Nella chiesa romana di San Luigi dei francesi, famosa per i capolavori del Caravaggio, il coro intona l'inno dei partigiani anziché la musica sacra. Al Macro, invece, fa discutere un'immagine del Cristo con un'erezione mentre accarezza un bimbo.
Nella chiesa romana di San Luigi dei francesi, famosa per i capolavori del Caravaggio, il coro intona l'inno dei partigiani anziché la musica sacra. Al Macro, invece, fa discutere un'immagine del Cristo con un'erezione mentre accarezza un bimbo.Sull'invito era scritto che il concerto di Natale s'intitolava «Like Angels in the snow», ovvero «come angeli nella neve». Che se scoppia la bufera un colpo d'ali e tac, ci si libra in volo, mica si resta bloccati nel traffico. Brani «a cappella» della tradizione natalizia, esegue il coro «Notevolmente» diretto da Marco Schunnach. Sul cartoncino spicca un cielo blu scuro, un albero di Natale bianco, e una fila di orme sulla neve che si perdono inseguendo una piccola fiammella lontana. Ingresso libero. Ma poiché l'evento è in collaborazione con l'associazione Dufashanye del Burundi, non ci vuol molto a immaginare che si sarebbe raccolto qualcosa da destinare a uno dei Paesi più infelici dell'Africa.E non parliamo del contesto. La chiesa di San Luigi dei francesi, a due passi da piazza Navona, quella che custodisce i tre capolavori di Caravaggio dedicati a San Matteo. Una basilica traboccante di gente, come testimoniano le registrazioni messe in circolo sulle reti sociali. Era tutto predisposto per una domenica pomeriggio di silenzioso raccoglimento, di riflessione, di solidarietà. Ma la bontà si è storpiata in un buonismo politicamente corretto. Perché a un certo punto, fra i canti di Natale, ha fatto capolino Bella ciao. Sotto le sacre volte è stato cantato l'inno dei partigiani diventato il simbolo delle lotte contro il nazifascismo, scongelato periodicamente dall'oblio dai movimenti di piazza legati alla sinistra.Interpretazione a quattro voci, peraltro con un arrangiamento degli Swingle Singers discutibile, visto che è stato preceduto da un lungo «dirindindin» che ha fatto pure da sottofondo durante tutta l'esecuzione. Un canto di lotta è stato trasformato in una ballata da sagra come l'Uva fornarina e proposto alla stregua di un motivo natalizio. Il repertorio polifonico per il coro «Notevolmente» non basta più; il gregoriano è preistoria, Palestrina non lo capisce più nessuno, Signore delle cime da Bologna in giù non attizza, Adeste fideles sa troppo di latinorum preconciliare. E allora vai con Bella ciao a San Luigi dei Francesi, che trasforma un capolavoro dell'arte sacra barocca nel tempio delle Sardine.Nei video che circolano sul Web si sentono i presenti che mormorano: «Ammazza», «Mamma mia», «Allucinante». E si vedono decine di telefonini illuminati, segno che era parecchia la gente che non credendo alle proprie orecchie voleva conservare la prova del misfatto. Qualche giorno fa nella basilica di Santa croce a Firenze il priore ha proibito di eseguire pezzi immortali di musica sacra composti da Mozart (il Requiem e l'Ave verum) perché il maestro viennese era massone. Qui nessuno si è posto il problema. Ormai Bella ciao è diventato un canto di chiesa. Non c'è una parola che contenga un richiamo religioso, e meno che mai al Natale, ma per i parroci alla don Biancalani (che il mese scorso la intonò di persona al termine della messa nella chiesa pistoiese di Vicofaro) non fa niente. Magari qualcuno pensa sia un saluto alla Madonna, la versione moderna di «Ave, Maria».Alla vigilia di Natale non c'è più rispetto per l'unico vero festeggiato. A non molta distanza da San Luigi dei francesi, in via Nizza, zona Nomentana, si trova il Macro, museo di arte contemporanea della capitale. Sulla bacheca è stato affisso un manifesto blasfemo con la sordida immagine di un Cristo pedofilo: vi si vede Gesù con un'evidente erezione sotto la tunica, una mano benedicente e l'altra poggiata sulla testa di un bambino inginocchiato davanti a lui. Il titolo del manifesto è «Ecce homo», ma forse la lettera acca è di troppo, e sotto, più in piccolo, «erectus».«Raggi rimuova questo schifo», ha tuonato la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. Ma la sindaca di Roma ha preferito prendersela con la vignetta del disegnatore Marione che ha paragonato l'Unione europea al lager nazista di Auschwitz. L'Ue e l'Olocausto non si toccano, dell'islam non parliamo, invece la religione cattolica può finire tranquillamente nel tritacarne che produce i cotechini natalizi. Soltanto dopo che la Meloni e alcuni consiglieri Fdi della Regione Lazio avevano alzato la voce la locandina blasfema è stata tolta dall'Azienda speciale Palaexpo, che gestisce il polo museale, la quale ha fatto sapere che «si dissocia dal messaggio del manifesto» senza nemmeno chiedere scusa.Accade nella capitale della cristianità: dalle tele del Caravaggio alle immagini esposte davanti a un museo, la figura di Cristo è maltrattata senza ritegno. Il partigiano è equiparato al Salvatore nel nuovo tormentone musicale di questo autunno/inverno 2019/20. «Roba da matti», ha scritto ieri Matteo Salvini sulla sua pagina Facebook, «cantare Bella ciao in chiesa una domenica sera a Roma, ma vi pare normale??». Nell'Italia di oggi, purtroppo, è così.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.







