2023-07-29
Compie 70 anni l’Accademia baluardo della cucina italiana
Fondata dal giornalista Orio Vergani, oggi persegue l’obiettivo di far dichiarare l’arte del mangiare un Patrimonio dell’Unesco.Mercoledì 29 luglio 1953 è un giorno d’afa, a Milano. L’estate si fa pesante con temperature ben oltre i 30 gradi. In serata, la colonnina di mercurio scende. Si respira. La temperatura nel giardino dell’Hotel Diana diventa piacevole, come lo è la cena servita al tavolo apparecchiato per 14 persone.Fu a quella cena nel giardino del Diana (oggi Sheraton Diana Majestic Milano) che si riunirono nella terz’ultima serata di quel luglio i 14 «cavalieri del buon gusto» che ratificarono la fondazione dell’Accademia italiana della cucina. A chiamarli a conclave per l’atto finale, dopo lunghi ragionamenti e puntigliose messe a punto dello statuto e degli organi accademici, fu Orio Vergani, giornalista e scrittore dotato di una mente che eruttava idee come lo Stromboli erutta lava. Fu l’uomo che comprese l’importanza di restituire i giusti valori e meriti alla gastronomia e all’enologia italiane.Classe 1898, Vittorio Vergani- in seguito perde il Vitt e rimane solo l’Orio - è un personaggio straordinario. Scrive di tutto, dalle cronache alle recensioni teatrali; partecipa a tutto, dai premi, il Bagutta in particolare, agli eventi gastronomici. È talmente famoso che Wanda Osiris canta: «Scende da via Bagutta un’atmosfera/ tutta mondanità e scapigliatura/ Orio Vergani passa verso sera/ pensa a nuovi concorsi e va al Corrier». È inviato del Corriere al Giro d’Italia e al Tour de France. È proprio in Francia, dove i piatti sono portati alle stelle, che matura l’idea di difendere e valorizzare la cucina di casa nostra.i protagonistiAlla cena al Diana avrebbero dovuto essere in 17, tanti erano i fondatori dell’Accademia: giornalisti, storici, scrittori, editori, imprenditori, professionisti, comunicatori. Sei mancavano perché occupati per lavoro o, vista la stagione, in ferie. Trascinati da Vergani, erano iscritti all’albo dei fondatori: Luigi Bertett, Dino Buzzati Traverso, Cesare Chiodi, Giannino Citterio, Ernesto Donà Dalle Rose, Michele Guido Franci, Gianni Mazzocchi Bastoni, Arnoldo Mondadori, Attilio Nava, Arturo Orvieto, Severino Pagani, Aldo Passante, Gian Luigi Ponti, Giò Ponti, Dino Villani, Edoardo Visconti di Modrone. Assenti giustificati Bertett, Buzzati Traverso, Mazzocchi Bastoni, Passante, Giò Ponti e Visconti di Modrone.Agli 11 fondatori presenti si aggiungono due ospiti importanti, gli scrittori e storici delle cucine regionali Vincenzo Buonassisi e Massimo Alberini. E siamo a 13. Qualcuno, intellettuale ma propenso a credere alla iella, fa presente che il 13 non è un numero fausto per il battesimo di un’accademia così importante. È per questo che viene invitato a partecipare alla cena di fondazione lo scrittore Tom Antongini, già segretario di Gabriele D’Annunzio, ospite in quei giorni dell’editore Mondadori.Ad apparentare Vergani e gli altri commensali ai cavalieri medievali, è la studiosa delle tradizioni e dei costumi della tavola Margherita Volpi: «La cavalleria», scrive Volpi ne I cavalieri del buon gusto (1976), «non è una casta sociale come la nobiltà, ma un modo di vivere con determinati ideali. Ci sono da salvare i valori di una civiltà che rischia di essere definitivamente travolta, quella civiltà contadina-rurale che non prende alla Natura più di quello che le rende».L’ideale e i valori che avevano spinto Vergani e gli altri all’appuntamento al Diana erano quanto mai nobili e determinati: salvare la storia, le tradizioni, i costumi dell’Italia enogastronomica e delle varie cucine regionali che, nella confusione e nella frenesia del Dopoguerra proiettato verso il boom economico, si stavano appiattendo in una omogeneizzazione generale, in un trionfo di cibi precotti, in antiche ricette nate inquinate da ingredienti foresti, cervellotici e di pessimo gusto, come la famigerata panna su ogni condimento. Per Vergani e gli altri amici c’era da riprendere in mano il prezioso lavoro fatto da Pellegrino Artusi dopo l’Unità d’Italia.C’era da combattere per difendere, da noi italiani in primis, non solo la cucina dei sapori contadini, ma anche quella raffinata civiltà della tavola che, nel Rinascimento, insegnò alle corti europee l’arte dei banchetti, trasformati da pittori, scultori e architetti del calibro di Leonardo Da Vinci, Benvenuto Cellini, Giulio Romano, in opere d’arte, in festose e fastose scenografie nelle quali si muovevano coppieri e trincianti, musici, attori e ballerini. Erano i tempi in cui Francesco de’ Medici, granduca di Firenze, diceva a Bernardo Buontalenti, architetto, scultore, pittore, scenografo, orafo: «Organizza un banchetto da far rimanere gli stranieri come tanti babbei». In questo particolare caso, gli stranieri erano gli spagnoli di una delegazione in visita a Firenze. Buontalenti fu architetto, scultore, miniaturista e… gelataio. Inventò il gelato che ancora oggi porta il suo nome, per le nozze di Maria de’ Medici, con latte, miele, tuorlo d’uovo e un goccio di vino. Lo storico Denis Mack Smith, docente a Oxford, a un convegno organizzato dall’Accademia italiana della cucina nel 1973, ammise che gli inglesi avevano imparato dagli italiani l’uso della forchetta e apprese la raffinatezza e la buona creanza a tavola studiando i libri di galateo di Castiglione e di monsignor Della Casa.i rischiOrio Vergani comprese quello che l’Italia stava perdendo in memoria, storia, cultura, civiltà e volle l’Accademia a usbergo del patrimonio enogastronomico italiano e dei ricchissimi giacimenti del gusto sparsi lungo tutto lo Stivale. Ancora oggi, dopo 70 anni, il sodalizio si batte quotidianamente in tutto il mondo per tutelare e valorizzare la cucina italiana. Lo sottolinea Paolo Petroni, attuale presidente dell’Accademia: «Quando Orio Vergani decise di fondare l’Accademia, si era reso conto che le tradizioni gastronomiche si stavano imbastardendo: poteva farsi servire tortellini alla panna a Venezia, Milano o Roma ma non i piatti locali, sostituiti da cocktail di scampi e riso pilaf con i gamberoni. Quel momento storico fu superato ma poi arrivò la nouvelle cuisine, con la riduzione delle porzioni, le presentazioni mutuate dalla cucina francese e fu un disastro. In seguito, per fortuna, c’è stata una rivalutazione delle cucine regionali tradizionali e una riscoperta degli ingredienti che oggi sono di gran lunga migliori di quelli di qualche anno fa. Oggi si ripropone un certo pericolo di imbastardimento della nostra cucina: noi italiani non ci rendiamo conto della sua forza e si rischia di seguire le mode internazionali. Oggi è essenziale rispettare gli ingredienti, il cuoco non deve travisare o alterare il sapore della materia prima ed è necessario che sappia rendere riconoscibile una ricetta tradizionale. Il nostro nuovo Manifesto deve essere la guida non solo per la nostra Accademia, ma anche per la ristorazione e le istituzioni».La creatura di Vergani, Villani, Mondadori, Giò Ponti, Volpicelli, degli altri fondatori e di tutti gli accademici venuti dopo di loro, a 70 anni dalla nascita, è ancora in prima linea in tutto il mondo per valorizzare la cucina italiana. È l’unica associazione gastronomica riconosciuta dallo Stato: dal 2003 è Istituzione culturale della Repubblica italiana. Il suo esercito conta 7.440 accademici divisi in 225 delegazioni in Italia e 93 in 54 Paesi nel mondo. La battaglia che l’Accademia sta conducendo a fianco dei ministeri dell’Agricoltura e della Cultura, della Fondazione Casa Artusi e della rivista La cucina italiana, è per la candidatura della cucina italiana a Patrimonio Unesco.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.