2020-09-02
Zingaretti porta la faida dem allo scoperto
Il segretario del Pd lava i panni sporchi del partito in una lettera a «Repubblica». Critica le ipocrisie di chi agisce per destabilizzare. Poi attacca il fuoco amico («usano la questione del taglio dei parlamentari come una clava») giurando che lui «avanza in avanti»... È arrivata l'ora di «avanzare avanti». Il compagno segretario Nicola Zingaretti ha le idee chiare: non bisogna avanzare indietro. Macché. E nemmeno avanzare restando immobili. Non scherziamo. Il Pd resta l'erede, seppure un po' malconcio, del partitone che fu di Togliatti e Berlinguer, dunque non si scherza: può solo «avanzare avanti» magari migliorando in meglio (e non in peggio), alzandosi in alto (e non in basso) e fortificandosi in forza (e non in debolezza). Ora che finalmente la linea è chiara (punto uno dell'ordine del giorno), si può passare al punto due: immediata verifica della compattezza della cellula. In effetti: mentre il compagno segretario avanza avanti, non è che per caso gli altri si fermano fermandosi? O scappano scappando? O spariscono sparendo? Il sospetto viene leggendo l'accorata lettera che Zingaretti ha scritto ieri a Repubblica. Lo sforzo linguistico è notevole, la creatività futuristica pure. Infatti il segretario scrive proprio così: «Far avanzare avanti, nei processi reali, le nostre idee e i nostri valori per un'Italia diversa». Zang Tumb Tumb. A che serve far ripartire la scuola quando ci sono ai vertici dei partiti tali professori di italiano? Basta il loro insegnamento. Il problema è che dietro questo genio espressivo, dietro questa prosa come al solito lieve e al contempo creativa, pare celarsi un dramma umano. Una solitudine angosciata. Una inquietudine inconsolabile. Il che spiega la creatività linguistica: come per Leopardi e Pavese, anche il talento letterario del segretario Pd, evidentemente, è figlio della disperazione. La poetica zingarettiana si configura infatti, in questa sua opera fondamentale, con un drammatico appello ai suoi compagni di viaggio: se volete far cadere il governo, ditemelo in faccia, chiede in pratica il nostro (Il titolo del quotidiano riassume: «Stufo delle ipocrisie, chi vuol votare lo dica»). Ma ciò che rende sorprendente (fors'anche sconcertante) la narrazione del segretario è che egli spiattella in pubblico tutti i problemi di equilibrio della sua maggioranza e anche del suo partito a meno di venti giorni da un appuntamento importante con le urne. Se stiamo insieme ci sarà un perché, s'interroga il leader democratico. Ma il fatto è che, in piena campagna elettorale, quel perché non gli appare chiaro. Per nulla. E così non trova di meglio che aprire una specie di verifica di governo in forma epistolare. Anche un po' un congresso del Pd in forma epistolare. La creatività dell'autore, evidentemente, non è soltanto letteraria. Per l'amor del Cielo, restano alcuni stilemi un po' consunti. La prima parte dell'epistola di Nicola ai confratelli, per dire, si sofferma sui risultati ottenuti dal suo governo. «Siamo riusciti a salvare la Repubblica da un inesorabile declino» (davvero? E il Pil a meno 12,8 per cento che cos'è?). «Abbiamo gestito bene l'emergenza Covid» (davvero? Con gli aperitivi a Milano?). «C'è stato un ricollocamento strategico dell'Italia nei rapporti con l'Europa» (In effetti: si vede anche sul tema dell'immigrazione). Ma finite le scontate cerimonie di rito, comincia la parte del dolce stilnovo. E qui il poeta fa emergere il suo dramma, l'angoscia, il senso di abbandono: «In queste settimane è cresciuta una critica molto forte e pretestuosa sulle difficoltà di trovare un equilibrio nei rapporti tra Pd, 5 stelle e Italia viva, nel governo del Paese», scrive infatti. E poi attacca le «furbizie», i «bizantinismi», le «ipocrisie di chi agisce per destabilizzare». Ma da dove arriverebbero tutte queste cose brutte? Dai rivali in amore? Macché. Dai suoi affini. Dagli alleati. E dal suo stesso partito. Ecco qui l'origine di cotanta sofferenza. Ha il cuore trafitto. Da amati compagni o ex.Gli esegeti della poetica zingarettiana, infatti, sono piuttosto concordi nell'individuare Renzi fra i principali obiettivi del suo malessere. Ma poi ci sono anche quelli che «usano il no al referendum come una clava per colpire il Pd». E alcuni di questi sono anche dentro il Pd. Infatti, aiutandoci con l'analisi del testo, scopriamo che l'autore lamenta la crescita di uno «spirito polemico contro il Pd e contro la scelta del Sì». E dove è cresciuto questo spirito polemico? «Soprattutto fuori di noi». Attenzione: soprattutto. Ma non esclusivamente. Soprattutto. Dunque significa che ci sono pezzi del Pd che vogliono colpire il Pd. Così come si sono pezzi della maggioranza che vogliono colpire la maggioranza. E pezzi del governo che vogliono colpire il governo. Insomma, un bordello. E questo bordello dovrebbe governare l'Italia e condurla fuori dalla più grave crisi di tutti i tempi? Non ci crede nemmeno lui. Ed è per quello che Nicola dell'epistola (con la e) si dispera. La destra? Ah la destra sì che «si è saputa unire». Che invidia. «Mentre la maggioranza di governo è rimasta divisa». Pensa un po'. «Hanno prevalso dubbi e distinguo davvero incomprensibili e difficilmente tollerabili». Davvero? Senza riuscire a «garantire un moto unitario». Ne prendiamo atto. Ma, scusi segretario, chi lo doveva garantire il «moto unitario»? Mio fratello? Cip&Ciop? Il fornaio di Incisa Scapaccino? Non c'era forse lei a guidare il Pd in questi mesi? E il Pd non è forse uno dei due partiti più importanti di questa maggioranza? E se la maggioranza è rimasta divisa di chi è la colpa? Qui gli esegeti sono concordi: la ricercata poetica zingarettiana si scontra crudelmente contro il muro della realtà. E allora l'autore non può far altro che rifugiarsi nell'invenzione linguistica. Avanza avanti tu, che a me vien da ridere. O, forse, da piangere.
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)
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