2025-09-26
Inclusione capovolta. Scuola di Mestre con un solo italiano tra i nuovi iscritti
Dati choc alla «Cesare Battisti»: 61 alunni divisi in tre classi di prima elementare, 60 stranieri. Altro che quota del 30%.Con la crescita demografica a zero e l’immigrazione che galoppa, ai giorni nostri passare dal «melting pot» al ghetto è un attimo. Lo sanno bene alla scuola Cesare Battisti di Mestre, trasformatosi in pochi anni da «scuola multietnica con 40 nazionalità diverse» in una realtà a prevalenza schiacciante di stranieri di cultura islamica, dove l’idea di inclusione si è addirittura capovolta: per l’anno scolastico 2025/26, infatti, nelle tre nuove classi di prima elementare c’è un solo bambino italiano iscritto. Siamo a Mestre, in un quartiere dove il trend è quello di una lenta, pacifica ma inesorabile «sostituzione etnica». Già otto anni fa i numeri e la sproporzione tra figli di immigrati e bambini italiani presenti all’appello erano allarmanti. Ne 2017, infatti, quando i dati non erano così esagerati, la dirigente scolastica di allora, Rachele Scandella, aveva deciso di introdurre delle quote riservate ai nuovi iscritti prevedendo una soglia massima del 40% di alunni stranieri in ogni classe. «L’andamento che sta prendendo questo istituto non va bene e non siamo in grado di garantire la qualità dell’istruzione né ai bambini italiani né a quelli stranieri», sosteneva già allora la preside, denunciando evidenti passi indietro nella cultura e sui valori occidentali all’interno di classi in cui, per esempio, «le bambine di religione musulmana disertano l’ora di musica perché non possono suonare il flauto» e «quelle di 8 o 9 anni si presentano a scuola col velo». E se a quel tempo, nella scuola mestrina, la classe monoetnica era soltanto una mentre oggi siamo a quota tre, qualcosa evidentemente, qualcosa, non ha funzionato.La legge che potrebbe definire le quote di stranieri per ogni classe esiste: è la circolare ministeriale numero 2 del 2010, firmata dall’allora ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: il testo prevede la gestione delle iscrizioni e la distribuzione tra le classi (o in ultimo tra le scuole) con una soglia massima del 30% di alunni stranieri tra i banchi in modo da poter «favorire un’equilibrata distribuzione e combattere la segregazione scolastica». Quella dell’ex ministro, tuttavia, era una raccomandazione e non un obbligo e la scuola del quartiere sembra aver scelto la direzione diametralmente opposta.Lo scorso gennaio, infatti, ha preso il via un bel corso di bengalese (l’etnia principale dei ragazzi che frequentano la scuola) affinché i bambini non dimenticassero (non sia mai!) la propria lingua di origine. Il corso, avviato a quanto risulta su richiesta del Consolato generale del Bangladesh a Milano e del Consolato onorario del Bangladesh a Venezia, ha scelto la struttura mestrina in quanto è «una tra le scuole con la più alta percentuale di studenti stranieri». E come questo possa frenare la nascita di una classe ghetto o come possa favorire l’integrazione è difficile da capire.«La situazione è gravissima e ormai molto diffusa in tante scuole italiane che si sono trasformate in ghetti», spiega Anna Maria Cisint, europarlamentare della Lega e già sindaco di Monfalcone, che da tempo si occupa di questo caso e del tema dell’integrazione scolastica. «Se non si interviene, se non si trova l’equilibrio tra italiani e stranieri nelle scuole il rischio è quello che si ricrei anche in ambiente scolastico la stessa chiusura e la stessa distanza che molte comunità straniere impostano nella vita quotidiana tra gli adulti». Secondo l’eurodeputata, «se i bambini sono figli di islamici, non solo non parlano l’italiano in casa, ma sono vissuti e vivono la loro quotidianità in ambienti con valori molto distanti da quelli del nostro Paese e le conseguenze sono evidenti: bambini delle elementari che non toccano cibo a scuola durante tutto il periodo del Ramadan, bambine con il velo. Anche l’orario scolastico diventa un prolungamento della vita in Bangladesh e questo non solo non integra i figli degli immigrati ma allontana anche gli italiani in un circolo vizioso che va interrotto subito, perché si tratta di una realtà che ha già superato da tempo il livello di guardia».E dire che la «monoetnicità» delle classi è un concetto che non piace a nessuno, nemmeno alla intellighenzia di sinistra. La rivista Melting Pot Europa per la libertà di movimento e per i diritti di cittadinanza, lo scorso marzo, in un articolo dal titolo «Alunni stranieri: io speriamo che me la cavo…», riportava l’indagine regionale «Insieme a scuola 3», realizzata dall’Osservatorio regionale della Lombardia per l’integrazione e la multietnicità che, pur partendo da idee distanti da quella della Cisint, arriva a risultati simili. Lo studio ha rilevato come «i migliori esiti scolastici degli alunni stranieri si hanno nelle situazioni in cui la loro presenza è piuttosto bassa rispetto alla popolazione complessiva» e che «scuole e classi polarizzate, che si stanno affermando anche in città come Milano, non depongono a favore del successo scolastico degli alunni che le frequentano».
Plastico del Ponte sullo Stretto (Imagoeconomica)
Nel riquadro, Andrea Baccarelli, preside della T.H. Chan school of public health di Harvard. (IStock)
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