True
2020-05-18
I nuovi poveri
Ansa
Milano, emporio della solidarietà della Caritas Ambrosiana. La fila è silenziosa, composta, dietro la mascherina gli occhi bassi tradiscono un misto di vergogna e orgoglio ferito. «Mai avrei pensato di venire qui. Ho resistito giorni ma poi non ce l'ho fatta più. Ho la mia piccola pensione, tiravo avanti. Poi mio figlio ha perso il lavoro in albergo, è caduto in uno stato di profonda prostrazione. Lui non sa nemmeno che sono venuta qui» dice Ada con voce sommessa. In coda una coppia si tiene per mano, sembra si vogliano far coraggio. Lui era addetto alle pulizie in un albergo e lei arrotondava il magro bilancio familiare, come colf. Con il lockdown, lui viene messo in cassa integrazione ma l'assegno, arrivato pochi giorni fa, è di soli 500 euro e l'affitto è di 900 euro. Poi ci sono tre figli. Il proprietario della casa è stato comprensivo, si è accontentato di 400 euro ma con i restanti 100 euro non si riesce a comprare nemmeno la pappa per il più piccolo.
A Milano sono otto gli hub che distribuiscono viveri. Le persone che chiedono aiuto alla Caritas sono raddoppiate. Nelle diocesi di Milano, Lecco, Varese, Monza e province, sono affluite 16.500 famiglie, il doppio di una situazione di normalità. Solo a Milano, 5.000 ricevono il pacco alimentare.
È l'esercito dei nuovi poveri, le vittime sociali del Covid, molti in attesa di una cassa integrazione che comunque sarà insufficiente per vivere, moltissimi sconosciuti allo Stato perché irregolari. In Italia i lavoratori in nero sono una platea di 3,7 milioni, non hanno alcuna tutela eppure rappresentano, secondo l'Istat, il 4,5% del pil nazionale. Questo è l'anello debole dell'economia che il Covid ha sganciato dal mercato.
Da un'indagine della Caritas, da aprile al 2 maggio, è emerso che è raddoppiato (+105%) il numero di coloro che si sono rivolti ai centri per l'ascolto e ai servizi. Sono circa 38.580 i nuovi poveri. Il 98% ha problemi occupazionali e economici e un 69,3% si sta separando. Tutte le diocesi hanno segnalato un incremento della richiesta di beni di prima necessità, cibo, viveri e pasti a domicilio, empori solidali, mense, vestiario, ma anche aiuti economici per il pagamento delle bollette, degli affitti e delle spese per la gestione della casa. È cresciuto il bisogno di ascolto e di sostegno psicologico. Circa 57.000 persone hanno ricevuto pasti a domicilio. «Chi è caduto in povertà non sa come orientarsi, ha un misto di paura e di vergogna» spiega il portavoce della Caritas Ambrosiana, Francesco Chiavarini. «Le prime ad arrivare sono state le badanti e le colf, messe alla porta dalle famiglie impaurite dal contagio. Poi i precari della ristorazione e del settore alberghiero, lavapiatti, cuochi, addetti alle pulizie. Alcuni assunti in modo regolare ma con una indennità insufficiente a pagare l'affitto o i costi di una vita a Milano». E racconta di una donna di 65 anni, che lavorava alla Scala come guardarobiera. Pochi soldi ma una vita dignitosa, poi il blocco dell'attività e la cassa integrazione che non arriva.
Da Milano a Treviso, cambia lo scenario dei nuovi emarginati. «Stanno venendo anche le prostitute, ci chiedono cibo. Hanno storie disperate. Non riescono più a mandare i soldi alle famiglie, nei Paesi d'origine. Alcune sono andate a vivere insieme per dividere le spese» dice don Davide Schiavon. Poi ci parla delle carovane di giostrai, addetti ai circhi, girovaghi dell'intrattenimento. «È un mondo sommerso, senza sussidi». Un altro livello di nuovi poveri, spiega Schiavon, è rappresentato da artigiani e piccoli imprenditori. «Ne sono venuti una cinquantina ma sono molti di più coloro che hanno bisogno. Fanno fatica a farsi avanti, provano vergogna, sono chiusi nell'orgoglio. Temo gesti di disperazione, come i suicidi della crisi del 2011». Sono circa 3.000 i nuovi poveri che sono affluiti in questa diocesi.
Nella diocesi di Bergamo, in questi due mesi, si sono aggiunte 600 famiglie. La maggior parte, dice don Roberto Trussardi, sono stagionali, con contratti irregolari.
Dal Nord a Roma. All'Emporio della solidarietà della Caritas, i nuovi arrivi sono raddoppiati. «Ieri in fila per un pacco di generi alimentari, c'era una giovane donna, con un bimbo in braccio e uno per mano. Faceva la maschera nei teatri tramite una cooperativa, non ha diritto alla cassa integrazione. Il marito è scomparso» ci racconta il portavoce Alberto Colaiacomo. Nei 5 empori e nei 127 punti di distribuzione delle parrocchie sono arrivate oltre 20.000 nuove famiglie. Nella Capitale i più colpiti sono gli addetti alla ristorazione, i camerieri, gli ambulanti, il personale dei catering, delle mense scolastiche o aziendali, del settore dello spettacolo, trasportatori, attrezzisti.
Angelo Rinelli della Fondazione Opera Divino Redentore ha raccolto segnali del dilagare della povertà anche nel centro storico della Capitale. «Nel quotidiano giro per consegnare di pacchi alimentari mi sono imbattuto in un tenore che abita vicino a Largo Argentina. Per la chiusura dei locali ha dovuto interrompere l'attività. Talvolta canta per strada per racimolare qualcosa». Poi ci riferisce di tante famiglie che, per vergogna, gli chiedono di lasciare i pacchi alimentari sul pianerottolo del palazzo, come se fossero consegne di Amazon.
«Non mi sarei mai aspettata di trovarmi qui in fila alla Caritas, mi ha detto una artigiana» ci riferisce don Gabriele D'Annibale, direttore della Caritas diocesana di Albano. «C'è l'orgoglio del piccolo imprenditore che fino a due mesi fa lavorava e ora si trova senza niente». Al centro di Albano arrivano anche tanti giovani. «Facevano piccoli lavori per pagare gli studi e ora non riescono a saldare le tasse universitarie. Un ragazzo appena laureato mi ha chiesto aiuto perché non aveva i soldi per iscriversi all'albo professionale». I nuovi arrivi sono oltre 2.000. Solo nella parrocchia di Pomezia gli assistiti sono passati da 50 a 300, dice don Gabriele. «Alcuni sono stati sfrattati e non sanno dove fare la doccia. Le nuove povertà fanno saltare le coppie. Un uomo, rimasto disoccupato, è stato cacciato di casa dalla moglie. Era andato a dormire nei giardini pubblici. Aveva preferito arrangiarsi in questo modo piuttosto che venire a chiedere aiuto. Ora gli sto pagando una stanza in albergo».
L'industrializzazione di alcune aree della Campania, fino agli anni Ottanta a vocazione agricola, si è rivelata un boomerang per la popolazione locale. «Gli impiegati nelle piccole imprese sono stati i primi a perdere il lavoro mentre gli agricoltori soffrono meno» dice don Nicola De Blasio direttore della diocesi di Benevento che conta 72 comuni. «C'è stato un picco del 70% di nuove richieste di aiuto. Alcune famiglie non avevano nemmeno i soldi per il funerale di un loro congiunto». Emergono situazioni paradossali. Come quella di un trentenne che ha cercato un impiego stagionale presso alcune aziende agricole del Nord Est, per la raccolta delle mele ma è stato respinto. «Gli hanno detto: non sei specializzato. Ora occorre un master anche per raccogliere la frutta» dice sorridendo don Nicola. Nella Caritas della Puglia le richieste sono aumentate del 100% riferisce il coordinatore don Alessandro Mayer. «La nuova povertà è più facile preda della malavita».
«A stare male sono gli insospettabili della porta accanto»

Giovanni Bruno (Ansa)
«Abbiamo avuto un aumento delle richieste di generi alimentari di circa il 40% con punte anche del 70%. Noi non arriviamo al singolo bisognoso perché riforniamo le 7.500 strutture caritative accreditate, ma stiamo comunque ricevendo migliaia di telefonate di persone, improvvisamente precipitate in povertà, che non sanno a chi rivolgersi, cosa fare, disperate, che chiedono informazioni. Non mi stupirei se di qui a poco ci fossero casi di suicidi come avvenuto dopo la crisi del 2008». Giovanni Bruno, presidente della Fondazione del Banco Alimentare, tramite i 21 Banchi sparsi in tutta Italia ha un osservatorio aggiornato costantemente della situazione a livello nazionale.
C'è il rischio di un raddoppio della povertà?
«Con la grande crisi del 2018 fino al 2015 i poveri sono passati da 2 milioni a 4,5 milioni per poi assestarsi su 5 milioni. Non c'è stato alcun miglioramento della condizione di questa fascia di popolazione. Il raddoppio dei numeri che si è verificato nell'arco di sette anni ora potrebbe esplodere in sette mesi».
Chi sono i nuovi poveri?
«Sono quelli che noi definiamo “della porta accanto", quelli che mai ti aspetteresti in condizioni di bisogno. Quelle famiglie che anche prima dell'epidemia dovevano scegliere tra cosa mettere in tavola e un paio di scarpe, che fino a tre mesi fa potevano beneficiare della mensa scolastica dove il figlio riusciva almeno a fare un pasto regolare, spesso l'unico della giornata. A Milano in questa situazione si trovavano già circa 22.000 famiglie. Il salto da questa condizione di border line alla povertà è facile. Basta che il capofamiglia rimanga disoccupato o sia messo in cassa integrazione e il precario equilibrio crolla».
Quindi non sono soltanto i lavoratori irregolari?
«Assolutamente no. Pensate a quanti erano impiegati nel mondo dello spettacolo, nell'intrattenimento, nella ristorazione, del settore alberghiero. E poi dipendenti di palestre, piscine, di saloni di bellezza. Lavoratori autonomi o dipendenti. Tutta gente che si è trovata all'improvviso in una doppia difficoltà materiale e psicologica perché bisogna imparare a essere poveri».
In che senso bisogna imparare a essere poveri?
«Chi non si è mai trovato in condizione di necessità, a cominciare da quella primaria alimentare, non sa a chi rivolgersi. Questo vuol dire non solo il pacco con i viveri ma entrare in una rete di solidarietà per non avere la sensazione psicologica di essere spinto ai margini della società. Il rischio di entrare in una spirale di depressione è alto e pericoloso come dimostrano i suicidi di imprenditori nel periodo della grande crisi economica. La richiesta di informazioni su come muoversi, a chi rivolgersi sono aumentate dell'80%. Ieri il direttore di un nostro Banco mi ha detto che ogni telefonata è un pugno al cuore. Percepisci la disperazione di persone che non sanno come chiedere dove trovare da mangiare, hanno vergogna ad ammettere di aver bisogno anche di un piatto di pasta. Se come dice la Banca d'Italia, il risparmio medio di una famiglia operaia monoreddito, è di 2.800 euro l'anno, è facile comprendere che bastano due-tre mesi di blocco del lavoro per toccare il fondo e restare a secco di liquidità. Stiamo ricevendo migliaia di chiamate di questo genere, che ci chiedono proprio come recuperare qualcosa da mettere in tavola. Ricordo il caso, due anni fa, di quella bambina svenuta il classe, in una scuola del Nord Est. Nessuno sapeva cosa avesse avuto, salvo poi scoprire che non mangiava da due giorni. Eppure sembrava che conducesse una vita normale, che la famiglia non avesse problemi. Situazioni di questo tipo, di povertà della porta accanto, ora si stanno moltiplicando. Ci sono persone che telefonano dicendo che sono preoccupati per i vicini di casa ma poi capisci che è di loro che stanno parlando, ma non hanno il coraggio di esporsi, si vergognano».
Quale è la fascia di età delle persone che si stanno rivolgendo ai vostri Banchi?
«Noi non distribuiamo alimentari, come ho detto, perché serviamo le strutture accreditate, per il 60% la Caritas, ma ci chiamano per avere conforto, per sapere a chi rivolgersi. Sono soprattutto famiglie con componenti tra i 30 e i 45 anni. Alcune, con il Coronavirus, hanno anche perso il nonno che con la pensione li aveva aiutati nei momenti di difficoltà e ora sono senza alcun paracadute. La scomparsa di tanti anziani con il virus ha significato il venir meno di un aiuto importante per tante famiglie».
La chiusura delle chiese non ha aiuto.
«Le parrocchie hanno continuato a svolgere un'importante azione di sostegno ma il blocco di matrimoni, battesimi, cresime, ha interrotto l'afflusso delle tradizionali offerte che rappresentano piccole realtà di sostegno nei paesi come nei quartieri. È una fonte che è mancata. La catena della solidarietà però ha funzionato a pieni giri. Alla crescita del bisogno hanno fatto fronte tante imprese dell'agroalimentare che si sono mobilitate. Pure situazioni di singoli. A Palermo, giorni fa, è stato sequestrato del pesce perché il pescatore aveva contravvenuto al fermo dell'attività. Il carico è andato al Banco Alimentare locale. Ebbene il pescatore si è rallegrato di questa scelta che favoriva chi aveva forse più bisogno di lui. Le iniziative di solidarietà stanno fiorendo ovunque ma di sicuro non possono sopperire all'intervento dello Stato».
Ritiene insufficienti le misure varate dal governo fino ad ora?
«Il problema non sono gli interventi pubblici quanto la tempistica. I soldi della cassa integrazione come dei bonus, devono arrivare ora, non tra quattro mesi, perché nel frattempo una famiglia come vive? È fondamentale poi la valorizzazione del terzo settore, dei corpi intermedi dello Stato. Va ricostruita una trama di relazioni e di umanità che è imprescindibile anche per ripartire. L'inserimento del disoccupato in una trama di volontariato, in tanti casi diventa l'occasione per ritrovare quella fiducia necessaria per cercare nuove occasioni di impiego».
Continua a leggereRiduci
Sono colf, cuochi, giostrai, ma anche artigiani. Per la Caritas, il loro numero è già raddoppiato: «Gli sfrattati costretti a dormire nei parchi».Il presidente del Banco Alimentare, Giovanni Bruno: «Chi viveva con poco, ora non ha nemmeno un piatto di pasta. Si valorizzi il terzo settore».Lo speciale contiene due articoli.Milano, emporio della solidarietà della Caritas Ambrosiana. La fila è silenziosa, composta, dietro la mascherina gli occhi bassi tradiscono un misto di vergogna e orgoglio ferito. «Mai avrei pensato di venire qui. Ho resistito giorni ma poi non ce l'ho fatta più. Ho la mia piccola pensione, tiravo avanti. Poi mio figlio ha perso il lavoro in albergo, è caduto in uno stato di profonda prostrazione. Lui non sa nemmeno che sono venuta qui» dice Ada con voce sommessa. In coda una coppia si tiene per mano, sembra si vogliano far coraggio. Lui era addetto alle pulizie in un albergo e lei arrotondava il magro bilancio familiare, come colf. Con il lockdown, lui viene messo in cassa integrazione ma l'assegno, arrivato pochi giorni fa, è di soli 500 euro e l'affitto è di 900 euro. Poi ci sono tre figli. Il proprietario della casa è stato comprensivo, si è accontentato di 400 euro ma con i restanti 100 euro non si riesce a comprare nemmeno la pappa per il più piccolo. A Milano sono otto gli hub che distribuiscono viveri. Le persone che chiedono aiuto alla Caritas sono raddoppiate. Nelle diocesi di Milano, Lecco, Varese, Monza e province, sono affluite 16.500 famiglie, il doppio di una situazione di normalità. Solo a Milano, 5.000 ricevono il pacco alimentare.È l'esercito dei nuovi poveri, le vittime sociali del Covid, molti in attesa di una cassa integrazione che comunque sarà insufficiente per vivere, moltissimi sconosciuti allo Stato perché irregolari. In Italia i lavoratori in nero sono una platea di 3,7 milioni, non hanno alcuna tutela eppure rappresentano, secondo l'Istat, il 4,5% del pil nazionale. Questo è l'anello debole dell'economia che il Covid ha sganciato dal mercato. Da un'indagine della Caritas, da aprile al 2 maggio, è emerso che è raddoppiato (+105%) il numero di coloro che si sono rivolti ai centri per l'ascolto e ai servizi. Sono circa 38.580 i nuovi poveri. Il 98% ha problemi occupazionali e economici e un 69,3% si sta separando. Tutte le diocesi hanno segnalato un incremento della richiesta di beni di prima necessità, cibo, viveri e pasti a domicilio, empori solidali, mense, vestiario, ma anche aiuti economici per il pagamento delle bollette, degli affitti e delle spese per la gestione della casa. È cresciuto il bisogno di ascolto e di sostegno psicologico. Circa 57.000 persone hanno ricevuto pasti a domicilio. «Chi è caduto in povertà non sa come orientarsi, ha un misto di paura e di vergogna» spiega il portavoce della Caritas Ambrosiana, Francesco Chiavarini. «Le prime ad arrivare sono state le badanti e le colf, messe alla porta dalle famiglie impaurite dal contagio. Poi i precari della ristorazione e del settore alberghiero, lavapiatti, cuochi, addetti alle pulizie. Alcuni assunti in modo regolare ma con una indennità insufficiente a pagare l'affitto o i costi di una vita a Milano». E racconta di una donna di 65 anni, che lavorava alla Scala come guardarobiera. Pochi soldi ma una vita dignitosa, poi il blocco dell'attività e la cassa integrazione che non arriva.Da Milano a Treviso, cambia lo scenario dei nuovi emarginati. «Stanno venendo anche le prostitute, ci chiedono cibo. Hanno storie disperate. Non riescono più a mandare i soldi alle famiglie, nei Paesi d'origine. Alcune sono andate a vivere insieme per dividere le spese» dice don Davide Schiavon. Poi ci parla delle carovane di giostrai, addetti ai circhi, girovaghi dell'intrattenimento. «È un mondo sommerso, senza sussidi». Un altro livello di nuovi poveri, spiega Schiavon, è rappresentato da artigiani e piccoli imprenditori. «Ne sono venuti una cinquantina ma sono molti di più coloro che hanno bisogno. Fanno fatica a farsi avanti, provano vergogna, sono chiusi nell'orgoglio. Temo gesti di disperazione, come i suicidi della crisi del 2011». Sono circa 3.000 i nuovi poveri che sono affluiti in questa diocesi.Nella diocesi di Bergamo, in questi due mesi, si sono aggiunte 600 famiglie. La maggior parte, dice don Roberto Trussardi, sono stagionali, con contratti irregolari. Dal Nord a Roma. All'Emporio della solidarietà della Caritas, i nuovi arrivi sono raddoppiati. «Ieri in fila per un pacco di generi alimentari, c'era una giovane donna, con un bimbo in braccio e uno per mano. Faceva la maschera nei teatri tramite una cooperativa, non ha diritto alla cassa integrazione. Il marito è scomparso» ci racconta il portavoce Alberto Colaiacomo. Nei 5 empori e nei 127 punti di distribuzione delle parrocchie sono arrivate oltre 20.000 nuove famiglie. Nella Capitale i più colpiti sono gli addetti alla ristorazione, i camerieri, gli ambulanti, il personale dei catering, delle mense scolastiche o aziendali, del settore dello spettacolo, trasportatori, attrezzisti. Angelo Rinelli della Fondazione Opera Divino Redentore ha raccolto segnali del dilagare della povertà anche nel centro storico della Capitale. «Nel quotidiano giro per consegnare di pacchi alimentari mi sono imbattuto in un tenore che abita vicino a Largo Argentina. Per la chiusura dei locali ha dovuto interrompere l'attività. Talvolta canta per strada per racimolare qualcosa». Poi ci riferisce di tante famiglie che, per vergogna, gli chiedono di lasciare i pacchi alimentari sul pianerottolo del palazzo, come se fossero consegne di Amazon.«Non mi sarei mai aspettata di trovarmi qui in fila alla Caritas, mi ha detto una artigiana» ci riferisce don Gabriele D'Annibale, direttore della Caritas diocesana di Albano. «C'è l'orgoglio del piccolo imprenditore che fino a due mesi fa lavorava e ora si trova senza niente». Al centro di Albano arrivano anche tanti giovani. «Facevano piccoli lavori per pagare gli studi e ora non riescono a saldare le tasse universitarie. Un ragazzo appena laureato mi ha chiesto aiuto perché non aveva i soldi per iscriversi all'albo professionale». I nuovi arrivi sono oltre 2.000. Solo nella parrocchia di Pomezia gli assistiti sono passati da 50 a 300, dice don Gabriele. «Alcuni sono stati sfrattati e non sanno dove fare la doccia. Le nuove povertà fanno saltare le coppie. Un uomo, rimasto disoccupato, è stato cacciato di casa dalla moglie. Era andato a dormire nei giardini pubblici. Aveva preferito arrangiarsi in questo modo piuttosto che venire a chiedere aiuto. Ora gli sto pagando una stanza in albergo».L'industrializzazione di alcune aree della Campania, fino agli anni Ottanta a vocazione agricola, si è rivelata un boomerang per la popolazione locale. «Gli impiegati nelle piccole imprese sono stati i primi a perdere il lavoro mentre gli agricoltori soffrono meno» dice don Nicola De Blasio direttore della diocesi di Benevento che conta 72 comuni. «C'è stato un picco del 70% di nuove richieste di aiuto. Alcune famiglie non avevano nemmeno i soldi per il funerale di un loro congiunto». Emergono situazioni paradossali. Come quella di un trentenne che ha cercato un impiego stagionale presso alcune aziende agricole del Nord Est, per la raccolta delle mele ma è stato respinto. «Gli hanno detto: non sei specializzato. Ora occorre un master anche per raccogliere la frutta» dice sorridendo don Nicola. Nella Caritas della Puglia le richieste sono aumentate del 100% riferisce il coordinatore don Alessandro Mayer. «La nuova povertà è più facile preda della malavita».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/a-stare-male-sono-gli-insospettabili-della-porta-accanto-i-nuovi-poveri-2646019697.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-stare-male-sono-gli-insospettabili-della-porta-accanto" data-post-id="2646019697" data-published-at="1589737563" data-use-pagination="False"> «A stare male sono gli insospettabili della porta accanto» Giovanni Bruno (Ansa) «Abbiamo avuto un aumento delle richieste di generi alimentari di circa il 40% con punte anche del 70%. Noi non arriviamo al singolo bisognoso perché riforniamo le 7.500 strutture caritative accreditate, ma stiamo comunque ricevendo migliaia di telefonate di persone, improvvisamente precipitate in povertà, che non sanno a chi rivolgersi, cosa fare, disperate, che chiedono informazioni. Non mi stupirei se di qui a poco ci fossero casi di suicidi come avvenuto dopo la crisi del 2008». Giovanni Bruno, presidente della Fondazione del Banco Alimentare, tramite i 21 Banchi sparsi in tutta Italia ha un osservatorio aggiornato costantemente della situazione a livello nazionale. C'è il rischio di un raddoppio della povertà? «Con la grande crisi del 2018 fino al 2015 i poveri sono passati da 2 milioni a 4,5 milioni per poi assestarsi su 5 milioni. Non c'è stato alcun miglioramento della condizione di questa fascia di popolazione. Il raddoppio dei numeri che si è verificato nell'arco di sette anni ora potrebbe esplodere in sette mesi». Chi sono i nuovi poveri? «Sono quelli che noi definiamo “della porta accanto", quelli che mai ti aspetteresti in condizioni di bisogno. Quelle famiglie che anche prima dell'epidemia dovevano scegliere tra cosa mettere in tavola e un paio di scarpe, che fino a tre mesi fa potevano beneficiare della mensa scolastica dove il figlio riusciva almeno a fare un pasto regolare, spesso l'unico della giornata. A Milano in questa situazione si trovavano già circa 22.000 famiglie. Il salto da questa condizione di border line alla povertà è facile. Basta che il capofamiglia rimanga disoccupato o sia messo in cassa integrazione e il precario equilibrio crolla». Quindi non sono soltanto i lavoratori irregolari? «Assolutamente no. Pensate a quanti erano impiegati nel mondo dello spettacolo, nell'intrattenimento, nella ristorazione, del settore alberghiero. E poi dipendenti di palestre, piscine, di saloni di bellezza. Lavoratori autonomi o dipendenti. Tutta gente che si è trovata all'improvviso in una doppia difficoltà materiale e psicologica perché bisogna imparare a essere poveri». In che senso bisogna imparare a essere poveri? «Chi non si è mai trovato in condizione di necessità, a cominciare da quella primaria alimentare, non sa a chi rivolgersi. Questo vuol dire non solo il pacco con i viveri ma entrare in una rete di solidarietà per non avere la sensazione psicologica di essere spinto ai margini della società. Il rischio di entrare in una spirale di depressione è alto e pericoloso come dimostrano i suicidi di imprenditori nel periodo della grande crisi economica. La richiesta di informazioni su come muoversi, a chi rivolgersi sono aumentate dell'80%. Ieri il direttore di un nostro Banco mi ha detto che ogni telefonata è un pugno al cuore. Percepisci la disperazione di persone che non sanno come chiedere dove trovare da mangiare, hanno vergogna ad ammettere di aver bisogno anche di un piatto di pasta. Se come dice la Banca d'Italia, il risparmio medio di una famiglia operaia monoreddito, è di 2.800 euro l'anno, è facile comprendere che bastano due-tre mesi di blocco del lavoro per toccare il fondo e restare a secco di liquidità. Stiamo ricevendo migliaia di chiamate di questo genere, che ci chiedono proprio come recuperare qualcosa da mettere in tavola. Ricordo il caso, due anni fa, di quella bambina svenuta il classe, in una scuola del Nord Est. Nessuno sapeva cosa avesse avuto, salvo poi scoprire che non mangiava da due giorni. Eppure sembrava che conducesse una vita normale, che la famiglia non avesse problemi. Situazioni di questo tipo, di povertà della porta accanto, ora si stanno moltiplicando. Ci sono persone che telefonano dicendo che sono preoccupati per i vicini di casa ma poi capisci che è di loro che stanno parlando, ma non hanno il coraggio di esporsi, si vergognano». Quale è la fascia di età delle persone che si stanno rivolgendo ai vostri Banchi? «Noi non distribuiamo alimentari, come ho detto, perché serviamo le strutture accreditate, per il 60% la Caritas, ma ci chiamano per avere conforto, per sapere a chi rivolgersi. Sono soprattutto famiglie con componenti tra i 30 e i 45 anni. Alcune, con il Coronavirus, hanno anche perso il nonno che con la pensione li aveva aiutati nei momenti di difficoltà e ora sono senza alcun paracadute. La scomparsa di tanti anziani con il virus ha significato il venir meno di un aiuto importante per tante famiglie». La chiusura delle chiese non ha aiuto. «Le parrocchie hanno continuato a svolgere un'importante azione di sostegno ma il blocco di matrimoni, battesimi, cresime, ha interrotto l'afflusso delle tradizionali offerte che rappresentano piccole realtà di sostegno nei paesi come nei quartieri. È una fonte che è mancata. La catena della solidarietà però ha funzionato a pieni giri. Alla crescita del bisogno hanno fatto fronte tante imprese dell'agroalimentare che si sono mobilitate. Pure situazioni di singoli. A Palermo, giorni fa, è stato sequestrato del pesce perché il pescatore aveva contravvenuto al fermo dell'attività. Il carico è andato al Banco Alimentare locale. Ebbene il pescatore si è rallegrato di questa scelta che favoriva chi aveva forse più bisogno di lui. Le iniziative di solidarietà stanno fiorendo ovunque ma di sicuro non possono sopperire all'intervento dello Stato». Ritiene insufficienti le misure varate dal governo fino ad ora? «Il problema non sono gli interventi pubblici quanto la tempistica. I soldi della cassa integrazione come dei bonus, devono arrivare ora, non tra quattro mesi, perché nel frattempo una famiglia come vive? È fondamentale poi la valorizzazione del terzo settore, dei corpi intermedi dello Stato. Va ricostruita una trama di relazioni e di umanità che è imprescindibile anche per ripartire. L'inserimento del disoccupato in una trama di volontariato, in tanti casi diventa l'occasione per ritrovare quella fiducia necessaria per cercare nuove occasioni di impiego».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Continua a leggereRiduci
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Continua a leggereRiduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
Continua a leggereRiduci