2018-08-11
Addio a De Michelis, «papà» di Marsilio che scoprì la Tamaro
Lontano dai salotti letterari, Cesare De Michelis diceva: «I libri non devono essere asserviti, ma devono servire. Saviano? Un Guareschi snob».«Un libro dev'essere buono, non necessariamente bello». Questo rimane, scolpito nella pietra, come insegnamento supremo di un uomo che ha vissuto fra le pagine, amandole e giudicandole, circondandosi di 100.000 volumi senza mai essere un collezionista, tanto meno un feticista della carta. Perché il valore etico di un lavoro è sempre superiore alla sua immagine estetica; perché quando un libro ti scoppia in mano, ti insegna sempre qualcosa. Cesare De Michelis era in vacanza a Cortina, da dove non tornerà. Veneziano innamorato della laguna, fratello dell'ex ministro socialista, il decano degli editori italiani è morto a 74 anni mentre guardava il mondo dalla tolda della sua Marsilio, casa editrice nella quale era entrato quattro anni dopo la fondazione (1961) per arrivare fino ai vertici. Da suo padre aveva ricevuto come regalo di laurea, invece di un'auto scoperta o di un gozzo da pesca, un po' di azioni di una piccola impresa libraria. L'ha lanciata, modellata, strutturata, ceduta a Rcs, ricomprata dopo la fusione con Mondadori, vista diventare una grande realtà culturale, infine affidata (per il 55%) a un colosso come Feltrinelli imponendo patti chiari di non inglobazione.Sarebbe praticamente impossibile perché De Michelis rappresenta l'esatto opposto rispetto al supermercato radical chic di Inge Feltrinelli. Tanto per cominciare lui avvertiva il prurito solo a sentir parlare di omologazione culturale, di marxismo salvifico, di sinistra del pensiero dominante. E poi, da rabdomante solo apparentemente ruvido, è sempre stato un talent scout. Agli autori seriali che nuotano dentro il mainstream ha sempre preferito i piccoli gioielli del pensiero prima che della parola, da scoprire nella terra, da pulire e da far brillare. Come Susanna Tamaro, come Margaret Mazzantini. Il suo motto industriale era semplice e ha sempre coinciso con la sua filosofia: «Non bisogna fare i libri che si vendono, ma vendere i libri che si fanno». Prima l'intelligenza e l'intuito del pioniere, poi la pubblicità e il marketing aziendale. Non per nulla, sul pianeta letterario picconato duramente dalle tentazioni digitali, stimava moltissimo Gian Arturo Ferrari, il capitano Achab della Mondadori più classica. De Michelis detestava le mode, non sopportava i manierismi, cercava nelle persone il contraddittorio per portare il confine più in là. E rifuggiva la nostalgia fine a sé stessa. Da grande veneziano non ha mai considerato quel museo a cielo aperto qualcosa di trapassato da celebrare, ma qualcosa di vivo in cui progettare il futuro. Per questo, pur essendogli amico, non lesinava critiche a Massimo Cacciari nel periodo da sindaco. E diceva: «Massimo ha una gran testa ma è divorato dal suo stesso nichilismo. La sua città ideale è senza abitanti». De Michelis ha pubblicato tutto, ma non di tutto. È passato dalla sociologia di Toni Negri (conosceva il cattivo maestro dai tempi dell'università a Padova), alla trilogia di Stieg Larsson. Pur non amando per niente i gialli, colse nell'autore di Uomini che odiano le donne lampi autentici di fascino e di modernità. E fece bingo: otto milioni di copie vendute in Europa, invidia perenne nei circoli editoriali. Luoghi che non frequentava, ma che erano percorsi dai suoi giudizi come dalle sentenze di un vate. Giulio Einaudi? Non ne digeriva le vanità e le chiamava adenoidi. Roberto Saviano? «È un Guareschi snob». Niccolò Ammanniti? «Meglio Daniele Del Giudice e Sandro Veronesi». Quando, nel pieno di Tangentopoli, si ritrovò una mattina con la scritta «ladro» sul muro di casa, allargò le braccia e disse: «Questo è un omaggio alle presunte tangenti di mio fratello».Brillante, folgorante, faceva il bastian contrario per arrivare a un risultato. Anche l'ultimo suo innamoramento letterario andava in quella direzione: Giuseppe Berto, roba che alla Feltrinelli potrebbero accendere le pire. De Michelis lo considerava fra i più grandi e nel suo giudizio non era estraneo l'elemento ideologico; poiché detestava l'omologazione intellettuale comunista del dopoguerra, uno scrittore così emarginato, vessato, sottovalutato come quello de Il male oscuro e La gloria non poteva che affascinarlo. Riusciva a leggere anche quattro libri al giorno, alla ricerca della prossima pepita, della prossima emozione, guardato a vista dalla moglie Emanuela Bassetti, che nei momenti più duri lo aveva aiutato a salvare la sua creatura. E supportato dal figlio Luca, manager con background a Londra, che negli ultimi anni lo ha affiancato sulla tolda. De Michelis è stato vicepresidente della Biennale, docente di letteratura all'università di Padova. Ma soprattutto instancabile amante della cultura libera, depurata dalle scorie del politicamente corretto. Quando lo ha colto la signora con la falce stava programmando un libro firmato da papa Francesco e stava lavorando con Stefano Lorenzetto a una lunga intervista autobiografica, dal titolo In cerca d'autore. Ai pochi incontri pubblici ai quali partecipava amava ripetere: «I libri non devono essere asserviti, ma devono servire». Oggi rimane un'idea rivoluzionaria.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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