2018-06-04
Esistono ancora 65 gruppi armati attivi ma il terrorismo è ormai una faccenda personale
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Il dipartimento di Stato americano ha classificato le sigle. La maggior parte operano in Medioriente e nel Sudest asiatico. Non mancano le fazioni vicine all'Arabia Saudita, storico alleato degli Usa.Spiccano le «armate» operativi nel Continente nero. Non soltanto gli islamisti di Boko Haram e Al Shabaab, ma anche l'esercito di resistenza del Signore, che sogna uno Stato teocratico ispirato ai Dieci comandamenti.La mediatizzazione e la spettacolarizzazione hanno creato competizione tra gli autori delle stragi, che sempre più spesso sono singoli individui in cui è difficile distinguere tra motivazioni ideologiche e personali. Per l'analista Guido Olimpio si tratta di un fenomeno in ascesa che rappresenterà una delle principali sfide per l'Occidente. E così i metodi terrirstici tradizionali sono destinati a scomparire. Lo speciale contiene tre articoli «Staccare la spina». Era la soluzione che molti, negli Anni di piombo, avanzavano per combattere le Brigate rosse. «Contro il terrorismo l'arma più forte è il silenzio», suggeriva l'esperto di comunicazione Herbert Marshall McLuhan. Si pensava, infatti, che evitando la presenza sui media dei terroristi si potesse risolvere una situazione divenuta ormai critica dopo il rapimento, la prigionia e l'uccisione di Aldo Moro. «Il terrorismo è una forma di teatro», affermò il sociologo in un'intervista di allora con Il Tempo: dando copertura mediatica al terrorista, gli si offre un palcoscenico e un copione. Per questo, l'arma più forte per batterlo è il silenzio. Sembrano passati secoli da quei ragionamenti. Oggi, infatti, con la facilità di accesso ai media e soprattutto con le immagini dell'11 settembre impresse ancora nelle nostre menti, un simile dilemma non si pone. Anzi, porselo farebbe apparire fuori dal mondo. Il «staccare la spina» non trova più spazi anche perché sono gli stessi terroristi a puntare sulla spettacolarizzazione delle loro gesta. Il caso dell'ascesa dello Stato Islamico di Abu Bakr Al Baghdadi ne è la dimostrazione. E come suggerisce Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera, nel suo ultimo libro Terrorismi. Atlante mondiale del terrore (La nave di Teseo), «il binomio spettacolo-attentato garantisce successo anche quando il vertice è sotto assedio, con le spalle al muro, i ranghi demoliti dai raid aerei. La percezione è l'alleata di un nemico ubiquo, sorprendente, scaltro. Figlio-figliastro di una società nella quale non si riconosce e che è pronto a sovvertire». Ma questa spettacolarizzazione non serve soltanto a rafforzare gruppi noti, come quelli del terrorismo islamico tipo Al Qaeda e Isis, ma anche ad alimentare la competizione tra terroristi e terrorismi. Infatti è di terrorismi - al plurale - che parla il volume di Olimpio, esperto che ha operato in Medioriente e Americhe. Non c'è soltanto il terrorismo islamico, il jihadismo. L'autore individua altre tre forme: il terrorismo xenofobo, che utilizza spesso gli stessi strumenti dei seguaci dell'Isis (basti pensare alle auto contro i simboli religiosi), il narcoterrorismo, capace di controllare territori in Messico e mercati illegali in America Latina incidendo sulla società, e infine il terrorismo personale. Quest'ultimo è, secondo Olimpio, un fenomeno in forte ascesa. Il ricercatore canadese Kevin Cameron l'ha definito pseudoterrorismo - per quanto accademici, autorità e inquirenti rifiutino la definizione mancando all'origine una motivazione politica: un terrorismo a metà, in cui le ragioni politico-ideologiche del terrorista convivono con le questioni personali a tal punto da rendere impossibile individuare la ragione principale dietro le loro folli gesta. Le stragi di massa negli Usa, in recente aumento, sono l'esempio di come questo tipo di terrorismo si ispiri al jihadismo ma cerchi poi di superarlo, diventando ancor più violento. Dai comportamenti dei cosiddetti terroristi personali negli Usa emergono alcuni elementi: sono decisi a fare sempre più morti, studiano i precedenti per superarli e fanno riferimento alla propaganda sul Web, come nel caso di guide e manifesti, per tramandare messaggio. Per il New York Times, «la nuova generazione di terrorismo islamista, perpetrato da individui ispirati da lontano, ha reso incerta la distinzione tra terrorista e psicopatico solitario». Ma tali caratteristiche sono comuni anche al terrorismo xenofobo. Basti agli atti compiuti da Anders Breivik a Oslo e Utoya, da Thomas Mair contro la deputata britannica Jo Cox, e da Luca Traini, l'estremista di Macerata che è andato a caccia di immigrati per le strade di Macerata promettendo di vendicare l'omicidio della giovane Pamela Mastropietro. Quello islamico e quello xenofobo sono terrorismi simili per modalità, come evidenzia Olimpio, ma anche necessari l'uno all'altro. È la tesi di Julia Ebner, ricercatrice britannica che si occupa di terrorismo e islamismo, il cui volume The rage è stato recentemente pubblicato in Italia da NR edizioni con il titolo La rabbia. Connessioni tra estrema destra e fondamentalismo islamista. Noi-voi, l'identità, la paura, la rabbia sono infatti concetti comuni che hanno successo in entrambi gli estremismi, specie in un periodo, come quello attuale, di crisi globale: in un mondo sempre più complesso, spesso vince il messaggio più semplice, bianco o nero, giusto o sbaglio, noi o voi. L'autrice si è infiltrata in incognito in gruppi xenofobi e islamisti scoprendo che, per quanti si odino, non possono fare a meno l'uno dell'altro, formandosi su principi come vittimizzazione e demonizzazione e alimentandosi vicendevolmente soprattutto grazie ai media. Raccontando il suo libro a Radio Radicale, Olimpio ha affrontato anche il caso italiano, provando a rispondere a una domanda che a volte ci spaventa porci: perché il terrorismo islamico non ha colpito sul nostro territorio? C'è sicuramente una volontà di evitare scontri con il nostro Paese per non disturbare il corridoio per il Nord Africa, da e per l'Europa. Ma Olimpio individua tre ragioni, escludendo patti tra terroristi e Stato (come fu nel caso del Lodo Moro che permise le scorribande in lunga e in largo il nostro Paese ai terroristi palestinesi e alle sigle a loro vicine) ma anche tra terroristi e mafia vista la difficoltà a interloquire con singoli individui, non già come organizzazioni strutturate. Un elemento sociale: in Italia non ci sono quartieri difficili come Molenbeek a Bruxelles, zone ad alta concentrazione musulmana dove è più facile per i jihadisti reclutare terroristi. Un elemento operativo: l'Italia ha fornito soltanto 130 foreign fighter allo Stato islamico, una cifra pari al contributo di Trinidad e Tobago, un terzo, se non di più, di quanti sono partiti dalla Francia. Infine, l'elemento linguistico: la quantità di materiale disponibile online in lingua italiana non è certo paragonabile all'immensa mole di guide e manifesti prodotti in inglese, ma anche in francese. Il nostro Paese, inoltre, può contare sull'esperienza ormai ventennale delle forze di polizia e della nostra magistratura, attive ben prime dell'11 settembre nel contrasto al terrorismo. Ma c'è un elemento in più che ha premiato l'Italia: la possibilità di effettuare espulsioni. Questo ho permesso alle autorità di cacciare soggetti pericolosi che non avrebbero potuto arrestare. Lo stesso non si può dire, per esempio, dei francesi, in quanto i potenziali terroristi sono cittadini della République. Tuttavia, non si può fare lo stesso quando il terrorismo cresce nell'estremismo politico del Paese. E fronteggiare questo tipo di minaccia richiede non soltanto sforzi maggiori sul piano giuridico e militare ma anche, e soprattutto, su quello sociale. Gabriele Carrer INFOGRAFICA !function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js"); <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/65-organizzazioni-terrorismo-personale-2573229860.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-maggior-parte-delle-sigle-islamiche-sono-in-medioriente-e-sud-est-asiatico" data-post-id="2573229860" data-published-at="1758180320" data-use-pagination="False"> La maggior parte delle sigle islamiche sono in Medioriente e Sud Est asiatico La fine della Guerra fredda ha prodotto un caos geopolitico non indifferente. La scomparsa di due chiari blocchi contrapposti ha favorito un progressivo sgretolamento statuale, oltreché il proliferare di organizzazioni di stampo terroristico, sempre più al servizio tanto di fanatismo settario quanto di rilevanti interessi politici ed economici. In questo quadro, il contrasto al terrorismo internazionale ha sempre rappresentato uno dei principali impegni assunti dagli Stati Uniti. In particolare, è dalla caduta dell'Unione Sovietica che lo Zio Sam ha intensificato questa sua attività, in un contesto globale sempre più incerto, caotico e fondamentalmente irrazionale. Del resto, l'identificazione di una organizzazione straniera come «terroristica» da parte di Washington segue un percorso ben preciso, non esente comunque da un certo grado di (forse inevitabile) discrezionalità. Tutto parte dalla sezione 219 dell'Immigration and nationality act, che prescrive i criteri per poter definire un determinato gruppo come «organizzazione terroristica straniera». In sostanza, si richiede che l'organizzazione non sia (ovviamente) statunitense e che svolga attività considerate terroristiche dalla legislazione americana. Si richiede inoltre che queste attività rappresentino una seria minaccia per gli Stati Uniti e i suoi cittadini. A occuparsi della designazione è il Bureau of counterterrorism che fa capo al dipartimento di Stato e che ha a disposizione un budget annuale che si aggira intorno ai 230 milioni di dollari. Nella fattispecie, il Bureau identifica un'organizzazione potenzialmente pericolosa e prepara un dossier di informazioni, in base a cui si dimostri che il gruppo sotto esame rientri nei suddetti criteri. A questo punto, il segretario di Stato, in accordo con i dipartimento di Giustizia e Tesoro, decide se dichiarare o meno l'organizzazione terroristica. In caso affermativo, il dipartimento di Stato ne informa il Congresso che ha sette giorni di tempo per bloccare eventualmente la designazione. Se non ci sono opposizioni, il provvedimento viene pubblicato sul registro federale per entrare così in vigore. Dal 1997 a oggi, il Bureau annovera attualmente 65 sigle terroristiche, la maggior parte delle quali concentrate in Medioriente e nel Sud Est Asiatico. L'ultima a essere inserita è stata la branca sahariana dell'Isis, insieme al suo leader Adnan Abu Walid Al Sahrawi, lo scorso 23 maggio: si tratta di un gruppo che ha rivendicato l'imboscata dell'ottobre 2017 in Niger, a Tongo Tongo, in cui sono rimasti uccisi quattro soldati americani e cinque nigeriani. Sempre nel 2018, sono state dichiarate terroristiche altre filiali locali dello Stato Islamico: in Bangladesh, Africa Occidentale e Filippine. Inoltre, restando in ambito islamista, è del 2012 la decisione del Bureau di inserire nella lista il fronte Al Nusra: gruppo jihadista, tra i protagonisti della guerra civile siriana, che è sorto da una costola di Al Qaeda (dichiarata invece organizzazione terroristica nell'ormai lontano 1999). Tra i gruppi presenti nella lista figurano poi anche l'organizzazione palestinese Hamas e quella libanese Hezbollah, inserite entrambe nel 1997. Si tratta storicamente di due entità profondamente anti-israeliane, che - pur essendo caratterizzate da differenze di carattere religioso - intrattengono legami con un nemico degli Stati Uniti come l'Iran. Nel 2013, il Bureau ha poi inserito nella lista l'organizzazione nigeriana islamista Boko Haram, nota per attentati e rapimenti, oltre che per le sue connessioni con lo Stato Islamico. Tra i gruppi designati di recente, nel 2017 troviamo inoltre il movimento Hizbul Mujahideen: nata nel 1989, si tratta di un'organizzazione separatista del Kashmir, dalle tendenze filopakistane, che negli anni si è resa protagonista di svariati attacchi armati. Ciononostante non bisogna dimenticare che dalla lista delle organizzazioni terroristiche si possa anche uscire. Sotto questo aspetto, la responsabilità principale appartiene, ancora una volta, al segretario di Stato, che detiene il potere di revocare lo status: in particolare, può farlo nel momento in cui ritenga o che siano mutate delle circostanze rispetto alla data di designazione o che non siano più ravvisabili rischi per la sicurezza nazionale statunitense. Anche se, spesso, le organizzazioni tolte dalla lista ne escono per «cessata attività». È il caso, per esempio, degli khmer rossi: i seguaci del dittatore comunista Pol Pot, responsabili alla fine degli anni Settanta del genocidio cambogiano in cui trovarono la morte più di un milione di persone. Datisi alla guerriglia negli anni Novanta, furono inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche nel 1997, per uscirne due anni dopo quando il gruppo si dissolse definitivamente. Un discorso simile vale anche per l'Armata rossa giapponese, gruppo terroristico inserito nel 1997 ed eliminato nel 2001 con la sua scomparsa. Certo: nel contrasto americano alle organizzazioni terroristiche i cortocircuiti non mancano. Innanzitutto sono noti i legami che alcune di queste entità (si pensi solo ad Al Nusra) intrattengono con un alleato storico degli Stati Uniti come l'Arabia Saudita (a dirlo è stato l'allora vicepresidente Joe Biden nel 2014). In secondo luogo, anche la Casa Bianca talvolta ci mette del suo. Non dimentichiamo, per esempio, che, pur di non compromettere il disgelo con l'Iran, Barack Obama avrebbe bloccato un'indagine federale sul traffico di droga attuato da Hezbollah: un traffico dal valore di centinaia di milioni di dollari, che metteva seriamente a rischio la sicurezza nazionale americana. Contraddizioni pesanti, insomma. Che non sono state prive di conseguenze.Stefano Graziosi <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/65-organizzazioni-terrorismo-personale-2573229860.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="non-solo-boko-haram-un-gruppo-africano-vuole-uno-stato-basato-sui-dieci-comandamenti" data-post-id="2573229860" data-published-at="1758180320" data-use-pagination="False"> Non solo Boko Haram: un gruppo africano vuole uno Stato basato sui Dieci comandamenti Negli ultimi anni si è assistito a un aumento considerevole delle sigle terroristiche presenti nel continente africano. La più nota è probabilmente l'organizzazione islamista nigeriana, Boko Haram, che, nata nel 2002, è particolarmente attiva in imboscate, attacchi terroristici e rapimenti. Senza dimenticare poi i suoi legami con l'Isis. Il gruppo si finanzia principalmente attraverso riscatti, estorsioni e legami con altre entità terroristiche. In Somalia è invece presente, dal 2006, il gruppo jihadista Al Shabaab, particolarmente vicino ad Al Qaeda, con cui recentemente si è fuso. Le sue attività terroristiche vengono condotte soprattutto in Somalia e in Kenya. In particolare, uno dei principali bersagli dell'organizzazione risulta la minoranza cristiana somala. Un'altra sigla pericolosa è poi quella di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim), un'ulteriore organizzazione islamista che mira principalmente a rovesciare il governo algerino con l'obiettivo di fondare uno Stato islamico: anche in questo caso, la fonte di finanziamento risulta primariamente quella dei riscatti e delle estorsioni. Più in generale, varie affiliazioni di Al Qaeda e dell'Isis si stanno diffondendo e rafforzando in buona parte dell'Africa Occidentale. A lanciare l'allarme è stato d'altronde recentemente il maggior generale statunitense Marcus Hicks, il quale ha recentemente dichiarato: «Sia le filiali dell'Isis che quelle di Al Qaeda dovrebbero essere prese sul serio, entrambe hanno portato a termine o tentato attacchi agli interessi occidentali in Africa ed entrambe vogliono continuare ad attaccare gli interessi occidentali qui, e quindi di attaccare l'Occidente al di là di qui». Tuttavia, per quanto la maggior parte del terrorismo africano appartenga al jihadismo di matrice sunnita, ci sono delle eccezioni. La più rilevante è forse quella dell'Esercito di resistenza del Signore, un gruppo guerrigliero che opera nell'Uganda settentrionale. La sua linea ideologica è particolarmente composita, mescolando elementi delle religioni tradizionali africane, cristianesimo e nazionalismo degli Acholi. L'obiettivo della sigla è fondare uno Stato teocratico, basato sui Dieci comandamenti. La sigla è guidata da Joseph Kony che si definisce portavoce di Dio, pur essendo accusato, tra le altre cose, di crimini di guerra.Stefano Graziosi
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