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2023-05-29
Al bar o fatta in casa, gli italiani riscoprono le virtù della tisana
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Forse Petrarca oggi avrebbe composto la canzone «Chiare, fresche et dolci tisane» anziché «acque» e avrebbe versificato così: Chiare, fresche et dolci tisane, / ove le belle labbra / pose colei che sola a me par donna, perché in Italia è letteralmente boom tisane. Fino agli anni Sessanta la pianta officinale magari autoraccolta, infusa e sorseggiata era parte perfino ovvia della cultura alimentare e delicatamente medicale, mentre i nati dal boom economico in poi, in città sempre più cementificate e prive di cultura contadina campagnola, hanno dovuto acquisirne l’abc attraverso le bustine filtro già pronte, per poi riconquistare dopo una consapevolezza più erboristica, stimolati anche da un mondo intanto divenuto globale che imponeva e permetteva una conoscenza sempre maggiore di caffè e tè provenienti da tutto il globo. Mondo caratterizzato anche da un salutismo di ritorno, dopo il bagno nell’edonismo dell’abbondanza alimentare e alcuni eccessi industriali, pensiamo alle camomille solubili con più zucchero che camomilla, e perciò di nuovo bendisposto verso l’antico rimedio della tisana vera.
Andando a cercare tisane al bar, oltre a farci a casa quelle del supermercato, del foodie market, del monastero e delle erboristerie (in Italia ne abbiamo oltre 4000), abbiamo poi anche fatto in modo che l’infusione si affiancasse stabilmente al caffè, al caffellate e al tè nell’offerta horeca. Le bevande infusionali oggi in Italia alimentano un mercato che secondo alcune stime vale oltre 200 milioni di euro, con un raddoppio a doppia cifra dal 2010 al 2020 e un’ulteriore recentissima crescita del 20% rispetto al periodo pre Covid.
Si è da poco svolto a Rimini, durante Macfrut, Spices & Herbs Global Expo, il primo salone in Europa interamente dedicato alla filiera delle piante aromatiche, medicinali e al commercio internazionale di erbe e spezie, con tavole rotonde dedicate al fascino e a molti altri aspetti più tecnici e contemporanei dell’infuso, ricercato come fonte di benessere, di gusto o di entrambi.
Oggi, le piante officinali appartengono di nuovo alla cultura generale e alimentare: ogni giorno in Italia si consumano 7 milioni di infusi, di cui l’80% di camomilla, e la consapevolezza sulle proprietà degli altri infusi al netto di tè e camomilla diventa sempre maggiore. Tecnicamente, la tisana è un idrolito cioè un’infusione o una decozione di erbe, spezie o entrambe, in acqua e non contenente caffeina (quindi il caffè non è una tisana).
La parola «tisana» proviene dal latino tisăna, variante di ptisăna, cioè «orzo mondato» e «decotto di orzo», che deriva da «mondare, sbucciare, macinare» (sottinteso, l’orzo). Il nome «tisana» indicava il decotto di orzo, poi qualsiasi infusione a scopo medicamentoso, oggi si differenzia tra tisana e infuso, sinonimi, e decotto. Le erbe o spezie, di solito massimo 5, sono la materia prima da cui estrarre i principi attivi che la tisana trasporterà nel nostro organismo: remedium cardinale (rimedio di base), adiuvans (adiuvante che potenzia il rimedio di base), costituens (complemento, per migliorare l’aspetto della tisana) e corrigens (correttore, per migliorare le caratteristiche organolettiche della tisana). Anche la misura delle erbe è importante, devono essere «taglio tisana», non una polvere, ma nemmeno troppo grandi. Non devono poi essere mescolate le parti dure e le parti tenere delle piante, poiché quelle dure sono per il decotto.
Se l’infusione estrae i principi attivi da foglie e fiori, posti in acqua dopo che essa sia giunta a bollitura (solo in alcuni casi basta raggiungere un calore inferiore) e sia stata tolta dal fuoco, per corteccia, radici, legno o semi ci vuole più tempo e il fuoco acceso: il decotto è una bollitura. L’infusione serve a veicolare i principi attivi dalle piante officinali verso l’acqua e va da sé che lo spessore di una foglia, di un fiore, di un frutto o di qualsiasi altra parte erbacea della pianta sia inferiore rispetto a quello di una corteccia o di un seme: questi avranno bisogno di maggior tempo e del fuoco acceso, precise caratteristiche del decotto. Le tisane aromatiche prevedono fino a 5 minuti di infusione, quelle terapeutiche fino a 20. Finita l’infusione, si cola se le erbe sono state poste in acqua sciolte, se in filtro, quest’ultimo si strizza e rimuove. Oltre ai filtri solubili, diffusi da un po' per tisana calda o fredda, stanno diventando di moda gli infusi a freddo, anche detti macerati, ottenuti con infusione in acqua a temperatura ambiente per un tempo assai più lungo di qualche minuto (il macerato si consuma, anche, a temperatura ambiente), almeno 4 ore. Nessuno vieta di preparare infusi caldi e poi raffreddarli in frigo, proprio come si fa col tè e il caffè freddo, ma il macerato presenta la caratteristica di esser preparabile anche in assenza di fonte di calore per scaldare l’acqua. Ricordiamoci che le tisane, oltre che avere effetto medicamentoso, sono un modo per idratarsi. Oltre che una nostra immortale tradizione.
«Ne esiste una per ogni esigenza, ma attenzione ai tempi d’infusione»
La Valverbe è un’azienda piemontese che propone tisane e infusi di montagna funzionali, oltre a tisane e infusi funzionali in generale, caramelle, cosmetici ed erbe da cucina: tutto all’insegna del biologico e dei «sorsi di salute nel rispetto dell’ambiente», essiccando a «cellula aperta».
«I miei genitori negli anni Ottanta si sono trasferiti a Bellino, piccolo paese a 1500 m di altezza in Val Varaita, iniziando a coltivare e recuperare piccoli terreni di montagna di proprietà di mia mamma e della sua famiglia», ci racconta il responsabile Luca Fasano. «Erano gli anni di scarsa conoscenza del biologico e del mondo delle tisane, camomilla a parte, e i miei genitori hanno iniziato questa avventura col proposito di offrire una qualità elevata di piante, spontanee e coltivate, di montagna, paradiso di biodiversità. Negli anni Duemila ci siamo spostati a Melle e abbiamo realizzato una struttura di 4000 metri quadrati coperti. Da semplice azienda produttrice di piante medicinali all’ingrosso siamo diventati anche azienda confezionatrice di tisane in filtro, coprendo così l’intera filiera: raccolta, essiccazione, vendita al dettaglio».
Tra gli obiettivi di Fasano e dei suoi collaboratori c’è «il recupero di antiche tradizioni erboristiche in chiave moderna, sfruttando le migliori tecnologie. La nostra filiera coltiva in biologico circa 50 ettari, opera la raccolta spontanea su altri 20 circa. Le erbe sono disidratate da 15 impianti di essiccazione a freddo, ciascuno può lavorare dai 3 ai 500 kg in circa 48 ore, per oltre 100.000 kg di erbe essiccate all’anno. L’essiccazione avviene a freddo tramite aria a 35-40 °C, ormai è quasi uno standard, ma noi in più, lavorando in casse a circuito chiuso, favoriamo l’evaporazione naturale, la pianta si autoraffredda e ciò preserva meglio - lo dimostrano analisi e colore - le sue proprietà: questo innovativo sistema di stabilizzazione mantiene integra la membrana cellulare della pianta. Poi sanitizziamo e confezioniamo senza punto metallico, in carta salva aroma totalmente biodegradabile e packaging ecocompatibile. Il tutto è alimentato a energia fotovoltaica autoprodotta o da fonti rinnovabili».
Usate anche filo in cotone biologico, tendete ovunque alla stessa purezza delle erbe.
«Cuciamo e chiudiamo le bustine con cotone bio perché il nostro intero processo sia bio: vogliamo mantenere un’etica anche nella parte del confezionamento».
Sempre a proposito di etica, suo padre in una intervista si dichiarava particolarmente fiero di aver emancipato molte terre di montagna prima dall’abbandono e poi dalla coltivazione o raccolta per vendita ai grossisti.
«Sì. Le erbe sono un rimedio antico, e lo sono sempre state soprattutto in montagna. L’erboristeria era anche cultura monasteriale, molti monasteri avevano il giardino botanico e là venivano creati i primi rimedi infusionali e gemmoterapici, linea seguita da molte aziende di oggi, tra cui noi. Le erbe sono preziose e vanno processate con cura perché passino da prodotto agricolo a bustina con reali benefici funzionali: è un impegno verso la natura e verso i consumatori. Coltiviamo l’80% delle nostre erbe e poi siamo acquirenti di materia prima non presente nelle nostre zone, spezie in generale, karkadé, zenzero, cacao, curcuma. Prendiamo tutta la frutta fresca al sud italia e poi essicchiamo col nostro metodo».
Valorizzare i prodotti del territorio significa anche creare lavoro e riportare in qualche modo vita nelle zone montane.
«Sì, c’è ritorno alla montagna e valorizzazione di ciò che essa può offrire. Noi abbiamo recuperato molti terreni abbandonati, qui vicino abbiamo piantato oltre 3000 alberi nel bosco, coltiviamo anche il bosco, ci dà sambuco, biancospino, betulla. Valorizzare i prodotti locali, con agricoltura sostenibile, è certamente una priorità. Valutiamo anche l’opportunità di coltivazione in loco: al posto del classico ginseng, che non è propriamente locale, utilizziamo la rodiola rosa, anche detta ginseng delle Alpi, come dolcificante coltiviamo la stevia, sembrava difficile, ma è stato molto più semplice del previsto. Nel nostro catalogo abbiamo anche ottimi tè, sicuramente più lontani, ma di alta qualità. Non possiamo importare tutto dall’estero per riprodurlo qui. C’è qualche sperimentazione di coltivazione di tè sul lago di Garda, però anche la biodiversità è legata al clima e alle caratteristiche di ciascun paese. Le piante sono influenzate dal terreno, dal clima, come ci insegna il classico esempio della menta piperita. Se coltivassimo talee di menta piperita di Pancalieri in Puglia o in Marocco assumerebbero forma, aroma, qualità diversi».
Avete anche il Giardino dei profumi, visitabile.
«È un catalogo a cielo aperto nel nostro areale produttivo a Melle: invece di sfogliare pagine con le foto delle erbe, i nostri clienti camminano nel Giardino dei Profumi tra oltre 200 piante. Progetto ambizioso, ma di grande risultato. Lavoriamo con scuole, gruppi, camminatori, turisti. Il Giardino è diventato il luogo di tantissimi eventi, dalla botanica alla cucina, facciamo le serate al chiaro di luna con le tisane. Vogliamo formare e informare i nostri clienti sul nostro mondo, spiegare il tanto lavoro che c’è dietro una tisana su uno scaffale.
Avevamo perduto la cultura delle erbe, ma grazie anche a produttori come voi la stiamo recuperando...
«Sì, ora il trend è contrario e sempre più persone si rivolgono ai rimedi naturali per piccole problematiche di ogni giorno. Bisogna anche dire che ci sono tante tisane sul mercato, ma poche realtà sono davvero serie».
Come si può distinguere?
«Il dosaggio è importantissimo e lo è anche cosa c’è nel filtro. La bustina filtro storicamente nasce per riciclare gli scarti delle parti più nobili delle piante date alle erboristerie. Un tritato di scarto nascosto all’occhio addittivato con aromi e coloranti, questa era la ricetta del passato della tisana in filtro, che si affiancava all’offerta di tè in filtro che invece stava già alzando la sua qualità produttiva. Noi da sempre abbiamo messo nelle bustine filtro la parte più nobile della pianta, la foglia depurata del gambo, la radice ripulita e tritata finemente, i fiori, laddove ci sono. E poi le bacche, con alto dosaggio, anche, di frutta, perché ci sono tisane di mirtillo che hanno il 7% di mirtillo bacche, le nostre hanno fino al 50% di bacche e 50% foglie, concentrazioni più importanti. La qualità si percepisce sia sulla quantità dei singoli ingredienti, sia sulla qualità: solo la parte più nobile. Quindi otteniamo le grammature giuste. Spesso, chi gramma molto, trita anche molti scarti. Non sempre la grammatura è indice di qualità. Noi gestiamo grammature intorno a 1 grammo, 1 grammo e mezzo, perché se te lo metto di puro fiore o foglie, non ho bisogno di mettere 3 grammi, ma 1 solo di fiore e 2 di gambi tritati senza gusto. Anche questo conduce a una qualità del prodotto e a una sua funzionalità».
Proviamo a dare qualche consiglio per una perfetta tisana. Meglio acqua minerale o quella del rubinetto?
«Tendenzialmente è preferibile una buona acqua, microbiologicamente pura, non clorata, non pesante, magari minerale di montagna, prelevata in bottiglie di vetro, o di buon acquedotto, o purificata in casa con filtri, o quella che molti comuni offrono nelle campane dell’acqua: il 99% dell’infuso è acqua».
Portiamo a bollore, spegniamo, caliamo la bustina: meglio il coperchio, come quando si fa il tè in teiera, o no? Ci sono anche tazze con coperchio, ormai.
«Di base, è consigliabile coprire con coperchio per evitare perdita di principi volatili, oli essenziali o parte dell’aroma».
Ci illustra, grossomodo, le funzionalità delle erbe?
«Il mondo delle tisane in prima battuta appare molto ampio, ma le macrocategorie sono 4, 5. Non sono consigli medici, naturalmente, ma i prodotti alla frutta sono tisane rimineralizzanti, adatti al mattino, più per il gusto, senza grandi proprietà. Per le digestive, la mia preferita è il mix che dai tempi dei nostri nonni allieta ogni fine pasto, salvia, limone e rosmarino. Rilassanti: come infuso serale la camomilla è la più conosciuta, ma se la lasciamo troppo in infusione può avere l’effetto contrario, va solo scottata, massimo 2 minuti di infusione. C’è anche il mix lavanda, melissa e basilico. Drenanti: tarassaco, limone, ortica, spirea, carciofo. Sgonfianti: finocchio. E poi benessere generale: l’echinacea alpina alza le difese immunitarie, abbinata a timo ed eucalipto ha un piacevole effetto balsamico in caso di tosse o mal di gola, la vecchia e buona malva allevia infiammazioni di gola, di cavo orale e il reflusso, grazie alle mucillagini che contiene».
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In dieci anni i consumi di piante officinali, tipiche della cultura contadina, sono raddoppiati. Caldi o freddi, gli infusi sono salutari ma anche gustosi.Luca Fasano, responsabile della storica azienda Valverbe: «Ne esiste una per ogni esigenza, ma attenzione ai tempi d’infusione».Lo speciale comprende due articoli.Forse Petrarca oggi avrebbe composto la canzone «Chiare, fresche et dolci tisane» anziché «acque» e avrebbe versificato così: Chiare, fresche et dolci tisane, / ove le belle labbra / pose colei che sola a me par donna, perché in Italia è letteralmente boom tisane. Fino agli anni Sessanta la pianta officinale magari autoraccolta, infusa e sorseggiata era parte perfino ovvia della cultura alimentare e delicatamente medicale, mentre i nati dal boom economico in poi, in città sempre più cementificate e prive di cultura contadina campagnola, hanno dovuto acquisirne l’abc attraverso le bustine filtro già pronte, per poi riconquistare dopo una consapevolezza più erboristica, stimolati anche da un mondo intanto divenuto globale che imponeva e permetteva una conoscenza sempre maggiore di caffè e tè provenienti da tutto il globo. Mondo caratterizzato anche da un salutismo di ritorno, dopo il bagno nell’edonismo dell’abbondanza alimentare e alcuni eccessi industriali, pensiamo alle camomille solubili con più zucchero che camomilla, e perciò di nuovo bendisposto verso l’antico rimedio della tisana vera. Andando a cercare tisane al bar, oltre a farci a casa quelle del supermercato, del foodie market, del monastero e delle erboristerie (in Italia ne abbiamo oltre 4000), abbiamo poi anche fatto in modo che l’infusione si affiancasse stabilmente al caffè, al caffellate e al tè nell’offerta horeca. Le bevande infusionali oggi in Italia alimentano un mercato che secondo alcune stime vale oltre 200 milioni di euro, con un raddoppio a doppia cifra dal 2010 al 2020 e un’ulteriore recentissima crescita del 20% rispetto al periodo pre Covid. Si è da poco svolto a Rimini, durante Macfrut, Spices & Herbs Global Expo, il primo salone in Europa interamente dedicato alla filiera delle piante aromatiche, medicinali e al commercio internazionale di erbe e spezie, con tavole rotonde dedicate al fascino e a molti altri aspetti più tecnici e contemporanei dell’infuso, ricercato come fonte di benessere, di gusto o di entrambi. Oggi, le piante officinali appartengono di nuovo alla cultura generale e alimentare: ogni giorno in Italia si consumano 7 milioni di infusi, di cui l’80% di camomilla, e la consapevolezza sulle proprietà degli altri infusi al netto di tè e camomilla diventa sempre maggiore. Tecnicamente, la tisana è un idrolito cioè un’infusione o una decozione di erbe, spezie o entrambe, in acqua e non contenente caffeina (quindi il caffè non è una tisana). La parola «tisana» proviene dal latino tisăna, variante di ptisăna, cioè «orzo mondato» e «decotto di orzo», che deriva da «mondare, sbucciare, macinare» (sottinteso, l’orzo). Il nome «tisana» indicava il decotto di orzo, poi qualsiasi infusione a scopo medicamentoso, oggi si differenzia tra tisana e infuso, sinonimi, e decotto. Le erbe o spezie, di solito massimo 5, sono la materia prima da cui estrarre i principi attivi che la tisana trasporterà nel nostro organismo: remedium cardinale (rimedio di base), adiuvans (adiuvante che potenzia il rimedio di base), costituens (complemento, per migliorare l’aspetto della tisana) e corrigens (correttore, per migliorare le caratteristiche organolettiche della tisana). Anche la misura delle erbe è importante, devono essere «taglio tisana», non una polvere, ma nemmeno troppo grandi. Non devono poi essere mescolate le parti dure e le parti tenere delle piante, poiché quelle dure sono per il decotto. Se l’infusione estrae i principi attivi da foglie e fiori, posti in acqua dopo che essa sia giunta a bollitura (solo in alcuni casi basta raggiungere un calore inferiore) e sia stata tolta dal fuoco, per corteccia, radici, legno o semi ci vuole più tempo e il fuoco acceso: il decotto è una bollitura. L’infusione serve a veicolare i principi attivi dalle piante officinali verso l’acqua e va da sé che lo spessore di una foglia, di un fiore, di un frutto o di qualsiasi altra parte erbacea della pianta sia inferiore rispetto a quello di una corteccia o di un seme: questi avranno bisogno di maggior tempo e del fuoco acceso, precise caratteristiche del decotto. Le tisane aromatiche prevedono fino a 5 minuti di infusione, quelle terapeutiche fino a 20. Finita l’infusione, si cola se le erbe sono state poste in acqua sciolte, se in filtro, quest’ultimo si strizza e rimuove. Oltre ai filtri solubili, diffusi da un po' per tisana calda o fredda, stanno diventando di moda gli infusi a freddo, anche detti macerati, ottenuti con infusione in acqua a temperatura ambiente per un tempo assai più lungo di qualche minuto (il macerato si consuma, anche, a temperatura ambiente), almeno 4 ore. Nessuno vieta di preparare infusi caldi e poi raffreddarli in frigo, proprio come si fa col tè e il caffè freddo, ma il macerato presenta la caratteristica di esser preparabile anche in assenza di fonte di calore per scaldare l’acqua. Ricordiamoci che le tisane, oltre che avere effetto medicamentoso, sono un modo per idratarsi. 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Negli anni Duemila ci siamo spostati a Melle e abbiamo realizzato una struttura di 4000 metri quadrati coperti. Da semplice azienda produttrice di piante medicinali all’ingrosso siamo diventati anche azienda confezionatrice di tisane in filtro, coprendo così l’intera filiera: raccolta, essiccazione, vendita al dettaglio». Tra gli obiettivi di Fasano e dei suoi collaboratori c’è «il recupero di antiche tradizioni erboristiche in chiave moderna, sfruttando le migliori tecnologie. La nostra filiera coltiva in biologico circa 50 ettari, opera la raccolta spontanea su altri 20 circa. Le erbe sono disidratate da 15 impianti di essiccazione a freddo, ciascuno può lavorare dai 3 ai 500 kg in circa 48 ore, per oltre 100.000 kg di erbe essiccate all’anno. L’essiccazione avviene a freddo tramite aria a 35-40 °C, ormai è quasi uno standard, ma noi in più, lavorando in casse a circuito chiuso, favoriamo l’evaporazione naturale, la pianta si autoraffredda e ciò preserva meglio - lo dimostrano analisi e colore - le sue proprietà: questo innovativo sistema di stabilizzazione mantiene integra la membrana cellulare della pianta. Poi sanitizziamo e confezioniamo senza punto metallico, in carta salva aroma totalmente biodegradabile e packaging ecocompatibile. Il tutto è alimentato a energia fotovoltaica autoprodotta o da fonti rinnovabili». Usate anche filo in cotone biologico, tendete ovunque alla stessa purezza delle erbe. «Cuciamo e chiudiamo le bustine con cotone bio perché il nostro intero processo sia bio: vogliamo mantenere un’etica anche nella parte del confezionamento». Sempre a proposito di etica, suo padre in una intervista si dichiarava particolarmente fiero di aver emancipato molte terre di montagna prima dall’abbandono e poi dalla coltivazione o raccolta per vendita ai grossisti. «Sì. Le erbe sono un rimedio antico, e lo sono sempre state soprattutto in montagna. L’erboristeria era anche cultura monasteriale, molti monasteri avevano il giardino botanico e là venivano creati i primi rimedi infusionali e gemmoterapici, linea seguita da molte aziende di oggi, tra cui noi. Le erbe sono preziose e vanno processate con cura perché passino da prodotto agricolo a bustina con reali benefici funzionali: è un impegno verso la natura e verso i consumatori. Coltiviamo l’80% delle nostre erbe e poi siamo acquirenti di materia prima non presente nelle nostre zone, spezie in generale, karkadé, zenzero, cacao, curcuma. Prendiamo tutta la frutta fresca al sud italia e poi essicchiamo col nostro metodo». Valorizzare i prodotti del territorio significa anche creare lavoro e riportare in qualche modo vita nelle zone montane. «Sì, c’è ritorno alla montagna e valorizzazione di ciò che essa può offrire. Noi abbiamo recuperato molti terreni abbandonati, qui vicino abbiamo piantato oltre 3000 alberi nel bosco, coltiviamo anche il bosco, ci dà sambuco, biancospino, betulla. Valorizzare i prodotti locali, con agricoltura sostenibile, è certamente una priorità. Valutiamo anche l’opportunità di coltivazione in loco: al posto del classico ginseng, che non è propriamente locale, utilizziamo la rodiola rosa, anche detta ginseng delle Alpi, come dolcificante coltiviamo la stevia, sembrava difficile, ma è stato molto più semplice del previsto. Nel nostro catalogo abbiamo anche ottimi tè, sicuramente più lontani, ma di alta qualità. Non possiamo importare tutto dall’estero per riprodurlo qui. C’è qualche sperimentazione di coltivazione di tè sul lago di Garda, però anche la biodiversità è legata al clima e alle caratteristiche di ciascun paese. Le piante sono influenzate dal terreno, dal clima, come ci insegna il classico esempio della menta piperita. Se coltivassimo talee di menta piperita di Pancalieri in Puglia o in Marocco assumerebbero forma, aroma, qualità diversi». Avete anche il Giardino dei profumi, visitabile. «È un catalogo a cielo aperto nel nostro areale produttivo a Melle: invece di sfogliare pagine con le foto delle erbe, i nostri clienti camminano nel Giardino dei Profumi tra oltre 200 piante. Progetto ambizioso, ma di grande risultato. Lavoriamo con scuole, gruppi, camminatori, turisti. Il Giardino è diventato il luogo di tantissimi eventi, dalla botanica alla cucina, facciamo le serate al chiaro di luna con le tisane. Vogliamo formare e informare i nostri clienti sul nostro mondo, spiegare il tanto lavoro che c’è dietro una tisana su uno scaffale. Avevamo perduto la cultura delle erbe, ma grazie anche a produttori come voi la stiamo recuperando... «Sì, ora il trend è contrario e sempre più persone si rivolgono ai rimedi naturali per piccole problematiche di ogni giorno. Bisogna anche dire che ci sono tante tisane sul mercato, ma poche realtà sono davvero serie». Come si può distinguere? «Il dosaggio è importantissimo e lo è anche cosa c’è nel filtro. La bustina filtro storicamente nasce per riciclare gli scarti delle parti più nobili delle piante date alle erboristerie. Un tritato di scarto nascosto all’occhio addittivato con aromi e coloranti, questa era la ricetta del passato della tisana in filtro, che si affiancava all’offerta di tè in filtro che invece stava già alzando la sua qualità produttiva. Noi da sempre abbiamo messo nelle bustine filtro la parte più nobile della pianta, la foglia depurata del gambo, la radice ripulita e tritata finemente, i fiori, laddove ci sono. E poi le bacche, con alto dosaggio, anche, di frutta, perché ci sono tisane di mirtillo che hanno il 7% di mirtillo bacche, le nostre hanno fino al 50% di bacche e 50% foglie, concentrazioni più importanti. La qualità si percepisce sia sulla quantità dei singoli ingredienti, sia sulla qualità: solo la parte più nobile. Quindi otteniamo le grammature giuste. Spesso, chi gramma molto, trita anche molti scarti. Non sempre la grammatura è indice di qualità. Noi gestiamo grammature intorno a 1 grammo, 1 grammo e mezzo, perché se te lo metto di puro fiore o foglie, non ho bisogno di mettere 3 grammi, ma 1 solo di fiore e 2 di gambi tritati senza gusto. Anche questo conduce a una qualità del prodotto e a una sua funzionalità». Proviamo a dare qualche consiglio per una perfetta tisana. Meglio acqua minerale o quella del rubinetto? «Tendenzialmente è preferibile una buona acqua, microbiologicamente pura, non clorata, non pesante, magari minerale di montagna, prelevata in bottiglie di vetro, o di buon acquedotto, o purificata in casa con filtri, o quella che molti comuni offrono nelle campane dell’acqua: il 99% dell’infuso è acqua». Portiamo a bollore, spegniamo, caliamo la bustina: meglio il coperchio, come quando si fa il tè in teiera, o no? Ci sono anche tazze con coperchio, ormai. «Di base, è consigliabile coprire con coperchio per evitare perdita di principi volatili, oli essenziali o parte dell’aroma». Ci illustra, grossomodo, le funzionalità delle erbe? «Il mondo delle tisane in prima battuta appare molto ampio, ma le macrocategorie sono 4, 5. Non sono consigli medici, naturalmente, ma i prodotti alla frutta sono tisane rimineralizzanti, adatti al mattino, più per il gusto, senza grandi proprietà. Per le digestive, la mia preferita è il mix che dai tempi dei nostri nonni allieta ogni fine pasto, salvia, limone e rosmarino. Rilassanti: come infuso serale la camomilla è la più conosciuta, ma se la lasciamo troppo in infusione può avere l’effetto contrario, va solo scottata, massimo 2 minuti di infusione. C’è anche il mix lavanda, melissa e basilico. Drenanti: tarassaco, limone, ortica, spirea, carciofo. Sgonfianti: finocchio. E poi benessere generale: l’echinacea alpina alza le difese immunitarie, abbinata a timo ed eucalipto ha un piacevole effetto balsamico in caso di tosse o mal di gola, la vecchia e buona malva allevia infiammazioni di gola, di cavo orale e il reflusso, grazie alle mucillagini che contiene».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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