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«La Verità» accusata di allarmismo perché cita i dati Aifa sui decessi

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Nicola Magrini (Ansa)
Da venerdì pomeriggio un virus sembra penetrato nei computer di tutti i maggiori quotidiani italiani per cancellare sistematicamente qualsiasi riferimento alle parole «vaccini», «decessi» e «casi fatali», nonostante il rapporto numero 8 sulla farmacovigilanza dell'Aifa pubblicato venerdì gli dedichi quasi una pagina.

Sabato, su queste colonne, chi vi scrive ha fatto un lavoro aggiuntivo: calcolare le differenze tra i dati dell'ultimo e del penultimo rapporto, in modo da cogliere i movimenti più recenti. Tra i quali spicca il dato sui decessi per i quali l'algoritmo ha valutato l'esistenza di un nesso di causalità. Abbiamo così titolato: «In quattro settimane raddoppiati i decessi che l'Aifa lega ai vaccini».

Riportare tutti i dati. Questo abbiamo fatto. Aggiungendo in modo chiaro che non intendevamo insinuare nulla, né sminuire l'efficacia di un rimedio terapeutico preventivo che - sia pur in modo parziale e con efficacia decrescente nel tempo – sta proteggendo la salute di milioni di italiani, ma non in modo assoluto. L'evidenza delle segnalazioni di casi fatali tra gli eventi avversi gravi, il cui tasso è aumentato nelle ultime quattro settimane – 13 ogni 100.000 dosi, di cui però solo il 20% è stato ritenuto non correlabile con il vaccino – è un dato che dovrebbe invitare alla prudenza e a non ritenere il vaccino come una panacea.

Apriti cielo. Non solo tra sabato e domenica la parola «decessi» è scomparsa dagli altri giornali. Ma il Corriere della Sera domenica si è superato parlando di «nessun decesso». Come se il rapporto dell'Aifa avesse avuto una pagina in meno. Nella stessa pagina il direttore dell'Aifa Nicola Magrini, ha chiarito che «si tratta di segnalazioni di eventi e non di casi dove sia stato dimostrato il rapporto causale tra vaccino e conseguenze negative». Ma è proprio il suo rapporto che parla di nesso causale verificato con l'algoritmo per 9.324 su 10.600 segnalazioni di eventi gravi, solo per il 20% delle quali è stato escluso il nesso causale. «La comunità scientifica non ha dubbi», ha concluso. È vero. Infatti ci sono 3.909 segnalazioni di eventi gravi (a cui si aggiungono 14 decessi) per i quali nel suo rapporto c'è scritto che il dubbio è stato risolto a favore dell'esistenza del nesso di causalità.

Oltre a questo assordante silenzio, siano stati anche accusati di «pesante allarmismo» e disinformazione da un sedicente sito di smascheratori di bufale (www.butac.it) che forse ha letto solo il titolo – «che non spiega correttamente» – e non l'intero articolo.

Premettiamo che il titolo non «spiega» mai nulla, ma è un'istantanea. È l'articolo che, letto per intero, spiega e costituisce l'informazione. Altrimenti avremmo giornali con soli titoli e figure.

Nella loro foga accusatoria, questi signori omettono che abbiamo:

1 riportato l'incidenza dei casi fatali accertati pari a 2 ogni 10 milioni di dosi somministrate;

2 ribadito che «…non intendiamo insinuare dubbi sull'efficacia dei vaccini che risulta un fatto consolidato…»;

3 parlato della fragilità pregressa dei soggetti deceduti;

4 ripetuto più volte la parola «prudenza», per invitare alla consapevolezza dell'efficacia parziale ma non assoluta del vaccino che, come tutti i farmaci, ha reazioni avverse. Ma che, al contrario di tutti i farmaci, non ha alle spalle uno storico di dati clinici consolidati, sufficienti per avere un quadro stabile e definitivo delle reazioni.

L'enfasi sui casi fatali è normale quando, in un'analisi differenziale, una variabile sia pur modesta come peso assoluto, presenti uno scostamento rilevante. Tanto più se trattasi di vite umane.

Ricordiamo ai novelli censori che la vera disinformazione riguarda la diffusione di dati e circostanze fattualmente false, o decisive omissioni di fatti veri. Nell'articolo non ce n'è una e, per noi, anche una sola vita è preziosa, figurarsi 14 (sperando che tra i 555 casi segnalati non emergano altri nessi di causalità). Chi ci accusa di allarmismo dovrebbe riflettere sui bollettini che da marzo 2020 hanno martellato riportando decessi altrettanto innegabili, ma lasciando in secondo piano la particolare concentrazione nelle classi di età più anziane e, soprattutto, l'accertamento di un preciso e decisivo nesso causale tra Covid e decesso. «Post hoc» è ben diverso da «propter hoc», ma lo si scopre solo oggi.

Se davvero avessimo voluto «avvelenare i pozzi», avremmo insinuato dubbi sul funzionamento della farmacovigilanza e sull'affidabilità dell'algoritmo dell'Oms per la valutazione del nesso di causalità. Invece noi ci accontentiamo di questi dati, quali che siano, e rifiutiamo l'aneddotica da bar.

In nome di un malcelato interesse verso il procedere della campagna vaccinale, pare che la nostra colpa sia stata quella di disturbare il manovratore. Ma noi crediamo che solo la consapevolezza dei rischi (modesti ma purtroppo esistenti e ancora da accertare completamente) e dei benefici (al momento superiori, ma anch'essi da accertare nel tempo), validati da istituzioni autorevoli, possa condurre alla libera scelta di proteggere la propria salute, come decine di milioni di italiani hanno già fatto.

Chi ci critica dovrebbe accogliere con favore la nostra attenzione ai dati, perché sa (ma finge di non saperlo) che la disponibilità di evidenze scientifiche non parziali e provvisorie è il migliore argomento a favore del vaccino e di un eventuale obbligo, sentenze della Corte alla mano. In assenza di tali dati clinici, chi impone l'obbligo (formale o surrettizio) sa che sarebbe fuori dall'ordinamento costituzionale. La forza che prevale sul diritto. È già accaduto e non è detto che non accada nuovamente. Basta saperlo.

Occultare o mentire autorizza purtroppo i peggiori sospetti e sortisce l'effetto contrario nei confronti di una soluzione importante ma non unica e definitiva.

Ecco cosa c’era nell’indagine che doveva mirare a Salvini. Scarpinato querela Gallucci
Roberto Scarpinato (Imagoeconomica)
La presunta frode elettorale travolse i leghisti. Ma a processo è finito solo un «big» delle preferenze del centrosinistra. Il pm di allora conferma tutto. E va al contrattacco.

L’intervista a questo giornale della pm di Pesaro Anna Gallucci ha scosso il mondo politico e quello giudiziario. La toga ha denunciato il presunto indirizzo «politico» dato alla maxi inchiesta Voto connection della Procura di Termini Imerese, dove la donna lavorava, un’indagine che riguardava voto di scambio (riqualificato dal gip in attentato contro i diritti politici dei cittadini), favoritismi e promesse di lavoro in vista delle elezioni comunali e regionali del 2017. La pm ci ha rivelato che l’allora procuratore Ambrogio Cartosio (che ha definito la ricostruzione della ex collega come «falsa» e «fantasiosa») la avrebbe spronata a far arrestare due esponenti della lista «Noi con Salvini», specificando che «era un’iniziativa condivisa con il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato» e l’avrebbe, invece, invitata a chiedere l’archiviazione per altri soggetti legati al centro-sinistra. Ma la Gallucci non avrebbe obbedito. Un’«insubordinazione» che la donna collega ad alcune sue successive valutazioni negative da parte dei superiori e a una pratica davanti al Csm.

Veicoli a batteria +131% in Italia, cinesi in festa
Getty images
Performance a tripla cifra per Byd, Lynk&Co e Omoda/Jaecoo grazie agli incentivi.

Byd +535,3%, Lynk&Co +292,3%, Omoda/Jaecoo +386,5%, «altre» +419,2% e fra queste c’è Leapmotor, ovvero il partner cinese di Stellantis che raggiunge l’1,8% della quota di mercato solo a novembre. Lo scorso mese le immatricolazioni auto sono rimaste stabili nei confronti dello stesso periodo di un anno fa, tuttavia c’è stato un +131% circa delle vetture elettriche, grazie agli incentivi che hanno fatto felici i principali produttori di veicoli a batteria: i cinesi. Come emerge appunto dalle performance a tripla cifra messe a segno dai marchi dell’ex celeste impero. La quota di mercato delle auto elettriche è volata così nel mese al 12,2%, rispetto al 5,3% del novembre 2024.

«La spinta degli incentivi ha temporaneamente mitigato l’anomalia del mercato italiano, riavvicinandolo agli standard europei», sottolinea il presidente di Motus-E, Fabio Pressi. «Appurato l’interesse degli italiani per la mobilità elettrica, strumenti di supporto alla domanda programmatici e prevedibili conseguirebbero anche da noi risultati paragonabili a quelli degli altri grandi mercati Ue», osserva ancora Pressi, citando a titolo d’esempio «l’ormai improcrastinabile revisione della fiscalità sulle flotte aziendali».

Berlino frena Ursula sull’elettrico. «Le auto ibride anche dopo il 2035»
Friedrich Merz e Ursula von der Leyen (Ansa)
Pure Merz chiede a Bruxelles di cambiare il regolamento che tra un decennio vieterà i motori endotermici: «Settore in condizioni precarie». Stellantis: «Fate presto». Ma lobby green e socialisti europei non arretrano.

Il cancelliere Friedrich Merz ha annunciato che la Germania chiederà alla Commissione europea di modificare il regolamento europeo sul bando dei motori endotermici al 2035. Il dietrofront tedesco sul bando ai motori a combustione interna, storico e tardivo, prende forma in un grigio fine settimana di novembre, con l’accordo raggiunto fra Cdu/Csu e Spd in una riunione notturna della coalizione a Berlino.

I partiti di governo capiscono «quanto sia precaria la situazione nel settore automobilistico», ha detto Merz in una conferenza stampa, annunciando una lettera in questo senso diretta a Ursula von der Leyen. La lettera chiede che, oltre ai veicoli elettrici, dopo il 2035 siano ammessi i veicoli plug-in hybrid, quelli con range extender (auto elettriche con motore a scoppio di riserva che aiuta la batteria) e anche, attenzione, «motori a combustione altamente efficienti», secondo le richieste dei presidenti dei Länder tedeschi. «Il nostro obiettivo dovrebbe essere una regolamentazione della CO2 neutrale dal punto di vista tecnologico, flessibile e realistica», ha scritto Merz nella lettera.

La Consulta «sgrida» la Corte dei Conti. Superfluo il ricorso sulle pensioni
Ansa
Per la sentenza n.167, il «raffreddamento della perequazione non ha carattere tributario». E non c’era bisogno di ribadirlo.

L’aspettavano tutti al varco Giorgia Meloni, con quella sua prima legge finanziaria da premier. E le pensioni, come sempre, erano uno dei terreni più scivolosi. Il 29 dicembre di quel 2022, quando fu approvata la Manovra per il 2023 e fu evitato quell’esercizio provvisorio che molti commentatori davano per certo, fu deciso di evitare in ogni modo un ritorno alla legge Fornero e fra le varie misure di risparmio si decise un meccanismo di raffreddamento della perequazione automatica degli assegni pensionistici superiori a quattro volte il minimo Inps. La norma fu impugnata dalla Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna e da una ventina di ex appartenenti alle forze dell’ordine per una presunta violazione della Costituzione. Ma ora una sentenza della Consulta, confermando per altro una giurisprudenza che era già abbastanza costante, ha dato ragione al governo e all’Inps, che si era costituita in giudizio insieme all’Avvocatura generale dello Stato, proprio contro le doglianze del giudice contabile. Già, perché in base alle norme vigenti, non è stato necessaria la deliberazione di un collegio giudicante, ma è bastata la decisione del giudice monocratico della Corte dei Conti emiliana, Marco Catalano, esperto in questioni pensionistiche.

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