2022-07-26
Abbiamo salvato la famiglia fingendo di non essere diventati ricchi
Riccardo Ruggeri: «L’accordo tra me e mia moglie ci ha consentito di condurre l’esistenza che volevamo e di garantire un futuro ai nostri nipoti».Il nostro Riccardo Ruggeri ha scritto un altro libro. Straordinario. Perché è la sua biografia, e quindi il racconto di una vita straordinaria: da figlio di portinaio a amministratore delegato di aziende internazionali, infine editore e poeta. Una traiettoria nel corso della quale ha conosciuto (e racconta) i più diversi protagonisti della scena mondiale, da Enzo Ferrari ad Agnelli, dal cardinal Silvestrini a Siad Barre, da Saddam Hussein a Gheddafi, fino alla regina Elisabetta, a fianco della quale ha sistemato le zolle del campo durante l’intervallo di una partita di polo cui partecipava, tra gli altri, il principe Carlo. Il tutto raccontato con il suo stile asciutto e soavemente spietato. Per sua gentile concessione pubblichiamo due capitoli (due lettere alla moglie Lilli) a nostro giudizio particolarmente significativi di Una storia operaia (Grantorinolibri editore). Il libro esce in edizione digitale (14,99 euro) e cartacea a tiratura limitatissima, numerata, con dedica personalizzata dell’autore (100 euro). Non lo troverete né nelle librerie né su Amazon: le indicazioni sono su Zafferano.news (abbonarsi è gratis). I ricavi, come al solito, andranno ai barboni di Torino.1 Cara Lilli, ricordi?Nel libro La société malade di Jean-Pierre Le Goff, emerge come le società europee siano state disarticolate dalla storia e vivano raggomitolate nella loro interiorità. Vogliono dimenticare il passato, cancellare la memoria, ridurre la vita a un banale soddisfacimento dei bisogni e dei desideri individuali. Mi ha fatto ritornare al dopoguerra, con lo sviluppo della società dei consumi e del tempo libero. Ricordi quando, imbranati com’eravamo, siamo entrati nei nostri quarant’anni? D’improvviso, per una mia inattesa super promozione aziendale, il mio stipendio da operaio-travet esplose. Stante i nuovi prestigiosi incarichi un moltiplicatore folle aveva modificato, anzi avrebbe potuto modificare, senza alcun preavviso, e senza alcun ritegno, il nostro tenore di vita, e quasi certamente avrebbe potuto farci perdere la testa. Farci diventare ciò che non eravamo. Decidemmo invece, in pieno accordo fra noi, che questo fatto non doveva cambiare assolutamente il nostro stile di vita, così i nostri ritmi di vita. Giusto migliorarli, un venti percento in più era ammesso, ce lo eravamo meritato per tutti i sacrifici fatti, ma nulla più. Il nostro conto economico, e così lo stato patrimoniale, impazzirono, creandoci una serie di problemi non banali. Li risolvemmo non occupandocene, lasciando crescere, silenziosamente, i nostri risparmi, ma seguendo le regole dei «barboni» (l’accumulo), non certo quello degli investitori finanziari. I nostri ragazzi erano nella pubertà, facemmo di tutto perché non si accorgessero del cambiamento intervenuto. Non avremmo avuto persone di servizio, gli amici sarebbero rimasti quelli di prima (anche perché erano amici veri), così, per esempio, le nostre vacanze non sarebbero cambiate. Erano state sempre bellissime, proprio perché spartane: natura, sole, cibo, un tre stelle come hotel o un alloggio in affitto. Perché cambiarle? Infatti, continuammo a scegliere la costa occidentale della Sardegna, specie la zona che dal magico stagno di Cabras va, giù giù verso le ex miniere, fino alla tonnara di Carloforte, con al centro del «nostro» paradiso sardo, Piscinas e le sue dune lunari. Solo bellezza e serenità, niente vita di società, che per noi significava un mondo non nostro, che oltre tutto trovavamo di una noia infinita. I risparmi conseguenti? Non da moltiplicare con speculazioni varie, ma da difenderli per i nostri figli, soprattutto per i nipoti. Allora non avevo ancora elaborato la teoria che in un «Regime» i quattrini servono per comprarti stracci di libertà. Il risparmio era diventato per me un dovere verso di loro, perché fossero liberi. Con questa mossa, ci salvammo, noi e la nostra famiglia, vincemmo una grande scommessa di vita: non diventare prigionieri dei quattrini. Pochi capirono che, rimanendo posizionati sul nostro vecchio stile di vita, ancora legato ai rintocchi delle campane del paese, e non alle suggestioni alto borghesi che ci avvolgevano, per status e censo, avevamo scommesso sulla felicità. Ci divertiva, ma di certo non ci attirava, questo ridicolo mondo alto borghese nel quale eravamo precipitati, gomito a gomito con riccastri miserabili, vestiti costantemente da festa, che in molti casi non potevano coprire la sporcizia interna che li connotava. Avevano tutte le skill per diventare un giorno membri di diritto della cancel & woke culture. E così, per molti, è stato.2 Cara Lilli, ricordi?Per noi è stato facile rifiutarci di denigrare i nostri ideali democratici e repubblicani in nome di un multiculturalismo invertebrato, che dava origine a un individualismo vittimistico conseguente, e che ci avrebbe portato a minare la fiducia in noi stessi. Ricordi? Noi il multiculturalismo inglese l’avevamo vissuto, quando, appena caduto il «Muro», nei primi anni Novanta ci trasferimmo a Londra, io fisso, tu on demand. Ricordi quella deliziosa penthouse di un centinaio di metri quadrati in Rutland Gate a Knightsbridge che comprammo, facendo un mutuo da rimborsare in cinque anni, la durata del mio mandato da Ceo di New Holland? Dalla portineria al civico 9 di piazza Vittorio eravamo sbarcati nel cuore di Londra, ai bordi di Hyde Park e a un centinaio di metri dai magazzini Harrods, dove compravamo l’angus filet mignon o il black code dell’Alaska, con verdure e frutti solo israeliani. Knightsbridge per noi fu un non luogo, anni dopo sarebbero arrivati i Ceo del digitale e della finanza e i loro pendant russi, gli Oligarchi. Nei primi cinque anni non vedemmo mai un bambino, solo cani di razze strane, però con evidenti tratti umani, e come tali venivano trattati. Al centro della piazzetta ovale un impeccabile giardino, lo potevano frequentare solo i proprietari, quindi anche noi, grazie a una chiave, dalle 7 alle 20. Per loro scicchissimo, per noi ridicolo (infatti mai ci andammo). Alle 6,30 il lattaio ci lasciava una bottiglia di un latte, grasso e delizioso, sul penultimo gradino dell’ingresso. Quando scendevo a ritirarlo mi pareva di essere in un film di Frank Capra. Ricordi, quei due professori di Cambridge, un po’ «matti» come solo i filosofi inglesi possono esserlo, che ci avevano venduto la penthouse, regalandoci tutti quei divani ricoperti da tessuti veneziani di seta di alto pregio, quando seppero che tu eri nata a Venezia, ed eri stata battezzata alla Salute? Lasciavano l’Inghilterra perché volevano andare a morine, ci dissero, nel futuro. E il futuro per loro era l’Europa, era Berlino, «la nuova Grecia di Pericle, la nuova Atene, la capitale futura dell’Europa», ci dissero con occhi luccicanti. Poveri loro, poveri noi europei, altro che Atene. Un giorno ci avrebbe governato una baronessa tedesca, inetta e incompetente, politicamente un fringuello. Un mondo adolescenziale di inetti chiacchieroni del nulla, altro che Pericle. Ricordi quel terrazzino sui tetti, l’unico posto della casa dove si vedeva uno scorcio di Hyde Park? Poteva contenere solo una seggiola per prendere il sole se, dopo essere riuscito a sederti, con un esercizio di destrezza, riuscivi a rattrappire le gambe. Alla fine, è andata come noi, pur essendo due parvenu italiani, avevamo previsto: il multiculturalismo inglese era una buffonata fin dall’inizio, poi, insistendo, diventò una forma di criminalità di islamici (criminali comuni, come le nostre Br) con attentati, feriti e morti. Un giorno, l’Inghilterra esplose, fino ad arrivare al mitico «Enough is enough» (quando è troppo è troppo!) prima tenue di David Cameron e poi quello alto e forte di Theresa May. Ma i danni, la sudditanza verso la (non) cultura islamica, sarebbero rimasti, per sempre. Poi la Brexit del popolo inglese e di Boris Johnson li salvò. Per quanto? Per poco, con lo stesso Johnson, l’inadeguatezza fatta persona, sarebbero diventati maggiordomi degli americani. Erano maturi, alla morte di Elisabetta, per spac, scarsi nelle diverse etnie che componevano un finto Regno Unito, tornando a n coacervo di staterelli baronali. D’altra parte, quando un Paese affronta il problema dell’immigrazione con un approccio di integrazione romantico-culturale, succede questo. Cosa integrare se noi stessi non sappiamo più cosa ci rende specifici, come nazione prima, e come civiltà poi? Se rendiamo insignificante il nostro passato è ovvio che non potremo mai inventarci un futuro che offra speranza di emancipazione sociale e culturale ad altri. Come possiamo fare integrazione se il nostro container è pieno di fuffa e neppure ci rendiamo conto di essere in un container? Lilli, ho coniato questa sintesi (di cui chiederò il copyright), ci metto pure le virgolette per dargli dignità: «Abbiamo brillantemente risolto tutti i dettagli, non ancora il problema, ma ci lavoriamo». Quando i nostri amici delle élite dicono «ci stiamo lavorando» significa che hanno fallito, clamorosamente, però a loro insaputa.
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