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2022-08-16
Agosto 1942: la battaglia di Guadalcanal e la storia di un eroe italoamericano
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Marines della 1st Marine Division nella giungla paludosa di Guadalcanal (Us Navy Archives)
Dopo le battaglie del Mar dei Coralli e delle Midway, nella tarda primavera del 1942, l'espansione giapponese nel Pacifico si era arrestata. Tuttavia, l'occupazione da parte dei nipponici dell'isola di Guadalcanal nell'arcipelago delle Salomone e la successiva costruzione di un aeroporto nella parte settentrionale dell'isola significarono per gli Americani una seria minaccia per i collegamenti tra l'Australia e le basi alle Hawaii. Nel luglio del 1942 gli Americani optarono per un'invasione anfibia piuttosto che per un attacco dal cielo, in modo da poter occupare stabilmente l'isola e sfruttare l'aeroporto costruito dai Giapponesi. A soli 7 mesi dall'ingresso in guerra degli Usa dopo l'attacco a Pearl Harbour, l'unica forza militare adatta ad una simile operazione erano i Marines della Prima Divisione, che stavano però ancora completando l'addestramento in South Carolina e che non avevano mai visto fino ad allora il campo di battaglia. Di fronte a loro, circa 7.000 soldati giapponesi abituati alla battaglia e al territorio paludoso e inospitale presidiavano l'isola, protetti a Nordest dalla IV flotta della Marina Imperiale nipponica. Comandava i Marines il generale Alexander A. Vandergrift. La data dello sbarco fu fissata per il giorno 7 agosto 1942 coperto da un supporto aeronavale di grandi dimensioni. In 36 ore, senza incontrare grande resistenza da parte nemica i Marines occuparono l'aeroporto, subito ribattezzato Henderson Field in onore di un pilota della Marina scomparso durante la precedente battaglia delle Midway. La reazione giapponese avvenne due giorni dopo, con la IV flotta che ingaggiò una violenta battaglia navale notturna. Per la flotta americana fu un duro colpo, con la perdita di ben 6 unità navali in circa mezz'ora. La sorpresa, che fece presagire la prospettiva di una lunga lotta per Guadalcanal, impose alla Marina americana il supporto di ulteriori forze, che videro l'arrivo delle portaerei USS Saratoga, USS Enterprise e la nave USS North Carolina. Il 24 agosto 1942 le flotte vennero di nuovo in contatto, questa volta con la intera Prima divisione navale giapponese del Contrammiraglio Nagomo Chuichi. La feroce battaglia vide danneggiate entrambe le flotte, con il danneggiamento da parte americana delle portaerei leggere Ryujo e la nave porta idrovolanti Chitose. Dall'altra parte i bombardieri nipponici colpirono seriamente la USS Enterprise al timone che, senza possibilità di essere governata, rischiò di essere affondata dalla successiva ondata di aerei nipponici e si salvò soltanto per un errore di localizzazione da parte della formazione nemica. Subito dopo la battaglia di fine agosto, un tentativo di sortita da parte della forza navale di supporto guidata dal contrammiraglio Tanaka Raizo fallì con gravi perdite e da quel momento la Marina imperiale giapponese cambiò strategia. Fu proprio Raizo a concepire la tattica del supporto navale alle forze di terra con l'impiego di convogli navali notturni attraverso il canale delle isole Salomone, che sarà in seguito chiamato dagli Americani che occupavano Guadalcanal “Tokyo Express”. Nei sei mesi seguenti, vi fu uno stallo operativo durante il quale l'aeroporto Henderson Field fu bombardato ripetutamente dalla flotta navale giapponese contemporaneamente ad azioni lampo dei sottomarini nipponici, che costarono agli Americani la perdita della portaerei USS Wasp, affondata dall'U-19 della Marina imperiale.
Le operazioni di terra.
I convogli giapponesi “Tokyo express” funzionarono ininterrottamente e con buon esito, fatto che garantì il rifornimento di armi e uomini sull'isola di Guadalcanal, mentre gli scontri navali ripresero vigorosi, con perdite da entrambe le parti. A terra, dopo lo sbarco di agosto 1942, i Marines a difesa dell'aeroporto di Guadalcanal erano saliti a 11.000 unità, protetti dalla forza aerea ribattezzata “Cactus Air Force”, che vide la partecipazione delle forze dell'Esercito, dell'Aviazione di Marina e dell'Usaaf. Gli americani furono così in grado di proteggere la preziosissima pista di aviazione, anche di fronte ad un primo tentativo di assalto via terra attuato dai Giapponesi che avevano sottostimato la forza nemica. Un contingente di 900 soldati nipponici formato prevalentemente da vecchi riservisti fu falciato dalle armi americane a protezione di Henderson Field. Tra il 13 ed il 14 settembre 1942, 800 Marines agli ordini del colonnello Merritt “Red Mike” Edson furono obiettivo di un violentissimo attacco nemico alle difese dell'aeroporto, ma furono tuttavia in grado di resistere tenacemente contro una forza tre volte maggiore. Sempre per gli effetti del “Tokyo express”, gli effettivi Giapponesi durante il mese di ottobre del 1942 passarono alla ragguardevole cifra di 36.000 unità concentrate nella zona Nordoccidentale dell'isola, tanto che il 25 di quel mese un solo battaglione di Marines fu attaccato da due interi reggimenti nemici. Si trattava del 1°battaglione del 7° reggimento Marines guidato dal colonnello Chesty Puller (in seguito insignito della massima onorificenza di Marina, la Navy Cross). In questa occasione si distinguerà particolarmente il sergente di origini italiane John Basilone, di cui si parlerà in seguito. La resistenza americana permise di aumentare la presenza presso Henderson Field ad una forza di 44.000 uomini, di cui facevano parte anche reparti di fanteria venuti in supporto ai Marines. La potenza soverchiante degli Americani portò ad una graduale compressione dei Giapponesi verso la parte Nordoccidentale di Guadalcanal, che portò alla cessazione degli attacchi contro l'aeroporto e alla successiva evacuazione degli ultimi 12.000 soldati giapponesi dopo sei lunghi mesi di combattimenti. I nipponici ebbero gravi perdite, con circa 24mila morti , mentre il successo americano fu evidenziato dalle perdite limitate a 1.600 unità. Tra questi molti furono i decessi dovuti alla malaria, endemica nelle paludi malsane di Guadalcanal. Dal febbraio del 1943 le isole Salomone saranno definitivamente in mano alleata.
Storia di John Basilone, detto “Manila John”.
John Basilone era nato a Buffalo, stato di New york, il 4 novembre 1916. Figlio di immigrati beneventani crebbe a Raritan, New Jersey, dove nell'infanzia era solito seguire con altri bambini della comunità italiana i carretti di frutta e verdura facendo lo strillone. Ragazzo vivacissimo e di bell'aspetto, caratterizzato da una spiccata socievolezza, John terminò gli studi a 15 anni e dopo un periodo di impiego come garzone e poi autista di una catena di lavanderie, scelse di arruolarsi nell'esercito al compimento dei 18 anni nel 1934. Inviato nelle basi delle Filippine, svolse due turni di impiego operativo in seguito ai quali guadagnò il soprannome di “Manila John” e fu congedato due anni dopo con onore. Tornato a Raritan, lavorò per un periodo presso un'azienda chimica, ma il richiamo delle armi fu più forte. Nel 1940, quando in Europa già la guerra infuriava, scelse di arruolarsi nuovamente, questa volta nel Corpo dei Marines. Fu addestrato a Quantico, Parris Island e New River mentre gli Stati Uniti entravano in guerra alla fine del 1941. Inquarato nella 1st Marine Division fu tra i primi a sbarcare a Guadalcanal nell'agosto del 1942. Il 25 ottobre il sergente John Basilone, mitragliere, si trovò nel più violento attacco giapponese di tutta la battaglia per Guadalcanal. Da una buca acquitrinosa, messo al comando di due nidi di mitraglia compì l'azione più eroica di tutta la battaglia. I compagni di una delle due batterie furono infatti massacrati dal fuoco giapponese poco dopo l'inizio dell'attacco. Fu così che Manila John decise di fare la spola tra le due postazioni, azionando contemporaneamente le due armi e usando la pistola di ordinanza mentre le armi surriscaldavano. Quando le munizioni iniziarono a scarseggiare e il nemico forte di due intere divisioni continuava a premere ai confini dell'aeroporto Henderson Field, Basilone non esitò a uscire a più riprese dalla postazione sotto il fuoco giapponese per recuperare i nastri delle mitragliatrici. Quando i nemici si ritirarono, di fronte a una sola delle due armi automatiche comandate dal sergente italoamericano giacevano 38 corpi. Con la sua azione di sbarramento incessante, aveva impedito che i Giapponesi sfondassero le difese e dilagassero nella zona dell'aeroporto. Per l'azione eroica fu il primo a Guadalcanal a essere insignito di una delle più alte onorificenze per gli Stati Uniti, la Congressional Medal of Honor. Tornò a casa nel settembre 1943 dove fu premiato economicamente e in seguito utilizzato dal Corpo dei Marines per la propaganda a favore delle sottoscrizioni di bond di guerra. Ma ancora una volta il suo carattere lo fece di nuovo pensare all'azione. Chiese ed ottenne di tornare nel teatro del Pacifico e con il 27°reggimento della 5th Marine Division sbarcò ad Iwo Jima. L'obiettivo era anche in questo caso un aeroporto giapponese, quello di Motoyama. Durante l'azione offensiva John Basilone fu colpito mortalmente da una granata giapponese. Era il 19 febbraio 1945. Alla Medal of Honor fu affiancata la massima onorificenza della Marina Usa, la Navy Cross. Il suo corpo riposa nel cimitero degli eroi di Arlington, Virginia. Lasciò la moglie Lena Mae Riggi, anche lei di origini italoamericane e arruolata come John nei Marines durante la guerra. Quando fu falciato dalla granata Manila John aveva 32 anni. A lui sono state dedicate due navi della Marina americana, La USS Basilone (DD-824) in servizio fino al 1977 e la attuale USS John Basilone (DDG-822), varata a ottant'anni dall'impresa eroica di Guadalcanal il 18 giugno 2022.
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L'isola delle Salomone fu teatro di una battaglia lunga sei mesi. La vittoria americana cambiò gli equilibri nel Pacifico. Fu il primo sbarco dei Marines tra i quali si distinse l'italoamericano John Basilone.Dopo le battaglie del Mar dei Coralli e delle Midway, nella tarda primavera del 1942, l'espansione giapponese nel Pacifico si era arrestata. Tuttavia, l'occupazione da parte dei nipponici dell'isola di Guadalcanal nell'arcipelago delle Salomone e la successiva costruzione di un aeroporto nella parte settentrionale dell'isola significarono per gli Americani una seria minaccia per i collegamenti tra l'Australia e le basi alle Hawaii. Nel luglio del 1942 gli Americani optarono per un'invasione anfibia piuttosto che per un attacco dal cielo, in modo da poter occupare stabilmente l'isola e sfruttare l'aeroporto costruito dai Giapponesi. A soli 7 mesi dall'ingresso in guerra degli Usa dopo l'attacco a Pearl Harbour, l'unica forza militare adatta ad una simile operazione erano i Marines della Prima Divisione, che stavano però ancora completando l'addestramento in South Carolina e che non avevano mai visto fino ad allora il campo di battaglia. Di fronte a loro, circa 7.000 soldati giapponesi abituati alla battaglia e al territorio paludoso e inospitale presidiavano l'isola, protetti a Nordest dalla IV flotta della Marina Imperiale nipponica. Comandava i Marines il generale Alexander A. Vandergrift. La data dello sbarco fu fissata per il giorno 7 agosto 1942 coperto da un supporto aeronavale di grandi dimensioni. In 36 ore, senza incontrare grande resistenza da parte nemica i Marines occuparono l'aeroporto, subito ribattezzato Henderson Field in onore di un pilota della Marina scomparso durante la precedente battaglia delle Midway. La reazione giapponese avvenne due giorni dopo, con la IV flotta che ingaggiò una violenta battaglia navale notturna. Per la flotta americana fu un duro colpo, con la perdita di ben 6 unità navali in circa mezz'ora. La sorpresa, che fece presagire la prospettiva di una lunga lotta per Guadalcanal, impose alla Marina americana il supporto di ulteriori forze, che videro l'arrivo delle portaerei USS Saratoga, USS Enterprise e la nave USS North Carolina. Il 24 agosto 1942 le flotte vennero di nuovo in contatto, questa volta con la intera Prima divisione navale giapponese del Contrammiraglio Nagomo Chuichi. La feroce battaglia vide danneggiate entrambe le flotte, con il danneggiamento da parte americana delle portaerei leggere Ryujo e la nave porta idrovolanti Chitose. Dall'altra parte i bombardieri nipponici colpirono seriamente la USS Enterprise al timone che, senza possibilità di essere governata, rischiò di essere affondata dalla successiva ondata di aerei nipponici e si salvò soltanto per un errore di localizzazione da parte della formazione nemica. Subito dopo la battaglia di fine agosto, un tentativo di sortita da parte della forza navale di supporto guidata dal contrammiraglio Tanaka Raizo fallì con gravi perdite e da quel momento la Marina imperiale giapponese cambiò strategia. Fu proprio Raizo a concepire la tattica del supporto navale alle forze di terra con l'impiego di convogli navali notturni attraverso il canale delle isole Salomone, che sarà in seguito chiamato dagli Americani che occupavano Guadalcanal “Tokyo Express”. Nei sei mesi seguenti, vi fu uno stallo operativo durante il quale l'aeroporto Henderson Field fu bombardato ripetutamente dalla flotta navale giapponese contemporaneamente ad azioni lampo dei sottomarini nipponici, che costarono agli Americani la perdita della portaerei USS Wasp, affondata dall'U-19 della Marina imperiale. Le operazioni di terra.I convogli giapponesi “Tokyo express” funzionarono ininterrottamente e con buon esito, fatto che garantì il rifornimento di armi e uomini sull'isola di Guadalcanal, mentre gli scontri navali ripresero vigorosi, con perdite da entrambe le parti. A terra, dopo lo sbarco di agosto 1942, i Marines a difesa dell'aeroporto di Guadalcanal erano saliti a 11.000 unità, protetti dalla forza aerea ribattezzata “Cactus Air Force”, che vide la partecipazione delle forze dell'Esercito, dell'Aviazione di Marina e dell'Usaaf. Gli americani furono così in grado di proteggere la preziosissima pista di aviazione, anche di fronte ad un primo tentativo di assalto via terra attuato dai Giapponesi che avevano sottostimato la forza nemica. Un contingente di 900 soldati nipponici formato prevalentemente da vecchi riservisti fu falciato dalle armi americane a protezione di Henderson Field. Tra il 13 ed il 14 settembre 1942, 800 Marines agli ordini del colonnello Merritt “Red Mike” Edson furono obiettivo di un violentissimo attacco nemico alle difese dell'aeroporto, ma furono tuttavia in grado di resistere tenacemente contro una forza tre volte maggiore. Sempre per gli effetti del “Tokyo express”, gli effettivi Giapponesi durante il mese di ottobre del 1942 passarono alla ragguardevole cifra di 36.000 unità concentrate nella zona Nordoccidentale dell'isola, tanto che il 25 di quel mese un solo battaglione di Marines fu attaccato da due interi reggimenti nemici. Si trattava del 1°battaglione del 7° reggimento Marines guidato dal colonnello Chesty Puller (in seguito insignito della massima onorificenza di Marina, la Navy Cross). In questa occasione si distinguerà particolarmente il sergente di origini italiane John Basilone, di cui si parlerà in seguito. La resistenza americana permise di aumentare la presenza presso Henderson Field ad una forza di 44.000 uomini, di cui facevano parte anche reparti di fanteria venuti in supporto ai Marines. La potenza soverchiante degli Americani portò ad una graduale compressione dei Giapponesi verso la parte Nordoccidentale di Guadalcanal, che portò alla cessazione degli attacchi contro l'aeroporto e alla successiva evacuazione degli ultimi 12.000 soldati giapponesi dopo sei lunghi mesi di combattimenti. I nipponici ebbero gravi perdite, con circa 24mila morti , mentre il successo americano fu evidenziato dalle perdite limitate a 1.600 unità. Tra questi molti furono i decessi dovuti alla malaria, endemica nelle paludi malsane di Guadalcanal. Dal febbraio del 1943 le isole Salomone saranno definitivamente in mano alleata.Storia di John Basilone, detto “Manila John”.John Basilone era nato a Buffalo, stato di New york, il 4 novembre 1916. Figlio di immigrati beneventani crebbe a Raritan, New Jersey, dove nell'infanzia era solito seguire con altri bambini della comunità italiana i carretti di frutta e verdura facendo lo strillone. Ragazzo vivacissimo e di bell'aspetto, caratterizzato da una spiccata socievolezza, John terminò gli studi a 15 anni e dopo un periodo di impiego come garzone e poi autista di una catena di lavanderie, scelse di arruolarsi nell'esercito al compimento dei 18 anni nel 1934. Inviato nelle basi delle Filippine, svolse due turni di impiego operativo in seguito ai quali guadagnò il soprannome di “Manila John” e fu congedato due anni dopo con onore. Tornato a Raritan, lavorò per un periodo presso un'azienda chimica, ma il richiamo delle armi fu più forte. Nel 1940, quando in Europa già la guerra infuriava, scelse di arruolarsi nuovamente, questa volta nel Corpo dei Marines. Fu addestrato a Quantico, Parris Island e New River mentre gli Stati Uniti entravano in guerra alla fine del 1941. Inquarato nella 1st Marine Division fu tra i primi a sbarcare a Guadalcanal nell'agosto del 1942. Il 25 ottobre il sergente John Basilone, mitragliere, si trovò nel più violento attacco giapponese di tutta la battaglia per Guadalcanal. Da una buca acquitrinosa, messo al comando di due nidi di mitraglia compì l'azione più eroica di tutta la battaglia. I compagni di una delle due batterie furono infatti massacrati dal fuoco giapponese poco dopo l'inizio dell'attacco. Fu così che Manila John decise di fare la spola tra le due postazioni, azionando contemporaneamente le due armi e usando la pistola di ordinanza mentre le armi surriscaldavano. Quando le munizioni iniziarono a scarseggiare e il nemico forte di due intere divisioni continuava a premere ai confini dell'aeroporto Henderson Field, Basilone non esitò a uscire a più riprese dalla postazione sotto il fuoco giapponese per recuperare i nastri delle mitragliatrici. Quando i nemici si ritirarono, di fronte a una sola delle due armi automatiche comandate dal sergente italoamericano giacevano 38 corpi. Con la sua azione di sbarramento incessante, aveva impedito che i Giapponesi sfondassero le difese e dilagassero nella zona dell'aeroporto. Per l'azione eroica fu il primo a Guadalcanal a essere insignito di una delle più alte onorificenze per gli Stati Uniti, la Congressional Medal of Honor. Tornò a casa nel settembre 1943 dove fu premiato economicamente e in seguito utilizzato dal Corpo dei Marines per la propaganda a favore delle sottoscrizioni di bond di guerra. Ma ancora una volta il suo carattere lo fece di nuovo pensare all'azione. Chiese ed ottenne di tornare nel teatro del Pacifico e con il 27°reggimento della 5th Marine Division sbarcò ad Iwo Jima. L'obiettivo era anche in questo caso un aeroporto giapponese, quello di Motoyama. Durante l'azione offensiva John Basilone fu colpito mortalmente da una granata giapponese. Era il 19 febbraio 1945. Alla Medal of Honor fu affiancata la massima onorificenza della Marina Usa, la Navy Cross. Il suo corpo riposa nel cimitero degli eroi di Arlington, Virginia. Lasciò la moglie Lena Mae Riggi, anche lei di origini italoamericane e arruolata come John nei Marines durante la guerra. Quando fu falciato dalla granata Manila John aveva 32 anni. A lui sono state dedicate due navi della Marina americana, La USS Basilone (DD-824) in servizio fino al 1977 e la attuale USS John Basilone (DDG-822), varata a ottant'anni dall'impresa eroica di Guadalcanal il 18 giugno 2022.
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
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Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
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Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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