2021-04-10
Addio al principe Filippo. Lascia in eredità quasi un secolo di gaffe
Muore a 99 anni il marito della regina Elisabetta. Sagace e spiritoso, è celebre per le battute pungenti e spiazzanti che si burlavano dell’etichetta di palazzoL’annuncio è arrivato alle 12.01 dall’account Twitter della Famiglia Reale: il principe Filippo è morto ieri mattina, nel castello di Windsor, all’età di 99 anni, lasciando sola la regina Elisabetta, con cui era sposato da oltre settant’anni. Sua Maestà si è detta addolorata e affranta per aver perso l’adorato marito, che era la sua roccia e che le è stato accanto durante i momenti più complicati per il Regno. Ma per il Duca di Edimburgo, l’uscita di scena è arrivata giusto in tempo. Ancora due mesi e avrebbe compiuto cent’anni, età che non amava dato che nel 2000, in occasione del centesimo compleanno della regina Madre, aveva dichiarato: «Non riesco a immaginare nulla di peggio che campare fino a cent’anni. Sto già cadendo a pezzi adesso». Una battuta autoironica e sagace, come ne affioravano spesso sulle labbra di questo figlio della nobiltà che ha vissuto in tanti Paesi diversi e solcato mari con ruoli di comando, prima di approdare a Corte e mettersi al servizio della futura sovrana. Mentre l’accompagnava negli eventi ufficiali, sempre tre passi dietro di lei, però, il principe Filippo non ha mai rinunciato ad esprimere le sue opinioni, spesso piuttosto radicali. Anzi, era rinomato per le sue battute sagaci, indifferenti ai canoni di palazzo e al politically correct. Per qualcuno si trattava di gaffes, per altri del desiderio di far prevalere comunque il suo pensiero, a dispetto di regole e convenzioni. Il Duca di Edimburgo amava questo atteggiamento, che faceva arrabbiare i diplomatici e gongolare i lettori dei tabloid, al punto che per esso aveva persino coniato un nome e una definizione: «Dontopedalogy», ovvero il talento di dire sempre la cosa inappropriata, «una scienza in cui mi sono esercitato per molti anni» spiegava sornione. Con questa formula, il principe Filippo ha voluto ufficializzare la sua tendenza a lasciare spazio ad esternazioni, che nella società di oggi sono considerate inaccettabili. Innumerevoli, ad esempio, i suoi commenti a sfondo razzista. Uno dei primi risale al 1986, quando parlando a un gruppo di studenti inglesi durante una visita reale in Cina, ha detto preoccupato: «Se state qui ancora a lungo, finirete con l’avere gli occhi a mandorla». Sulla Cina, peraltro, il principe Filippo aveva opinioni curiose. Parlando della loro arte culinaria, ad esempio, ha detto: «Se ha quattro zampe e non è un tavolo, se vola e non è un aeroplano, se galleggia e non è un sottomarino, potete essere sicuri che i cinesi lo mangeranno». Nel 2002, invece, incontrando degli aborigeni in Australia, ha chiesto loro: «Tirate ancora le lance?», mentre l’anno successivo ha avuto l’ardire di domandare al presidente della Nigeria, che vestiva abiti tradizionali: «Ma cosa ti sei messo, il pigiama?». Nel 2009, poi, durante un incontro a Buckingham Palace con gli imprenditori indiani, ha chiesto all’uomo d’affari Atul Patel: «C’è un sacco di gente della tua famiglia qui, stasera»? Tre anni dopo, chiacchierando con un’infermiera filippina in un ospedale, ha commentato: «Le Filippine devono essere mezze vuote, siete tutte qui a far funzionare il sistema sanitario britannico». Ma in fondo le donne, che pure amava, non sono mai state oggetto di particolare gentilezza. Nel 1966 il principe ha dichiarato che «Le britanniche non sanno cucinare», mentre nel 2002 ha apostrofato una poliziotta che indossava un giubbotto antiproiettile dicendo: «Sembri una kamikaze». Nel 1984, dopo aver ricevuto un regalo da una donna in Kenya, le ha chiesto a bruciapelo: «Lei è una donna, no?». Un commento che ha infastidito le signore, ma anche coloro che combattono il razzismo. Ma in fondo il principe consorte aveva idee rigide anche su caratteristiche e limiti delle nazionalità diverse dalla sua. Per questo all’ambasciatore irlandese, che gli consegnava un cesto di doni, ha domandato: «E dove diavolo è il whiskey?», mentre a un abitante benestante delle isole Cayman ha detto: «La gran parte di voi discende da pirati, giusto?» e da un istruttore di guida scozzese si è informato: «Come fate a tenere i nativi lontani dall’alcol il tempo necessario per passare l’esame?». Per non parlare di quando, durante la visita a un club di giovani del Bangladesh a Londra, nel 2002, si è rivolto sorridendo ai ragazzi e ha chiesto loro: «Allora, chi si droga tra voi?». Pregiudizi degni di una barzelletta, un po’ come i commenti sull’aspetto fisico che si è lasciato scappare negli anni passati. Nel 1999, parlando a un gruppo di giovani non udenti a Cardiff, che si trovavano accanto a un complesso di percussionisti, ha commentato: «Sordi? Beh, se siete qui accanto, non mi meraviglia che lo siate!», mentre due anni dopo ha preso in giro un 13enne che gli aveva confessato il suo sogno di andare nello spazio, dicendo «Sei troppo grasso per essere un astronauta!». Il Duca di Edimburgo ha profuso, nella sua vita, anche giudizi classisti, come quando nel 1981, durante la recessione, ha minimizzato le lamentele degli operai spiegando: «Tutti dicevano che dovessimo avere più tempo libero. E ora si lamentano di essere disoccupati». In modo inaccettabile, poi, ha liquidato come un «brutto imbecille» un parcheggiatore dell’Università di Cambridge, colpevole di non averlo riconosciuto, mentre in Australia, quando gli hanno chiesto di abbracciare un koala, ha rifiutato precisando: «Oh no, potrei prendere qualche orribile malattia». Delle battute fuoriluogo, infine, si potrebbe fare un catalogo. A un bambino sulla sedia a rotelle ha chiesto: «Mi fai fare un giro?»; ha declassato l’arte etiope spiegando che «Sembra fatto da mia figlia alle elementari»; ha offeso il cantante Tom Jones dicendogli «Canti come se stessi facendo i gargarismi coi sassi in bocca»; ha degradato l’attrice Cate Blanchett chiedendole: «Lavori nel cinema? Bene, mi aggiusti il lettore dvd?» e infine ha messo in difficoltà il premio Nobel Malala, sfregiata per difendere il diritto allo studio delle ragazze, chiosando «I bambini vanno a scuola perché i genitori non li vogliono a casa». L’ultima gaffe, però, risale a qualche mese prima della sua rinuncia agli impegni istituzionali. Inaugurava un monumento e al microfono ha dichiarato «Sono lieto di inaugurare questo coso…qualunque cosa sia».
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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