2023-11-23
Al posto dell’educazione sessuale leggete Mishima
Yukio Mishima (Getty images)
Ne «La via del guerriero», lo scrittore invita al confronto quotidiano con la morte, il dolore e la delusione. È la via per affrontare le sconfitte e imparare il sacrificio e il rispetto. Quello che serve a noi contemporanei.Si sprecano, negli ultimi giorni, i piani rieducativi a beneficio delle giovani generazioni di uomini: letture, corsi, incontri nelle scuole per - così si dice - imparare ad amare correttamente e a gestire nel migliore dei modi la mascolinità. I libri citati e le presunte buone istruzioni tirate in ballo da intellettuali e maestri di vario ordine e grado rientrano più o meno tutte nell’orizzonte progressista e nessuno sembra essere sfiorato dall’idea che forse è proprio quel tipo di mentalità ad aver causato alcuni dei principali problemi che ci troviamo ad affrontare come società.È proprio un editore con una lunga storia progressista alle spalle (Feltrinelli) a fornire uno dei più formidabili antidoti alle incrostazioni culturali dominanti, soprattutto quelle riguardanti la mascolinità. Si tratta di un volume intitolato La via del guerriero e firmato dal grande Yukio Mishima. È un testo del 1967, tradotto per la prima volta in italiano e che funge da commento allo Hagakure di Yamamoto Jocho, cioè l’opera che sintetizza i valori e lo stile di condotta dei samurai giapponesi. Riletto oggi, questo libro appare come un concentrato di mascolinità positiva: fornisce indicazioni ed elenca valori che meriterebbero di essere riscoperti proprio per permettere ai ragazzi di fare i conti con la forza, la vis maschile di cui non si leggono che demonizzazioni. Preveniamo le obiezioni: non si tratta affatto di uno stucchevole riassuntino di idee destrorse fuori tempo massimo. Tutt’altro: l’Hagakure offre spunti sorprendenti. È un invito a essere decisi, risoluti, liberi, rispettosi, sensibili. Uomini pieni e radicati, insomma.Mishima invitava a non fermarsi alle «idee stereotipate» sull’etica feudale. «Questo libro», spiegava, «è intriso della libertà di uomini che hanno vissuto all’insegna del rigido sistema di pensiero che, oltre a pervadere ogni aspetto della società e dell’economia, forniva l’assunto delle loro esistenze, un presupposto in base al quale tutto era volto alla celebrazione del vigore e della passione. L’energia è il bene, l’irresolutezza è il male. In quest’opera viene data voce a una saggezza terrena sorprendente e tutt’altro che cinica».La frase forse più famosa dell’Hagakure è la seguente: «La via del guerriero risiede nella morte». Di nuovo, potrebbe sembrare delirante proporla oggi come indicazione di condotta. Eppure, se ci fermiamo a esaminarne il senso profondo, ci rendiamo conto di che cosa significhi davvero confrontarsi con la fine dell’esistenza.Nel mondo moderno, sostiene Mishima, «la morte di un uomo - come quella di chi aspetta di esalare il suo ultimo respiro su un duro letto di una camera di ospedale - non è altro che una piccola morte di cui bisogna sbarazzarsi il prima possibile. II fatto che intorno a noi continui a infuriare la guerra del traffico, che pare abbia già mietuto più vittime della guerra sino-giapponese, conferma il fatto che la vita umana, oggi come in passato è più che mai transitoria. La verità è che non ci piace pensare alla morte», continua lo scrittore. «Non ci piace estrapolare dalla morte quegli elementi validi che potrebbero tornarci utili. Cerchiamo sempre di puntare lo sguardo verso un obiettivo luminoso, positivo e vitale. E, per quanto possibile, ci sforziamo di non pensare mai alla forza che gradualmente erode le nostre vite. Tutto questo ci svela il processo attraverso il quale il nostro umanesimo razionale, mentre da un lato ci induce a puntare lo sguardo solo verso il progresso di una libertà luminosa, dall’altro ci obbliga a rimuovere dalla superficie della nostra coscienza il problema della morte per relegarlo sempre più negli abissi oscuri del subconscio. Ma, cosi facendo, I’impulso verso la morte viene represso e trasformato in qualcosa di sempre più pericoloso, esplosivo e latente. Purtroppo non si tiene conto che, per la salute mentale degli uomini, è essenziale che la morte non venga rimossa dalla superficie della coscienza. La morte esiste, è sempre uguale a sé stessa, oggi come ai tempi dello Hagakure, regola le vite delle persone».Condurre quotidianamente una riflessione sulla morte, dice Mishima, obbliga a riflettere anche sulla vita. Ed è forse questa riflessione a mancarci più di ogni altra, oggi. Confrontarsi con la morte vuol dire, in fondo, fare i conti con il dolore, con la limitatezza delle nostre capacità, con la fatica e la delusione. Significa pure imparare ad affrontare le sconfitte e i rifiuti, a pazientare quando non si riesce a ottenere ciò che si vuole. Significa imparare il sacrificio e il rispetto. Esattamente ciò che serve ai maschi contemporanei. Ecco il vero ordine del Padre: quello che insegna il senso del limite, il rispetto delle regole, la misura.Ciò non vuol dire che il codice dei samurai trascuri la spensieratezza e la bellezza solare della vita. Anzi, invita a confrontarsi con i bambini in maniera decisamente leggera.«Gli insegnamenti dello Hagakure sono sorprendentemente simili a quelli sull’educazione libera e naturale postulati da Jean-Jacques Rousseau nell’Émile», racconta Mishima. «A tal riguardo, ricordo che Rousseau nacque nel 1712, mentre il manoscritto dello Hagakure aveva già raggiunto una discreta diffusione nel settimo anno dell’era Hõei (1710). Più che una rigida educazione spartana, lo Hagakure sottolineava l’importanza di evitare che i bambini sviluppassero la paura verso la natura o che venissero rimproverati oltre misura. L’infanzia, secondo l’impostazione del tutto naturale del metodo educativo dello Hagakure, deve essere un periodo spensierato e soltanto i bambini che crescono senza essere intimoriti dai genitori o senza essere da questi eccessivamente rimproverati, non correranno il rischio di diventare codardi e introversi».Qui Mishima tocca temi di straordinaria attualità. «Anche oggi», sostiene, «si possono osservare dovunque madri che amano in maniera smodata i propri figli, con i quali si alleano per contrastare la figura paterna e minare l’armonia del rapporto padre-figlio. Il declino dell’autorità paterna e il rapido aumento delle “madri dominanti”, come queste donne sono definite in America, fa sì che oggi siano sempre più numerosi i bambini che sviluppano una dipendenza morbosa nei confronti della madre. Con l’emarginazione della figura paterna e la scomparsa del ruolo di primo piano che il padre aveva nel tramandare al figlio i valori della classe dei guerrieri - è pur vero che oggi non c’è più nulla da tramandare -, per il bambino il padre è diventato un individuo che porta a casa lo stipendio e con il quale non ha più alcun legame emotivo. Forse, oltre che criticare la sempre più evidente effeminatezza degli uomini, bisognerebbe anche prendere atto del concomitante quanto rapido indebolimento della figura paterna». Scritte negli anni Sessanta, queste frasi si rivelano drammaticamente profetiche.Mishima invita a coltivare il rispetto e la comprensione per gli amici e i compagni, ricorda l’importanza della perseveranza e gli inganni della soddisfazione immediata. Invita a combattere, certo, e a essere pronti all’azione. Ma insegna pure ad amare con pazienza e dolcezza. Sono tutte cose che non riusciamo più a fare e il motivo è abbastanza chiaro. Abbiamo accantonato la via del guerriero pensando che fosse troppo violenta e pericolosa. E, cercando una strada più semplice e comoda, siamo finiti sulla via dell’assassinio e del risentimento.