2022-07-10
Abe ucciso per vendicare la madre del killer
L’ex primo ministro «colpevole» di essere stato vicino alla Chiesa dell’unificazione, un movimento che avrebbe mandato in bancarotta la donna. Intanto c’è la «diplomazia del commiato»: al dolore di Usa e India fa da contraltare il gelo della Cina.L’assassinio di Shinzo Abe, ex primo ministro giapponese, è arrivato come un fulmine a ciel sereno e, ancora adesso, le autorità nipponiche stanno cercando di far luce sul movente dell’attentato. Per ora sappiamo che l’omicida, Tetsuya Yamagami, un uomo di 41 anni, ha premuto due volte il grilletto con un’arma di fabbricazione artigianale, lunga 40 cm e avvolta con un nastro adesivo nero. Materiale e fattura dell’arma, invece, non sono stati resi noti. Potrebbe essere stata fabbricata con una stampante 3D, ma per ora si tratta di una mera congettura proposta da alcune testate. Ad ogni modo, uno dei due colpi sparati da Yamagami è stato fatale per l’ex presidente del Partito liberal-democratico giapponese. L’attentatore, reo confesso, ha confermato di aver preso di mira proprio Abe, studiando i suoi impegni elettorali e i luoghi in cui si sarebbero svolti i suoi comizi. Secondo l’emittente televisiva nipponica Nhk, erano mesi che l’uomo stava progettando l’attentato, e in un primo momento avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di un attacco dinamitardo: non a caso, quando le forze dell’ordine hanno perquisito il suo appartamento, è stato trovato anche del materiale esplosivo. Successivamente, però, Yamagami ha, infine, optato per l’utilizzo di un’arma da fuoco. Sebbene la vittima sia uno dei più influenti politici del Giappone, le ragioni del gesto di Yamagami non sono quelle che ci aspetterebbe. Come riporta l’agenzia giapponese Kyodo, infatti, l’uomo avrebbe sparato ad Abe non per motivazioni politiche. L’ex primo ministro, in sostanza, viene accusato dal quarantunenne di aver aiutato un’organizzazione religiosa che, attraverso le donazioni effettuate, avrebbe mandato in bancarotta sua madre, causando notevoli problemi economici a tutta la famiglia. Gli organi di polizia, però, al momento non hanno voluto rivelare il nome di questa organizzazione. Stando a quanto ipotizza la Frankfurter Allgemeine Zeitung, potrebbe trattarsi della controversa Chiesa dell’unificazione, fondata nel 1954 dal predicatore coreano (anticomunista) Sun Myung Moon, deceduto nel 2012. Questo movimento religioso, salito agli onori delle cronache negli anni Settanta, è proprietario del quotidiano statunitense The Washington Times ed è in buoni rapporti con alcuni politici conservatori, tra cui Donald Trump e lo stesso Abe.Stilando un profilo dell’attentatore, fonti investigative hanno inoltre fatto sapere che Yamagami, uomo schivo e riservato, è attualmente disoccupato. In precedenza aveva lavorato per tre anni nella Marina militare giapponese fino al 2005, mentre dal 2020 era impiegato come operatore di carrelli elevatori presso un’azienda manifatturiera del Kansai, la stessa regione di Nara, luogo dell’omicidio. Un contratto che, tuttavia, è stato interrotto lo scorso maggio per motivi non meglio specificati. L’attentatore, parlando con gli inquirenti, avrebbe ribadito di non essere interessato alla politica e all’operato di Abe in questo campo, ma solo al destino della madre, pretesamente frodata da questa organizzazione religiosa a cui Abe avrebbe fornito il proprio sostegno. La polizia ha reso noto di aver condotto un’autopsia sul corpo di Abe, su cui sono state rinvenute due ferite da arma da fuoco, una sulla parte superiore del braccio sinistro e una sul collo. La morte dell’ex primo ministro sarebbe stata causata dalla copiosa perdita di sangue e, già una volta arrivato in ospedale, non mostrava più segni di vita.Shinzo Abe, deceduto all’età di 67 anni, era stato primo ministro del Giappone dal 2006 al 2007 e poi dal 2012 al 2020, conquistando così la palma di premier più giovane e anche più longevo della storia giapponese. Il suo programma per il riarmo del Sol Levante, la valorizzazione dell’identità nazionale, la chiusura all’immigrazione e la sua politica economica espansiva, la cosiddetta Abenomics, non lo hanno mai reso bene accetto alla stampa occidentale. Non è un caso che lo Spiegel gli abbia dedicato un necrologio dal titolo Abe, il populista giapponese.Se gli Stati Uniti hanno permesso al Giappone di riarmarsi, è perché entrambi hanno un nemico comune: la Cina. E in effetti, mentre l’ambasciatore americano a Tokyo, Rahm Emanuel, ha definito Abe «un’eccezionale guida del Giappone e un alleato incrollabile degli Usa», il commiato del Dragone è stato piuttosto asettico: «A nome suo, del governo e del popolo cinese, Xi Jinping ha espresso il più profondo cordoglio per la prematura scomparsa dell’ex primo ministro Shinzo Abe». Questo lo scarno epitaffio diffuso dall’emittente nazionale cinese CCTV. Ben diverso, tanto per fare un esempio, è stato il messaggio di condoglianze del primo ministro indiano Narendra Modi, che si è detto «profondamente addolorato» per la morte del suo «caro amico» Abe. Del resto, tra Tokyo e Pechino i rapporti sono molto tesi: di recente, infatti, ha ripreso vigore la disputa territoriale per le isole Senkaku, senza contare la contesa sulle trivellazioni di gas nel Mar Cinese orientale.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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