
Il fondo Salva stati è un'idea di cui si comincia a parlare dopo il crac del 2008 e al governo, è vero, a quei tempi c'era Silvio Berlusconi. Tuttavia, a differenza di quanto ha sostenuto l'altra sera in tv il presidente del Consiglio, durante una conferenza stampa che è stata al tempo stesso segno di debolezza e di livore, non fu il governo del Cavaliere a far da levatrice al Mes, ma quello di Mario Monti, ovvero il più genuflesso a Bruxelles che si sia mai visto. Sì, per nascondere il suo personale fallimento nella trattativa per gli aiuti europei dopo il coronavirus, Giuseppe Conte ha rovesciato su Giorgia Meloni e su Matteo Salvini le accuse di aver votato a favore del meccanismo a cui ora si oppongono, ma quella che ha detto è una bugia grossa come una casa. E per capirlo basta controllare alcune date. A parlare per primo di un fondo che intervenga in caso di crisi finanziaria, emettendo bond a disposizione dei Paesi della Ue, è il governo italiano, e lo fa il 29 settembre del 2008, con una lettera alla presidenza del semestre europeo. Il disegno è chiaro: dopo il fallimento della Lehman che ha travolto le banche di mezzo mondo, è necessario uno strumento di intervento comune che metta al riparo i Paesi Ue dai rischi. La proposta italiana viene discussa all'interno dell'Eurogruppo e se ne fanno interpreti, alla fine del 2010, Jean Claude Juncker e Giulio Tremonti, che in un articolo a doppia firma immaginano una specie di agenzia europea del debito, in grado di emettere obbligazioni. A sostegno della proposta, all'inizio del 2011, arriva anche una risoluzione del Parlamento europeo, favorevole alla promozione di un mercato consolidato di eurobond. Peccato che la Germania sia ostinatamente contraria a obbligazioni comuni, e dunque il progetto si areni, salvo poi rispuntare quando, con un golpetto patrocinato da Giorgio Napolitano, il posto di Berlusconi a Palazzo Chigi viene occupato dall'ex rettore della Bocconi, per l'occasione nominato senatore a vita. Nel 2012 il fondo Salva stati, evoluzione del Fesf, vede la luce con la firma del nuovo presidente del Consiglio, ma dall'orizzonte politico sono scomparsi gli eurobond e l'idea di un'agenzia comune del debito. In pratica, il Mes è niente di più di uno sportello bancario a cui rivolgersi in caso di necessità, ma alla stregua di un istituto di credito, per erogare i soldi vuole garanzie, che nel nostro caso equivalgono più o meno a una cessione di sovranità. Tradotto, se chiedessimo un finanziamento al Mes dovremmo sottostare alle sue condizioni. Ciò significa che in cambio del denaro dovremmo assoggettare il Paese a una patrimoniale, ovvero a un prelievo forzoso del risparmio degli italiani, una ricchezza che fa gola all'Europa a trazione tedesca.
Questa è la storia del Mes e dei suoi ideatori e, in pratica, anche dei suoi affossatori. Come si vede, né Giorgia Meloni né Matteo Salvini c'entrano nulla. A differenza di quel che ha raccontato in tv, senza contraddittorio, Giuseppe Conte, la leader di Fratelli d'Italia non era ministro quando fu varato il Fondo Salva stati e il capo della Lega addirittura stava all'opposizione. Perché dunque il presidente del Consiglio ha spacciato per vera una bugia? Per due motivi. Il primo è che dietro la sua aria professorale Conte nasconde una profonda ignoranza, nel senso che ignora molte cose. Lo ha dimostrato citando a sproposito i cristiani e la fuga dall'Egitto e lo ha certificato l'altra sera attribuendo a Meloni e Salvini ciò che non è farina del loro sacco. Ma poi c'è la straordinaria confusione di un uomo che si trova alla guida del governo in uno dei momenti storici più difficili del Paese, roso dall'ambizione, ma soprattutto dall'impreparazione. Conte oggi è un uomo solo allo sbando, circondato da commissari - ieri ne ha nominati altri 17, ma prima c'erano stati quelli alla sanità e all'emergenza - e isolato a Palazzo Chigi, che governa per decreto, come un caudillo che non abbia neppure il dovere di sottostare al controllo del Parlamento. Certo, l'enorme potere di comandare senza gli impicci delle commissioni e ignorando le consultazioni di Camera e Senato dà alla testa. Ma allo stesso tempo la testa la si può perdere molto in fretta. Infatti si fa presto a passare da onnipotenti a perdenti. E il premier è proprio sul crinale.






