
Il 13 ottobre sarà inaugurato il MoPi, interamente dedicato al cibo simbolo del nostro Paese. Maestri come Gino Sorbillo gridano al furto e non hanno torto. Perché dobbiamo farci sottrarre un'eccellenza? Si discute in questi giorni del MoPi, nomignolo slang per intendere il Museo della Pizza che aprirà il 13 ottobre prossimo a New York, ancora non si sa esattamente in che quartiere. Si sa però che si tratterà di un pop up museum, cioè un museo temporaneo, che durerà due settimane, con licenza di eventuale estensione nel tempo. Si sa poi che nasce da un'idea di Kareem Rahma - Ceo della Nameless Network, società di comunicazione di Brooklyn - e bissa un'iniziativa simile, il Museo del Gelato, che ha intrattenuto i foodie e i golosoni di Manhattan con trovate fantasmagoriche e superpop già nell'agosto di due anni fa. Se allora si poteva nuotare dentro una piscina piena di granella di zucchero multicolore per sentirsi un po' una pallina di gelato (da noi non tanto, ma negli Stati Uniti sono molto diffusi gli ice cream topping di questo tipo), stavolta al MoPi ci si potrà aggirare in una grotta di formaggio (in silicone...) e divertirsi sulla Pizza Beach tuffandosi o surfando su enormi ondate di formaggio (lodevole se si tratterà di formaggio vero e non di plastica, ma restiamo un pochino sconcertati, essendo che sulla pizza va la mozzarella, non un generico latticino). Sembra che la pizza verrà raccontata anche dal punto di vista storico, artistico e culturale e che nel prezzo del biglietto - che conterrà anche un contributo per un pasto caldo a un bisognoso - sarà compresa pure una fetta di pizza. L'ingresso costerà 35 dollari.Insomma, nella Grande mela si vedrà una sorta di luna park della pizza in perfetto stile a stelle e strisce. Cosa che, da una parte, ci fa un poco sorridere, perché il vero museo della pizza a cielo aperto è l'Italia, dove ogni forno, da quello blasonato a quello popolare, rappresenta un momento di viaggio nella pizza. Con 29 euro e 22 centesimi (il cambio, mentre scriviamo, di 35 dollari in euro) hai voglia a mangiare vera pizza italiana... E diciamolo: nessuna celebrazione museale può superare quella effettiva che consiste, semplicemente, nel gustare la pizza, facendola parlare di sé tramite l'assaggio. Non possiamo, quindi, non guardare all'iniziativa americana con sacrosanto spirito nazionalistico, perché la pizza è davvero una cosa nostra. Siamo orgogliosi, certo, che anche altri ne riconoscano valore e bellezza. Ma è difficile non stare dalla parte di Gino Sorbillo, il pizzaiolo napoletano più noto (e più bravo) che da qualche tempo è diventato il più battagliero esponente di quella sorta di think tank tricolore che si sta sviluppando intorno alla pizza. A Sorbillo si deve la difesa della pizza Margherita servita nel bar di Carlo Cracco che ha scatenato infinite polemiche poco tempo fa: dopo il placet di Gino, i criticoni hanno taciuto (d'altronde bocciarla voleva dire non averla mangiata oppure non capire moltissimo di cibo e di cucina contemporanea, perché la pizza Margherita venduta dall'ex star di Masterchef è effettivamente buonissima). Sorbillo, tra i pizzaioli star, è quello che si è speso di più perché l'Unesco riconoscesse la pizza patrimonio dell'umanità (come è poi avvenuto pochi mesi fa). Ed è quello che ora disapprova con forza che il Museo della Pizza apra a New York. Il quarantatreenne Sorbillo ha affidato il suo niet a Repubblica.it, con un piccolo articolo scritto di suo pugno: «La notizia della prossima apertura di un museo della pizza a New York mi lascia perplesso e amareggiato», ha spiegato. «Questa iniziativa ha senso soltanto nella nostra città. Perché la pizza è napoletana e la sua origine è qui, e non altrove. Il resto sono davvero soltanto chiacchiere diffuse ad arte e, spesso, proprio negli Stati Uniti dove in molti giurano che il piatto sia nato lì. Ma posso assicurare, da pizzaiolo esperto, che non è affatto così. Furono emigranti napoletani a portare la ricetta in America ma quando già la pizza veniva sfornata nella nostra città». Non c'è dubbio che sia stata la pizza napoletana a scoprire l'America e non il contrario e, per altro, l'invasione della pizza nostrana Oltreoceano si conferma un vero e proprio ricorso storico. Giusto in questi mesi stanno avendo un enorme successo i locali di pizza gourmet aperti negli Stati Uniti dai nostri più importanti pizzaioli: dallo stesso Sorbillo (che ha appena aperto a Miami) a Gabriele Bonci (due locali a Chicago) ad Angelo Iezzi, il fondatore della new wave gourmet della pizza al taglio romana negli anni Novanta, che ha da poco aperto una sede a Manhattan. Non possiamo dunque gioire perché un museo che celebra uno dei piatti cardine della nostra alimentazione e cultura culinaria nasca e sia gestito altrove. Certo: la globalizzazione culturale vuole che tutto sia di tutti, lo sappiamo. Ed è vero pure che, se gli americani non hanno inventato la pizza, di certo la amano (ne consumano 13 chili a persona all'anno e soltanto a New York le pizzerie di emigrati italiani sono oltre 60.000). Anche se a noi versioni americane come la deep dish pizza di Chicago, che pare una crostatona, o la pizza hawaiana (con l'ananas) paiono eresie, non possiamo non notare che aprire un museo della pizza vuol dire omaggiare la nostra tradizione. Ma Sorbillo ha ragione: occorrerebbe non lasciarsi rubare la festosa ufficiatura della pizza. Perché non fare la nostra parte? A New York il museo sarà solo temporaneo. Perché non farne uno stabile qui? Oppure organizzare tappe di un percorso museale, come di assaggio, in tutta Italia? Ci sono la pizza tonda napoletana, quella tonda salernitana, quella tonda romana, quella romana al taglio, quella toscana nel tegamino, poi le pizze gourmet (sia al piatto, sia in teglia al taglio). Per noi la pizza è un mare che sapremmo navigare come si deve: siamo stati un po' pirlacchioni a non organizzare niente del genere finora. Andiamo oltre il ragionamento «Gli americani ci hanno fregato», e facciamolo. Con lo stesso piglio che avrebbe Donald Trump se a noi italiani venisse in testa di aprire un Museo della Cheesecake o del Tacchino Ripieno, dimostriamo sul campo come si fa un Museo della Pizza: dislocato o stabile o entrambi, come forno (per pizza) comanda.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.