
Da 50 anni la città aspetta uno scalo all'altezza. Dal 2015 la società di gestione ha fatto oltre 27 milioni di utili, ma non ha investito nulla. E ora gli stessi imprenditori scendono in piazza a chiedere soldi allo Stato.Povera Firenze, corbellata da politici e imprenditori. Non avrà mai un aeroporto degno di questo nome. Che non chiuda al primo refolo di vento o per poche gocce d'acqua, e che non condanni i passeggeri a essere dirottati su Pisa, Bologna o Genova e abbandonati lì. Una volta l'ex sindaco Massimo Bogianckino, di ritorno da Parigi, riferendosi all'aerostazione disse che al confronto era come atterrare in una tabaccheria: questa storia fu per lui un tale cruccio, che gli fece venire un infarto. Ora gli imprenditori fiorentini azionisti di Peretola invocano il potenziamento (una nuova pista da 2.400 metri, parallela all'autostrada del sole) ergendosi a paladini della città: sono scesi rumorosamente in piazza per dire sì all'aeroporto, mentre in silenzio si sono spartiti (legittimamente) i guadagni maturati dalla gestione. Che bella coerenza: aspettano i soldi dallo Stato, ma loro non mettono da parte, per Peretola, neanche i dividendi del triennio 2015-2017. Da quando esiste la società di Toscana aeroporti, che gestisce Firenze e Pisa ed è presieduta da Marco Carrai per conto del magnate argentino Eduardo Eurnekian, che detiene la maggioranza, in cassa sono rimasti 27.043.187 euro, che avrebbero potuto essere reinvestiti per lo sviluppo di Peretola. Invece la Società pensa ad altri business che però niente hanno a che fare con gli aerei. La vicenda è talmente surreale che è difficile da credere. Negli anni Settanta fu il Pci a ordinare che Pisa doveva essere l'aeroporto della Toscana e Firenze accontentarsi di un piccolo scalo cittadino (oggi si chiama city airport) prendendosi la responsabilità di penalizzare lo sviluppo economico delle grandi industrie, che infatti se ne sono andate. Oggi sono paradossalmente i nipotini dem di quei comunisti, ad essere rimasti da soli a votare in Regione per il rafforzamento di Peretola. Il centrodestra toscano fa il pesce in barile (è d'accordo ma esce dall'aula al momento di votare); la Lega dissotterra la rivalità con Pisa (casualmente la nuova zarina salviniana della Toscana, Susanna Ceccardi è sindaco di Cascina, ma soprattutto è pisana) e rischia di giocarsi Palazzo Vecchio nel 2019; il M5s è contro tutto e tutti e conferma le sue tendenze distruttive a prescindere. Sembrava che il principale ostacolo politico fosse stato superato nel 2015 con l'accordo fra Matteo Renzi e Enrico Rossi. Renzi, che allora era premier, era sedotto dall'ambizione di passare alla storia come l'uomo che era riuscito a potenziare Peretola dopo mezzo secolo; Rossi cercava (e trovò) dal potentissimo segretario del Pd, la riconferma per la presidenza della Regione senza passare dalle primarie. Macché, la maledizione di Peretola ha colpito ancora. Negli ultimi 30 anni del secolo scorso, Firenze ha assistito impotente alla grande fuga di un passato promettente che non era in grado di mettersi al passo con i tempi: fuga di mostre importanti (le è rimasto soltanto Pitti Uomo); fuga di aziende e multinazionali, i cui manager si erano stancati di mantenere insediamenti e affari in una città priva di uno scalo capace di collegarli in poche ore con tutto il mondo. Ora le categorie economiche si sono risvegliate. Hanno creato il comitato «Si all'aeroporto», sono scese in piazza guidate dal più famoso degli imprenditori fiorentini nel mondo, Ferruccio Ferragamo, e con lui il promotore del comitato Leonardo Bassilichi, importante rappresentante di Confindustria e presidente della Camera di Commercio: in questi tre anni di vita della società Toscana aeroporti (gli enti locali hanno quote di minoranza), però, hanno partecipato alla divisione degli utili senza che nessuno di loro abbia avuto nulla da eccepire. Si discute ancora come 50 anni fa, tra tentennamenti, invidie e timori ambientali. Alcuni giustificati altri meno. La vicina Prato non ne vuol sapere di un aeroporto più grande: teme, con i comuni della Piana fiorentina, che la nuova pista non dia solo sicurezza agli atterraggi e riduca i dirottamenti su altri scali per il maltempo (939 voli cancellati o dirottati nei primi nove mesi di quest'anno), ma aumenti il carico del traffico mettendo a repentaglio anche un parco che si trova fra Sesto Fiorentino e Firenze. A loro poco importa che, esattamente un anno fa, i ministeri dell'Ambiente e Beni culturali abbiano firmato l'okay alla valutazione di impatto ambientale, sia pure con qualche decina di prescrizioni, compreso lo spostamento di un laghetto. Fine della telenovela? Neanche per idea. La società di gestione, controllata da Corporacion America dell'argentino Eduardo Eurnekian, che gestisce aeroporti in sette Paesi, dal Brasile all'Uruguay, ha chiesto di acquistare l'8,15% del capitale azionario di Firenze parcheggi, per una spesa di 10 milioni e 337.000 euro. A settembre si è dimesso dal Cda Martin Eurnekian, nipote del fondatore. Sembra che i principali azionisti pensino a tutto (insediamenti immobiliari, parcheggi) fuorché all'aeroporto. Restano le categorie economiche a riempirsi la bocca di “W la nuova pista di Peretola", anche creando un gruppo su Facebook, ma nessuno che pensi a frugarsi in tasca. C'erano 150 milioni stanziati (ma mai erogati) dal governo Renzi, 50 dei quali previsti dallo sblocca Italia che tuttavia sopravviveranno fino al 31 dicembre purché i lavori siano già cantierabili. Cioè si sono persi anche quelli. Come può essere credibile la presunta volontà di far decollare Peretola? Fiorentini, mettetevi l'animo in pace: il vostro aeroporto resterà così com'è. Malgrado l'illusione di chi continua a raccontare che lo sviluppo di Peretola consentirebbe di raddoppiare il numero dei passeggeri annuali da 2.2 a 4.5 milioni, e di portare 5.000 nuovi posti di lavoro. Parole che, per Firenze, ormai sono solo una dannazione.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.