2018-07-09
A chi le bestie? A noi! Uno studio racconta il Mussolini nascosto e grande animalista
Nel saggio «Primo non maltrattare», Giulia Guazzaloca rivela l'impulso del fascismo alla protezione degli amici a 4 zampe.«Chi maltratta gli animali non è italiano». Parola di Benito Mussolini. Sempre al Duce vanno attribuite frasi come «la protezione degli animali è la più alta forma di civiltà di un popolo» e «il rispetto per la vita degli animali è una delle più nobili caratteristiche della vita di un Paese». Le parole del capo del fascismo sono citate in un documentato saggio di Giulia Guazzaloca appena pubblicato dall'editore Laterza con il titolo Primo: non maltrattare. Storia della protezione degli animali in Italia. Una lettura particolarmente interessante, che permette di scoprire un aspetto del regime non molto noto: l'attenzione verso gli animali. Chiariamoci subito: il testo della Guazzaloca non è per nulla celebrativo, anzi la studiosa (che insegna Storia contemporanea all'Università di Bologna) non perde occasione per ribadire quanto l'animalismo fosse funzionale alla propaganda fascista. Tuttavia, le informazioni che fornisce sono parecchio interessanti. Società di protezione degli animali nacquero in varie parti d'Italia già nella seconda metà dell'Ottocento. La più famosa fu quella torinese fondata nel 1871 su esplicita richiesta di Giuseppe Garibaldi. Il fascismo, tuttavia, permise al protezionismo di «irrobustirsi», incorporando «nelle strutture dello Stato le attività e le iniziative degli zoofili». Come spiega la Guazzaloca, «il processo di statalizzazione del movimento zoofilo giunse a compimento solo nel 1938 con la nascita dell'Enfpa» (Ente nazionale fascista per la protezione degli animali, antenato della attuale Enpa). Ma già a partire dal 1936, tramite varie circolari, «il ministro Giuseppe Bottai sollecitò provveditori e insegnanti a intensificare nelle scuole “i sentimenti di rispetto e di protezione verso gli animali"». azione nelle classiScrive la Guazzaloca che «la propaganda zoofila nelle scuole veniva coordinata con le società protettrici e coi reparti della Gioventù italiana del littorio. Diplomi di benemerenza, concorsi a premi, componimenti d'argomento zoofilo, distribuzione e proiezioni di materiali informativi, lezioni sulla psicologia degli animali erano alcune delle “feconde iniziative" messe in atto a livello scolastico». Al 1941 risale la pubblicazione del volumetto Proteggere gli animali, una sorta di compendio delle idee mussoliniane in materia di animalismo, che fu diffuso nelle scuole ma pure distribuito a contadini e allevatori. «L'opuscolo si reggeva sulla tesi che il buon trattamento degli animali era utile tanto alla battaglia autarchica quanto alla tutela del patrimonio faunistico: “Risparmiando agli animali sevizi, maltrattamenti, fame, eccessivi sforzi, difendendoli dalle insidie delle malattie, si perfezioneranno le razze e si gioverà all'economia della nazione"». Da un lato, il regime non gradiva affatto alcuni atteggiamenti, considerati tipici degli anglosassoni, di eccessiva «umanizzazione» degli animali (cosa che oggi va per la maggiore). Dall'altro, però, promuoveva il rispetto e la cura, insistendo con particolare enfasi sulla figura di san Francesco d'Assisi.la sperimentazione Il regime, spiega ancora Giulia Guazzaloca, promulgò tre leggi sulla sperimentazione animale, una delle quali (quella del 1931, modificata leggermente nel 1941) è rimasta invariata fino agli anni Novanta. Ma si diede parecchio da fare anche nella lotta ai maltrattamenti. Vero, la Cassazione permise la spiumatura delle oche vive, ma «furono invece emesse condanne per l'accecamento di quaglie, l'uccisione a bastonate di cani e gatti, lo scuoiamento di conigli vivi, la pratica abusiva della vivisezione, delle percosse “per puro spirito di malvagità" su buoi da macello». Ci fu persino una sentenza del pretore di Torino che punì «l'applicazione di finimenti impropri su un cavallo da traino». Il più grande lascito del fascismo riguardo la protezione degli animali, tuttavia, fu senz'altro l'istituzione dell'Enfpa. Già un anno dopo la sua fondazione poteva contare su 79 sezioni provinciali, 31 comunali e 367 «guardie zoofile» operative. «Ancora per tutto il 1942 le guardie zoofile, seppur in condizioni precarie, riuscirono a effettuare oltre 8.900 operazioni e di più di 7.600 contravvenzioni, fra il 1941 e il 1942 aumentarono addirittura gli iscritti (da quasi 17.500 a 20.718) e fu aperta qualche nuova sede, per esempio a Messina». Anche durante la guerra, dunque, l'attenzione verso gli animali non venne meno. Del resto, lo aveva già chiarito Giuseppe Bottai: «La fierezza civile del carattere non deve essere disgiunta dalla gentilezza dei costumi e dalla pietà verso gli esseri inferiori». Questo perché «la pietà è un dono dei giganti».
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