2021-09-21
«Lasciate in classe gli asintomatici. Non rischiano e fanno gli anticorpi»
Gian Vincenzo Zuccotti (Ansa)
Parla Gian Vincenzo Zuccotti, preside di medicina alla Statale e responsabile pediatria del Sacco: «Tra i banchi l'infezione da Covid va trattata come un'influenza. Anzi: tenendo in circolazione il virus i più piccoli aiutano a renderlo endemico».Con il suo team universitario, la scorsa primavera aveva studiato e messo a punto un tampone salivale non invasivo, facile da utilizzare a casa per mamme e papà che devono controllare lo stato di salute dei figli, ma anche in classe per identificare i positivi senza l'intervento di personale sanitario. Gian Vincenzo Zuccotti, preside della facoltà di medicina e chirurgia della Statale di Milano, responsabile pediatria e pronto soccorso pediatrico dell'ospedale Sacco e dell'ospedale dei bambini Buzzi di Milano, l'aveva però detto subito che il tampone andava programmato prima dell'inizio dell'anno scolastico, in modo che entrassero in classe unicamente gli alunni risultati negativi. Il test è stato applicato solamente in alcune scuole della Lombardia ma poco male, commenta l'esperto, perché comunque «dobbiamo normalizzare questa infezione partendo dai bambini».Professore, spieghiamo innanzitutto come funziona il tampone.«Si tratta di un bastoncino, con una spugnetta all'estremità che va tenuta per uno o due minuti nella bocca del bambino, ma anche dell'adulto, fintanto che si riempie bene di saliva. Per questo è stato definito una sorta di lecca lecca. Riposizionato nel suo contenitore va mandato nei laboratori, dove viene processato nel giro di qualche ora come gli altri test molecolari».Non è un test rapido?«No, va a cercare il genoma del virus Sars-Cov-2: per questo è preciso, altamente affidabile. La metodica è quella dei Pcr, abbiamo solo cambiato lo strumento rendendolo accessibile ai bambini e alle persone con fragilità quali anziani o disabili, che non sopporterebbero un tampone nasofaringeo ripetuto nel tempo. Altra cosa sono i test salivali antigenici che si vogliono proporre nelle scuole: non sono in grado di rilevare cariche virali basse nei bambini, che sono prevalentemente asintomatici. Non bisogna fare confusione con quei tamponi inadeguati, per i quali si buttano soldi senza riuscire a identificare chi è portatore di virus».Siamo in ritardo, per utilizzare il test come screening?«Ormai non serve, bisogna andare oltre. È cambiato lo scenario, con la popolazione vaccinata all'82% con una dose, con la terza dose prevista per i più fragili e considerato che i vaccinati, se si reinfettano, si ammalano in maniera non grave, a scuola i bambini possono essere lasciati tranquilli senza continuare a sorvegliarli». Ha rassicurato milioni di genitori, affermando che «il Covid in età pediatrica va trattato come una normale influenza». È ora di smetterla con inutili allarmismi?«Oggi possiamo dire che questa infezione può essere trattata come altre che colpiscono il bambino. Se si infettano è in forma leggera, a bassa carica virale. Non solo, mantenendo in circolazione il virus aiutano a raggiungere l'auspicata immunità di gregge, a rendere endemico il Covid. Quindi teniamo a casa solo il bambino sintomatico, che sta male e torniamo alla normalità pre pandemia».Superata la fase acuta, poi il piccolo torna a scuola dopo aver fatto il tampone?«Il test non è necessario. E non serve mettere in quarantena tutta la classe o più classi, come già sta capitando in molte scuole. Se agiamo con ritrovata normalità si evita di far ripartire la dad, incubo per gli alunni ma anche per i genitori costretti a rimanere a casa con mille problemi di lavoro e per l'economia del Paese».Però le vaccinazioni non procedono rapide in tutta Italia. «Il ministero della Salute, così come si è mosso con il “semaforo a colori", aprendo e chiudendo territori a seconda del rischio, altrettanto dovrebbe fare consentendo che in Regioni come la Lombardia, dove siamo al 90% di adesione alla campagna vaccinale, si parta subito con la scuola in normalità. Possiamo permettercelo».Perché virologi, ma anche pediatri, continuano a ripetere che i bambini sono determinanti nella diffusione del virus e mettono a rischio il loro intorno familiare?«Sono dichiarazioni che vanno bene per tutte le stagioni, invece andrebbero declinate a seconda della situazione che si vive. L'Italia ha un'ottima copertura vaccinale e sappiamo che i bambini si possono infettare, ma quasi sempre sono asintomatici, cioè non sviluppano alcun segno clinico di questa malattia, o paucisintomatici, con sintomi lievi. Molto pochi sono quelli che finiscono in ospedale, se capita quasi sempre è perché erano sì positivi al tampone ma soffrivano di altre malattie croniche. E nel nostro centro solo 54, in un anno e mezzo, hanno avuto bisogno di cure ospedaliere per aver sviluppato la Mis, sindrome infiammatoria multisistemica che in rari casi interessa i pazienti in età pediatrica con Covid».Come mai c'è tanta paura di lasciare che i minori si immunizzino naturalmente, quando la protezione da malattia è più forte e più duratura e il Covid, se li colpisce, raramente crea loro problemi?«Posso solo risponderle che bambini entrano in contatto con moltissimi virus, sanno utilizzare l'immunità innata per aggredire infezioni nuove e sono in grado di gestire la malattia. Ricordiamoci poi, che l'immunità da vaccino tende a diminuire, quindi mantenendo la circolazione virale tra i piccoli si può aiutare a mantenere viva la memoria immunologica anche negli adulti».L'Ema approverà vaccini per la fascia 6-11 anni, «poi si scenderà d'età, fino ad arrivare ai neonati», ha dichiarato Marco Cavaleri, responsabile della task force vaccini. C'è bisogno di vaccinare fin nella culla?«Vaccinare i bambini non è la priorità, tranne che per le categorie a rischio. Torniamo alla normalità, per i più piccoli è un imperativo urgente».
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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