2022-06-21
Accettare l’Ucraina nell’Unione europea ha costi altissimi. Ma chi li pagherà?
Ursula Von Der Leyen e Volodymyr Zelensly (Ansa)
Prima che vengano prese nuove decisioni su armi o candidature i cittadini dovrebbero dire se sono disposti a fare altri sacrifici.A fine gennaio i giornali esultarono: la Corte dei conti, dopo aver sentenziato che per l’ennesima volta l’Italia aveva dato alla Ue più di quel che aveva ricevuto, nella sua relazione annuale osservava come presto la tendenza avrebbe potuto invertirsi, perché a seguito dell’emergenza Covid il nostro Paese avrebbe ricevuto i fondi per favorire la ripresa e mitigare l’impatto sociale della pandemia. I giudici contabili, tuttavia, non potevano prevedere quel che sarebbe successo dopo meno di un mese, ossia l’invasione dell’Ucraina, e dunque non potevano neppure immaginare che la nostra posizione di percettori netti sarebbe stata intaccata dalle conseguenze della guerra. Eppure, questo è ciò che accadrà e presto è possibile che gli italiani siano chiamati a mettere mano al portafogli, come è successo negli anni passati. Tanto per essere chiari, l’Italia è quasi sempre stata un contributore netto, classificandosi al quarto posto dei Paesi che ci rimettevano di più. Nei sette anni dal 2013 al 2019, secondo i calcoli della Corte dei conti, abbiamo contribuito al bilancio Ue con un saldo negativo di 36,38 miliardi di euro, ovvero con 5,2 miliardi l’anno. Se si esclude l’anno 2000, quando incassammo un miliardo e 200 milioni più di quelli che avevamo messo, negli ultimi vent’anni il saldo ci ha sempre visti in perdita. In principio a favore di Spagna e Grecia, che erano i beneficiari di gran parte dei contributi comunitari, ma dal 2004 in poi, cioè da quando Bruxelles ha spalancato le porte dell’Unione ai Paesi dell’ex cortina di ferro, a trarre i maggiori vantaggi sono stati la Polonia, l’Ungheria e la Romania, senza tralasciare la Bulgaria, la Lituania, l’Estonia, la Lettonia, la Repubblica Ceca e la Slovenia. In pratica, noi li abbiamo fatti ricchi, mentre il nostro Paese si faceva più povero. Tanto per fare qualche esempio, mentre negli ultimi dieci anni Polonia e Ungheria incassano decine di miliardi, facendo crescere il Pil dei rispettivi Paesi, noi ci svenavamo, vedendo il nostro Prodotto interno lordo boccheggiare, diventando nel 2008 il secondo contributore netto e nel 2009 il terzo. Probabilmente, con l’uscita dalla Ue della Gran Bretagna risaliremo di un punto nella classifica e, come vi sarà facile capire, questo non è un bene per le nostre casse pubbliche perché, diminuendo il numero dei Paesi che pagano per tenere in piedi il baraccone comunitario, noi dovremo versare di più.Vi state chiedendo dove voglia andare a parare con questo discorso? Ve lo spiego subito. Il Consiglio europeo giovedì probabilmente deciderà di inviare altre armi a Kiev. Scrivo probabilmente, ma forse sarebbe meglio sostituire l’avverbio con un sicuramente. Sebbene i 5 stelle siano sul piede di guerra e vogliano votare una mozione per bloccare altre forniture di materiale bellico, Mario Draghi e l’Europa tireranno diritto dando seguito alle promesse fatte a Zelensky. Dunque, dopo aver stanziato due miliardi di euro per donare missili, mitragliatori e tank all’Ucraina, si staccherà un altro assegno da 500 milioni, ma la cifra potrebbe non bastare, rendendo necessario un rifinanziamento del budget a disposizione per la pace. Fin qui stiamo parlando di pochi miliardi, che comunque vanno trovati all’interno del bilancio Ue. Quello che più preoccupa però è il dopo e non tanto la fine della guerra che, secondo lo stesso segretario della Nato Stoltenberg, potrebbe durare anni, ma il fatto che se l’Ucraina fosse accolta nell’Unione, come ha detto la scorsa settimana Draghi, poi dovrebbe essere aiutata finanziariamente così come si sono aiutate la Polonia e gli altri Paesi dell’Est. Con una differenza però: mentre Varsavia e le altre capitali ex sovietiche non erano impegnate in un conflitto, Kiev deve sostenere uno sforzo bellico e dunque il suo bilancio deve essere aiutato più di quanto sono stati aiutati i bilanci dei Paesi che si erano lasciati alle spalle il comunismo. Detto in altre parole, l’entrata dell’Ucraina nella Ue rischia di costare parecchio ai contributori netti e noi che siamo probabilmente terzi nella classifica di coloro che devono mettere mano al portafogli rischiamo di pagare caro.Ho già scritto della ricostruzione e dei suoi costi una volta raggiunta la pace. Secondo Zelensky serviranno 600 miliardi, ma lo stesso presidente ucraino parla di 5-7 miliardi al mese per evitare il fallimento del suo Paese. Rinnovo dunque la domanda fatta qualche giorno fa a proposito delle opere necessarie a rimettere in piedi città che sono state rase al suolo: chi paga? Credo che prima di discutere se sia giusto inviare o no le armi, sia indispensabile chiarire se siamo disposti poi a sopportare le conseguenze della guerra. Il presidente del Consiglio ha ottenuto un vago mandato dal Parlamento per le forniture di materiale bellico. Tuttavia, non ci risulta che abbia avuto un via libera ad appesantire il già fragile bilancio pubblico italiano. Dunque, prima di dire a Kiev «vi vogliamo nella Ue», forse sarebbe opportuno fare due conti e comunicarli a quegli italiani che vedono aumentare la bolletta e il prezzo della benzina. Tocca a loro, infatti, decidere.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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