2020-06-02
Zangrillo sfida i talebani della quarantena
Il primario del San Raffaele ha spiegato con cognizione di causa che l'epidemia «clinicamente non esiste più», ossia ha perduto il suo impeto letale. Protagonista sul campo contro il Covid-19, ora è bersagliato dai tecnici del governo, che con il lockdown vanno a nozze. Clinicamente. C'è un avverbio che fa la differenza, lo spartiacque fra l'evidenza scientifica e il bar sport mediatico sempre più frequentato, il Mississippi che divide il pensiero del medico che ogni giorno sta in terapia intensiva e lo scienziato da laboratorio più avvezzo al microscopio e al collegamento tv. «Il Covid clinicamente non esiste più e terrorizzare il Paese è qualcosa di cui qualcuno si deve prendere la responsabilità». Parole forti, decise, come il carattere di un numero uno. Perché a parlare è Alberto Zangrillo, primario del reparto di terapia intensiva del San Raffaele di Milano, come dire Horatio Nelson durante la battaglia di Trafalgar sulla Victory, colui che da tre mesi sta sulla tolda a combattere e veder vivere o morire i contagiati, colui che dal respiro affannoso di chi chiede aiuto sa riconoscere se sarà salvezza o sarà l'ultimo. Un'uscita interpretata come provocatoria, alla quale il presidente del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli, risponde piccato: «Accolgo queste frasi con grande sorpresa e assoluto sconcerto». E la sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa (Pd), laureata in Scienze politiche ed esperta di storia della Chiesa aggiunge: «È un messaggio sbagliato che rischia di confondere gli italiani». Merita rispetto, il professor Zangrillo, punta di diamante di un'eccellenza sanitaria mondiale, l'unico ospedale italiano a poter contare sulla partnership di ricerca con il Mit di Boston. È anche il medico di Silvio Berlusconi, ma questo è un dettaglio perché la salute è il bene più grande e tutti noi avremmo il desiderio di farci curare da un fuoriclasse. Lui lo è. Chiarito il contesto è facile cogliere il senso più profondo di un'uscita impervia. «La mia dichiarazione nasce dall'osservazione clinica, dal confronto con la direzione scientifica». In questi mesi il San Raffaele non ha solo curato, ma monitorato, assunto e incrociato dati, evidenziato percorsi clinici. Il numero dei ricoverati, il numero delle vittime, la gravità dei malati in arrivo, le patologie accessorie, il protocollo di cura affinato con l'esperienza sul campo. Un lavoro micidiale messo a disposizione della comunità scientifica internazionale, che fa aggiungere a Zangrillo: «Non ho mai detto che il virus è mutato né che non c'è più, ma che ora è uno dei tanti in circolazione. Ho visto con i miei occhi le drammatiche conseguenze dell'epidemia nella sua fase più acuta». Per educazione non aggiunge: mentre altri facevano passerella in tv, mentre troppi parlavano senza mai avere avvicinato un malato. Un uomo che muore è pur sempre diverso da un vetrino studiato al microscopio. La polemica diventa tempesta, i professori s'inalberano, soprattutto quelli del ministero della Sanità, seduti accanto ai politici di governo che vorrebbero un lockdown permanente per impedire che l'italiano si accorga, una volta uscito per strada, dello scempio economico provocato. Senza contare che il cittadino respinto in casa a colpi di Dpcm (leggi pur sempre secondarie) è più facile da governare, addirittura da condizionare da parte di un esecutivo sempre più incerto e traballante. Il professor Locatelli tiene il freno a mano tirato: «Per avere dimostrazione della persistente circolazione in Italia del virus basta guardare al numero di nuovi casi confermati». Il coordinatore del Cts governativo, Agostino Miozzo, va oltre con una gaffe imbarazzante: «Ammesso e non concesso che affermazioni simili siano supportate da informazioni scientifiche, sono parole superficiali e fuorvianti, decisamente pericolose».Dopo la bufera Zangrillo non indietreggia di un millimetro. Tiene a precisare qualcosa che gli sta a cuore rispondendo presumibilmente a Miozzo: «Trovo fastidioso che in questo paese i clinici siano da una parte e gli scienziati dall'altra. Noi dobbiamo intenderci sulla qualifica di scienziato perché se andiamo a vedere i parametri io sono molto più scienziato di tanti autoproclamatisi tali, anche facenti parte del Comitato tecnico scientifico. Nel mondo, per essere scienziati bisogna produrre scientificamente e la produzione scientifica ha parametri precisi: basta andare nei motori di ricerca e nelle librerie internazionali, e vedere quello che ha prodotto Zangrillo. Alla fine se vogliamo facciamo la classifica».Un punto esclamativo per mettere a tacere i burocrati della sanità. La tesi del numero uno del San Raffaele è sostenuta anche da Matteo Bassetti, direttore della clinica di malattie infettive San Martino di Genova. Un altro medico sul campo. «La potenza di fuoco del virus di oggi non è la stessa di due mesi fa, i malati che arrivano oggi sono meno gravi di quelli di due mesi fa». L'infettivologo Massimo Galli dell'ospedale Sacco di Milano aggiunge una considerazione importante: «I contagi di oggi sono i tamponi arretrati che molte persone hanno chiesto di avere e hanno finalmente avuto. Dobbiamo vedere cosa succede dopo l'8 giugno per capire se è davvero successo qualcosa dopo le riaperture. Quello che stiamo vedendo adesso è in larghissima misura, direi per la quasi totalità, qualcosa che è avvenuto parecchio prima».Il tema è decisivo, lo scontro fra virologi è titanico. Va considerata anche la strisciante delusione di chi, dopo mesi da re della tv, dovrà tornare nell'ombra dei laboratori. Non è un problema per Zangrillo, che numero uno per la comunità scientifica era e tale rimane. Chiude così: «Non bisogna fuorviare gli italiani? Giusto, per questo ho parlato. È opportuno continuare temporaneamente a osservare le norme prudenziali, ma gli italiani hanno diritto di sapere l'evidenza clinica del virus, quindi la verità». Qualcosa che sul cupo pianeta del governo Conte fa paura.