2021-02-13
Malumori in casa 5 stelle. Manca il superministero e preoccupano i Dibba boys
Alessandro Di Battista (Ansa)
Barbara Lezzi grida al tradimento: «Non hanno fuso Ambiente e Sviluppo come promesso». Alessandro Di Battista osservato speciale: lo strappo sarà ricucito o si metterà a capo della fronda?«In fondo è l'addio zero. Ce ne sono altri due, come i mandati». Prevale la voglia di scherzare nel mondo a 5 stelle, di imitare Beppe Grillo che ultimamente butta tutto in vacca. Forse non c'è altra strada per spiegare la scelta più coerente degli ultimi tempi, quella di Alessandro Di Battista che ieri ha ribadito il lungo addio: «È finita una bellissima storia d'amore, sono molto tranquillo e convinto delle mie idee. Sono felice di avere preso una decisione difficile ma in linea con quello che sono io». Poi la minaccia più terribile: «Ora non ho alcun futuro politico, sto scrivendo libri».Mentre lui si allontana parte una nuova fibrillazione, quella sul numero dei ministri del Movimento 5 stelle. Sembra che nella lista preparata per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ci siano più ministri del Pd ma lo scenario reale è accettabile: quattro, maggioranza relativa, più Roberto Cingolani (considerato di area) alla Transizione ecologica. Non lo è per gli intransigenti come Barbara Lezzi: «Il superministero chiesto da Grillo non c'è perché l'Ambiente non sarà fuso con lo Sviluppo economico. E il ricco ministero dello Sviluppo sarà affidato alla Lega con Giorgetti. Noi non abbiamo votato per questo sulla piattaforma Rousseau». Il rischio di un altro fronte è alto, la balcanizzazione continua nel nome di Dibba. Lo zappatore muscolare del movimento sembrava un Prometeo incatenato al Caucaso. Dopo avere metabolizzato a fatica gente che neppure nominava per non appesantire l'alito (il «partito di Bibbiano» e «il senatore di Rignano»), all'idea di doversi accompagnare con lo «Psiconano» e «Dracula» - per i non iniziati nell'ordine il Pd, Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Mario Draghi -, ha deciso di liberarsi e ha gridato ai quattro venti quello che somiglia un vaffa a Grillo medesimo. «Scriverò, farò le mie cose, prenderò le mie posizioni in maniera più libera di prima. Tutto qua». C'è un però che il giorno dopo diventa di piombo. Sul pianeta grillino non sono pochi a credere che sia un escamotage, in fondo l'ennesimo, di uno spirito libero che non ha alcun ruolo parlamentare, quindi non deve rinunciare a nulla. Né al potere, né al denaro. Può uscire e rientrare usando le sliding doors della politica. L'ultima sua dichiarazione è ambigua: «Se Draghi farà cose buone le sosterrò. Mi interessa il benessere dei cittadini, in particolare della classe media. Sostengo tutto ciò che è piccolo, oggi criticare il presidente Draghi è un sacrilegio». Sembra quasi che il motociclista della cordigliera andina (copyright di Che Guevara), il reporter dal Madagascar, il Konrad Lorenz senza laurea del Guatemala, il marinaio conradiano d'acqua dolce, abbia semplicemente voglia di un altro ruolo alternativo, com'è nella sua natura: provare l'ebbrezza da Cincinnato di Roma Nord. E gli altri lo assecondano. Ha detto bene Luigi Di Maio, che lo conosce da una vita: «Ha fatto una scelta che rispetto, ma spero e credo che non sarà un addio».In definitiva il problema non è lui ma i suoi. Al V-Day in streaming per il «No a Draghi» il 9 febbraio avevano partecipato in tanti. C'erano i senatori Mattia Crucioli, Barbara Lezzi, Bianca Granato, Rosa Abate, Wilma Moronese e i deputati Pino Cabras, Alvise Maniero, Andrea Colletti, Leda Volpi, Jessica Costanzo. Se non votano la fiducia o comunque vanno contro le indicazioni del movimento, per loro il regolamento prevede l'espulsione. I leader sono pronti a chiudere un occhio per evitare ulteriori scossoni, ma è anche possibile che i secessionisti potenziali decidano di dar vita a un gruppo autonomo con Di Battista ispiratore esterno. Una piccola casa ad attendere gli ospiti ci sarebbe, è Italexit di Gianluigi Paragone. Il quale, avendola presa da tempo, condivide la decisione: «La scelta non ha bisogno di commenti, si rispetta perché rispecchia la generosità di Alessandro. È una scelta che so profondamente sofferta, gli arriva dal cuore e lo rende per alcuni versi unico. Ha detto: basta, io un'ammucchiata del genere non riesco proprio a mandarla giù». Traduzione: percorso comune, porte aperte.Con il suo gesto, Dibba ha ottenuto l'onore delle armi da un nome pesante come Davide Casaleggio, che butta lì un'indicazione politica tutt'altro che marginale: «Apprezzo la sua onestà intellettuale, il movimento ha proprio bisogno della sua coerenza. Chi oggi guida l'azione politica non dovrà gestire questo momento con arroganza oppure la larga parte contraria alla scelta potrebbe allontanarsi». È un appello alla coesione e lascia intendere che il biglietto in mano all'esule non sia di sola andata.Curiosamente, Di Battista sente arrivare applausi sia da sinistra (Stefano Fassina twitta «Abbiamo bisogno di te e di tutti i no possibili a Draghi») che da destra. Giorgia Meloni: «Rispetto la sua posizione. I 5 stelle si sono alleati con tutti tranne che con noi, ma perché non l'abbiamo voluto noi». L'uscita teatrale è invece duramente bocciata dal primo sindaco grillino della storia, quel Federico Pizzarotti scappato per occuparsi di Parma. «Alessandro è fermo a dieci anni fa e non si è mai sporcato le mani», ha detto a Huffington Post. «Mai una proposta di legge, mai un'interpellanza. Così è facile. Forse si è conclusa la farsa e il populismo sta finendo». A sera lo showdown viene sostituito dal mal di pancia del movimento rispetto agli scenari ministeriali, c'è anche una litigata fra Stefano Patuanelli e Pierpaolo Sileri per continuare ad avere un posto al sole. Dicono di essere arrivati a Roma otto anni fa per «combattere i draghi, piccoli e grandi», ma sgomitano come gli altri. Eccome se sgomitano.