
Un nuovo modello di civiltà si sta imponendo ovunque, in nome di un ipotetico bene comune. Ma la storia insegna che i sistemi basati solo sul benessere non reggono. Ciò che sta accadendo a livello globale, con il tentativo di imporre un sistema di civiltà uniforme, somiglia al caso dei gesuiti in Guarany nel XVII secolo (che descriverò di seguito)? Se la risposta è sì, merita di esser fatta una riflessione. Appare evidente che nel mondo globale si sta imponendo un sistema di civiltà necessariamente uniforme per un supposto bene comune globale. Parliamo di Global compact per le migrazioni, per la tutela dell'ambiente, per i diritti civili, per la bioetica. Non a tutti è necessariamente dato di capire se questo sistema d civiltà in futuro porti o no vantaggi, quello che è più facile intendere è che non sono ammessi dissenzienti. Chi dissente, certo di averne la libertà, non ha inteso che sta «confondendo» libertà con egoismo, da censurare e reprimere, per il bene comune globale. Resta la libertà di acconsentire, molto meno la libertà di dissentire. La Chiesa, che potrebbe essere l'unica autorità morale che possa influenzare queste aspirazioni, sembra anche lei consentirle, al fine di riconciliarsi con la cultura prevalente nel mondo globale. Per questa ragione sembra condividere questo sistema di civiltà, attivamente (su migrazioni e ambiente) o passivamente con il silenzio sui temi etici. Al fine quindi di cooperare per risolvere contraddizioni, sembra aver scoperto e voler «risvegliare dal sonno» due dei tre principi della Rivoluzione francese (egalité e fraternité). Fraternité infatti riflette la regola aurea: fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te stesso, mentre egalité, di fatto, significa ugual dignità di chi ha bisogno di soccorso (queste due aspirazioni coincidono in pratica con il Global compact per le migrazioni).Ma se i due principi vengono «imposti» alle sovranità nazionali, di fatto viene ignorato il terzo principio: la liberté, consentendo a considerarlo pericoloso, perché sintomo di egoismo e irresponsabilità verso il globale bene comune. Come anticipato all'inizio, vorrei in proposito ricordare un avvenimento storico poco conosciuto, che potrebbe aiutare a riflettere: il caso dei gesuiti in Guarany nel XVII secolo.Nel 1608 re Filippo III di Spagna creò in Paraguay lo Stato di Guarany, dove vivevano circa 150.000 indios e diede mandato di organizzarlo ai gesuiti. È la prima e forse unica volta nella storia dell'umanità che un ordine religioso riceve l'incarico di creare una repubblica in base a principi evangelici. In pratica la missione dei gesuiti era quella di sperimentare un'esperienza di collettivismo integrale e solidale. Infatti Guarany divenne uno Stato fortemente sociale, tutta la popolazione doveva lavorare sei ore al giorno, per cinque giorni la settimana. Ma tre volte al giorno si doveva fare visita in Chiesa per la preghiera, sotto osservazione e controllo dei gesuiti. Questo modello generò un successo enorme. Gli storici narrano che mai gli indios di queste zone, in quei tempi, avevano vissuto così bene. A seguito però della soppressione della Compagnia di Gesù (da parte di papa Clemente XIV) i gesuiti furono cacciati anche dalla Spagna e quindi dal Paraguay (nel 1767). La storia narra che, sorprendentemente, gli indios del Guarany , che grazie ai gesuiti avevano vissuto in condizioni idilliache (soprattutto se comparate con le altre popolazioni sudamericane), non fecero nulla per difendere i loro benefattori gesuiti, espulsi brutalmente. Sembrarono esser persino sollevati… Gli storici spiegano questo comportamento con il fatto che gli indios soffrivano questo Stato paternalistico-clericale e pensavano di poter star meglio con minori regole e più libertà. In pochissimo tempo il benessere socioeconomico dello Stato del Guarany crollò e il livello di vita degli indios del Guarany tornò allo stesso stadio di quello delle vicine tribù. La spiegazione che da il maggior conoscitore di questi avvenimenti, l'esploratore Nicolas Baudin, sta nel fatto che nessuna civiltà è disposta a barattare la libertà con maggior benessere portato da altre civiltà. Ma Baudin rileva anche che gli indios del Guarany, in tal contesto di «commissariamento di civiltà», avevano perso l'attitudine a pensare ed erano divenuti apatici (come peraltro era successo agli Incas). Troppe regole e meno libertà. Questo è il problema che sta impegnando anche noi oggi, in Europa e nel mondo globale. La storia raccontata potrebbe insegnare che è imprudente voler imporre criteri di civiltà, controllati nella loro applicazione da tecnocrati (o burocrati), in cambio di (apparenti) vantaggi, ma non frutto di libera scelta? Non ho risposta, ma mi pare sempre più probabile che nel mondo globale, molto impregnato di cultura luterana, l'espressione «libera scelta» che si accompagna a «libero arbitrio», stia per esser definitivamente corretta.
La Meloni convoca i sindacati sulla manovra. Ma la Cgil è preoccupata per la decisione della Consulta che potrebbe aprire le aziende a Usb, Cobas e Orsa. Intanto Stellantis produce meno di mille auto al giorno.
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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(IStock)
Il tribunale di Novara riconosce un risarcimento alla vedova per il mancato commiato, negato a causa delle restrizioni nel 2021.
Mario Venditti. Nel riquadro da sinistra: Maurizio Pappalardo, Silvio Sapone e Antonio Scoppetta (Ansa)
Il maggiore Pappalardo, a 44 anni, inizia una storia con una ragazza di 17. Quando viene mollato, chiede aiuto agli amici Scoppetta e Sapone. Che iniziano a sorvegliare la donna, pure con un dispositivo Gps.