
La guerra è brutta non soltanto per chi uccide e per quello che si distrugge ma pure per noi: ne siamo distanti ma ci rende peggiori. Perché proviamo compassione se muore un «nostro» altrimenti la cosa non ci riguarda.Immaginate se da noi mentre, che so, Laura Chimenti o Giorgia Cardinaletti stan conducendo il Tg1, arrivasse un missile in studio che sconquassa tutto: lei sparisce, una nebbia copre il video e l’aria si fa irrespirabile anche a chi sta vedendo la tv... Cosa pensereste? Che la realtà brutale si sostituisce all’informazione e parla direttamente, senza più bisogno di mediazioni. Via i media, la forza bruta va direttamente in video. La guerra non è più dentro la notizia, ma le notizie sono dentro la guerra; lo studio non è più un luogo asettico, a tenuta stagna, un Olimpo da cui osservare il mondo a distanza di sicurezza, ma fa parte anch’esso della scena che racconta... E immaginate ancora se voi, mentre siete in casa davanti alla tv o al vostro social preferito a vedere immagini di guerra e a leggere e scrivere commenti sulla medesima, vi arrivasse un bel missile dalla finestra a interrompere la vostra, la nostra simulazione di vita...Davanti a questa guerra, vi confesso, ho due impulsi opposti e, credo, entrambi comprensibili: non riesco a scrivere d’altro, non posso farne a meno; ma, dall’altra parte, vorrei scrivere di tutt’altro, allontanarmi dalla guerra non potendo fare nulla di concreto per fermarla, vorrei cambiare sguardo, cambiare piano, cambiare mondo. Da una parte, infatti, scrivere d’altro mentre piovono le bombe mi sembra un vile cazzeggiare, come quello dell’Unione europea che discute di cani e gatti mentre un popolo è sotto assedio e sta sul punto di capitolare e un altro patisce incursioni ritorsive. O mi sembra di fare come mezza classe politica nostrana che, sulla soglia di una guerra che potrebbe farsi mondiale, davanti a imminenti esplosioni, uccisioni e stragi, va a sfilare al gay pride pure in Ungheria, perché il nemico prioritario da battere, come è noto, è Viktor Orbán e i suoi corrispettivi nostrani.Da tre anni, almeno, vediamo nei tg più bambini che muoiono che bambini che giocano, più palazzi distrutti che integri, gente che corre, che soccorre, che muore, che spara, più che gente alle prese con la vita quotidiana. Ma poi mi accorgo che l’impulso a non sottrarsi a parlare di questa guerra nasce dalla stessa molla che mi spinge a cercare la vita altrove, a occuparmi di ciò che fa il mondo oltre e fuori dalla guerra, come vive, cosa pensa: cercare, in ambo i casi, la vita vera. E, allora, il punto d’incontro tra i due opposti impulsi è osservare come reagisce la gente a questo frangente, cosa fa per partecipare o per sottrarsi a questa guerra.Beati coloro che hanno pensieri semplici, che poi non sono pensieri, e risolvono tutto con un giudizio netto, tranciante, pieno di disprezzo per chi non è dalla parte loro. Ma io preferisco quelli che si pongono domande, hanno reazioni articolate, cercano di ragionare, capiscono che la verità è contorta, non è così semplice e netta. Magari, poi, scelgono ma a ragion veduta e senza considerare le scelte altrui come infami. Al male non sempre si contrappone il bene, a volte al male si contrappone altro male e la scelta, semmai, è tra il male minore o il male più breve. E non sempre il bene e il male stanno come ce li raccontano i nostri media e i poteri dominanti. E di ogni bene, di ogni male, bisogna fare la storia, capire da dove nasce, come e perché e quali strade ha preso, e qual erano le alternative.Diciamo, allora, che la prima cosa terribile di questi giorni è la guerra civile parallela sui media e nei social tra le due opposte schiere. Perché è una guerra in larga parte combattuta senza rispetto delle ragioni altrui e della vita che sta dietro. A volte i più stupidi, con la bava alla bocca, azzannano persino quelli con cui andavano d’accordo il giorno prima; non riescono mai a riportare un’opinione dentro un contesto, a situarla dentro una vita, a capire che chi dice queste cose che in questo momento a te non piacciono, ha fatto, ha detto, ha vissuto altre cose che tu apprezzavi e che comunque meritano rispetto.No, conta quel che dice al momento e loro azzannano, insultano, condannano, annunciano cancellazioni, che è poi l’equivalente figurato di eliminare, uccidere, chi dissente da noi. Vedo qui tutta la parte miserabile della sovranità popolare: dai lo scettro a un coglione qualsiasi e vedi cosa ti combina, con quale ignoranza presuntuosa sale in cattedra, manda all’inferno, uccide, stronca a suo giudizio insindacabile chi ha appena conosciuto per un’opinione. È uno spettacolo avvilente, che vale anche a contrario, quando ti danno ragione ma con la stessa sicumera arrogante dei primi e azzannano, offendono, uccidono virtualmente chi la pensa in modo opposto; e ti vien voglia di difendere colui che magari avevi poco prima criticato. E per fortuna che è tutto figurato, non ci scappa il morto, finisce tutto nel telecomando, nel mouse, nella tastiera: ma quel che sul piano pratico è un sollievo e un’attenuante, invece sul piano morale, civile e intellettuale è un’aggravante e un atto di viltà.Nell’uccidere per finta il nemico, e nemmeno il nemico in guerra ma il nemico che scrive dall’altra parte della tastiera, non rischi niente, non metti in gioco niente, soprattutto se hai dietro una canea, e allora ti senti più forte, più arrogante, credi di interpretare il vento della storia e ululi nella marmaglia col sangue alla bocca… Per non parlare di chi orchestra i linciaggi mediatici. Manca la pietà o funziona solo per alcuni; manca il rispetto, o si è servili solo con alcuni; manca l’intelligenza, c’è solo furore, livore... Basta, apro un bel libro, ascolto una bella musica.Osservando quelle reazioni, ti accorgi che la gente puoi farla commuovere con un cagnolino o una foca ferita, ma la stessa gente puoi abituarla a considerare normale che donne, vecchi, bambini possano essere uccisi in casa loro, senza colpa, senza motivo; normale che si distruggano città, si semini terrore tra la popolazione, che si uccidano scienziati, che si riducano alla fame e alla miseria interi popoli; e poi di nuovo ti spingono a commuoverti per la storia singola che ti raccontano in video. E la gente s’indigna per un fiore reciso, ma reputa normale una strage di bambini, un costo inevitabile. Uccidono per non far uccidere, bombardano per non far bombardare. Non giudico nel merito, le opinioni divergono; quel che mi spaventa è la naturalezza, l’automatismo, con cui si accettano cose orrende, mentre fino a un minuto prima avevano tutti uno stomaco così delicato. Ma se muore un nostro, o uno di cui racconta con pathos la tv, allora provi commozione; se muoiono quegli altri, non ci riguardano, se lo meritano, comunque la colpa è dei loro capi... La guerra è brutta non solo per chi uccide e per cosa distrugge, ma anche per cosa uccide e distrugge dentro di noi che ne siamo fuori, lontani. Ci rende peggiori.Oltre i crimini contro l’umanità, dovremmo contemplare anche il caso inverso, il tifo dell’umanità per i crimini, sempre con la scusa di prevenire o combattere i crimini altrui. E poi la morte vista in tv è come un film, una fiction, in fondo per te non fa differenza. A meno che un missile entri dentro casa tua...
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





