2021-01-29
Ettore Prandini: «L’agricoltura soffre ma l’occupazione è stata preservata»
Ettore Prandini (Ansa/iStock)
Il presidente Coldiretti: «Nel 2020 l'export è salito dell'1,2% però la filiera ha perso 13 miliardi. Puntiamo sul progetto Cai».Il mondo agricolo non ha perso tanti lavoratori, ma ha dovuto dire addio a 13 miliardi di ricavi nel 2020. «Quello che abbiamo perso in modo significativo è il valore della filiera», in un momento in cui, con la pandemia, il cibo ha dimostrato tutta la sua strategicità, spiega alla Verità il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini. Qual è la situazione economica del comparto agricolo da quando è partita la pandemia?«Stiamo attraversando una fase difficile, nonostante il nostro settore sia stato tra quelli che più ha lavorato durante la pandemia e che ha permesso ai cittadini di avere i supermercati sempre pieni. Il cibo non è mai mancato, dunque. Ma questo ci deve far riflettere. Così come noi, anche altri Paesi hanno cercato di garantire alla popolazione una continuità nell'approvvigionamento di cibo e, per farlo, i cinesi hanno iniziato a comprare terreni fuori dalla Repubblica Popolare. Noi come Coldiretti ci stiamo organizzando per programmare le sfide future per arrivare a una autosufficienza produttiva. Ma servono investimenti. Nonostante tutti i problemi del 2020, noi abbiamo esportato l'1,2% in più rispetto al 2019. È un dato importante, in netta controtendenza con gli altri settori che sono crollati, nonostante i ritardi che il nostro Paese sconta dal punto di vista organizzativo, infrastrutturale e logistico».Con il progetto Cai punterete proprio su questo, no?«Sì, noi attraverso il progetto Consorzi agrari d'Italia lavoreremo anche su questo, con l'alleanza di BF Spa, l'unico gruppo agroindustriale italiano quotato in Borsa. Stiamo dando il via a un nuovo soggetto che non si limita a fornire prodotti e servizi, ma una piattaforma vera e propria che con le economie di scala consente di offrire mezzi tecnici a prezzi più convenienti e sia anche pronto a ritirare i prodotti delle imprese agricole al giusto prezzo grazie alla valorizzazione sui mercati nazionali ed esteri. Noi dobbiamo essere in grado di fare rete e di organizzarci. Solo così potremmo evitare i problemi dell'italian sounding (i prodotti che richiamano all'italianità ma non lo sono, ndr), che ci porta via circa 100 miliardi di fatturato. Potremmo, invece, sfruttarlo a nostro vantaggio per esportare i nostri prodotti di qualità verso tutti i cittadini che cercano il nostro made in Italy». Come procede il progetto?«Rispetto al momento iniziale, oggi abbiamo otto consorzi agrari che si sono espressi a favore di Cai che valgono complessivamente quasi un miliardo di euro. Noi con Cai abbiamo una prospettiva di crescita che è esponenziale. Vogliamo valorizzare il radicamento territoriale dei consorzi, unirli alla filiera delle energie rinnovabili, della chimica verde e della digitalizzazione con lo sviluppo dell'agricoltura di precisione per ottenere più competitività e qualità. Soprattutto vogliamo formare le nuove figure professionali che servono a questo cambiamento. Questo porterà a nuove forme di commercializzazione dei prodotti agroalimentari. Il nostro asso nella manica è fare rete». Quali prospettive di crescita avete per Cai?«Se noi sapremo cogliere le sfide che ci pone il mercato agroalimentare, credo che il fatturato dei Consorzi potrà anche quadruplicare nell'arco di qualche anno, portando valore agli azionisti dei consorzi che, ricordiamolo, sono gli agricoltori». Quanti posti di lavoro sono stati persi e quanti se ne perderanno nel comparto agricolo?«Noi abbiamo stimato che non ci sia stato un calo significativo del settore, perché abbiamo in ogni caso bisogno di manodopera. Certo, gli errori non sono mancati, soprattutto nella prima fase della pandemia. Noi avevamo chiesto di reintrodurre i voucher, cosa che poi non è successa perdendo l'opportunità di offrire lavoro a tanti italiani in difficoltà. In quel caso non abbiamo perso solo occupazione, ma raccolto, cioè valore. Così altri Stati hanno occupato fasce di mercato che prima erano nostre e abbiamo perso 13 miliardi di valore all'interno delle filiere agroalimentari. A rischio c'è anche il settore della ristorazione. La chiusura di questi locali è stato un colpo per Coldiretti. Senza i ristoranti si perde un importante mercato per i nostri prodotti di qualità. Noi abbiamo scritto ai ministri per rivedere le norme sulla ristorazione. Non capiamo perché debbano restare chiuse se si rispettano le norme di sicurezza». A che punto siamo con il processo di riforma della politica agricola comune europea?«Se prima si pensava che vi fosse un taglio del 17% della Pac, oggi noi abbiamo recuperato molto in termini di valore. Le risorse destinate alla Pac al momento non lasciano intendere che vi sarà un taglio di risorse significativo. La preoccupazione è che vi sarà un ricorso a una agricoltura di facciata e non di sostanza che ci portano a ridurre, invece di aumentare, la nostra capacità produttiva. Questo è grave per un Paese come l'Italia che ha bisogno di ridurre la dipendenza dall'estero».L'export è aumentato, l'import?«L'Italia importa molto materie prime i cui prezzi sono esplosi nell'anno della pandemia, dalla soia al mais - necessarie per l'alimentazione degli animali. Con Cai vogliamo progettare un piano di investimenti per potenziare la produzione nazionale anche con le nuove tecnologie offerte dalla cisgenetica, il tracciamento e la digitalizzazione della filiera. Non è un processo veloce, ma è l'unico modo per valorizzare il territorio». Lei ha da poco scritto al premier Conte, nonostante la crisi di governo, per chiedere maggior supporto al mondo agricolo. Che risposte ha ricevuto?«C'è stata disponibilità, ma noi vogliamo più progettualità e coordinamento amministrativo sul recovery fund. Chiediamo un miglior rapporto tra Stato e regioni. In Italia ci sono regioni virtuose che spendono tutti i finanziamenti, ed altre che rimandano i soldi al mittente perché non riescono a spenderli. Non ci possiamo permettere - per mancanza di progettualità ed efficienza di spesa - che oggi, con la pandemia che stiamo passando, l'Italia si trovi a restituire fondi all'Ue».