stabilisce la creazione di una newco con un investimento di 56 milioni di euro. La nuova società, nominata Italcomp, nascerebbe grazie alla garanzia Sace e dalla fusione della Wanbao-Acc di Mel di Borgo Valbelluna e la ex Embraco di Chieri, avviando in quest'ultima una linea di produzione di motori per lavatrici e di compressori per frigoriferi, investendovi 8 e 10 milioni di euro. Passano tre mesi circa, ma il progetto Italcomp non prende mai vita. Tutto finisce ancora una volta in una bolla di sapone e così la curatela fallimentare avvia le procedure di licenziamento per i dipendenti.