2023-03-31
Wembanyama, l’unicorno per il circo Nba
Non ci sono sorprese, al draft di questa estate la prima scelta sarà il francese di 19 anni: è alto 2,19 metri e ha un’apertura di braccia di 2,35. A differenza degli altri giganti della lega, bestioni dinoccolati e lenti, corre e sa tirare. LeBron James: «È un alieno». Gli unicorni fanno cose che gli altri essere viventi sulla terra possono solo immaginare come emblema di buon auspicio, risplendono quando si muovono, agiscono con purezza e coraggio, spiccano voli che li catapultano nell’aere. Se si osserva bene il terreno su cui galoppano, si scorgerà una scia di polvere di stelle. Lo riferiva Ctesia di Cnido, storico greco del quarto secolo avanti Cristo. «Ma in questo caso non siamo di fronte a un unicorno, questo ragazzo è un alieno, mai visto un tipo così, è un vero talento», ha commentato sua maestà LeBron James riferendosi alle prodezze del signor Victor Wembanyama. LeBron non sarà Ctesia, ma l’occhio ce l’ha migliore lui. Classe 2004, 219 cm di altezza a piedi scalzi (che con lo scarpone da giocatore di pallacanestro diventano addirittura 225), per 235 cm di apertura di braccia, questo Gulliver dallo sguardo imberbe sembra aver appena sgraffignato la crostata della nonna con aria birichina, e però sul parquet ha già convinto l’emittente televisiva dell’Nba a trasmettere le sue partite disputate con la casacca dei Metropolitans, campionato francese. In America si portano avanti. Il ragazzo sarà la prima scelta (la più scontata da decenni) nel draft del massimo torneo di basket del mondo, a maggio se lo contenderanno in tanti: si parla degli Houston Rockets, dei San Antonio Spurs, dei Detroit Pistons. La franchigia che si aggiudicherà i suoi servigi, grazie all’aura che si svilupperà - negli Stati Uniti lo chiamano hype - aumenterà l’indotto dei suoi affari di circa 500 milioni di dollari. E già comincia il tanking delle squadre meno attrezzate. La pratica, nel gergo Nba, corrisponde grossomodo al perdere di proposito più partite possibili durante la stagione per poter ottenere maggiori possibilità di scegliere il miglior giovane esordiente ai draft dell’anno successivo, per venire incontro al regolamento del torneo nordamericano. Tuttavia il dirigente Nba Adam Silver ha ammonito i potenziali tankers: «Le squadre sono sempre più scaltre e creative, ma come si muovono loro, ci muoviamo anche noi per creare un sistema sempre migliore. Con i nuovi criteri di redistribuzione, anche le tre peggiori franchigie della lega avranno alte possibilità di non prenderlo». Victor, dal canto suo, pregusta il futuro: «Ringrazio LeBron per il raffronto con gli alieni, non mi sono mai piaciuti gli unicorni», ha replicato restando coi piedi per terra, e per lui è molto più di un eufemismo. Continuando: «Cerco di essere originale in tutto ciò che faccio, è una cosa che mi viene dall’anima. Non riesco nemmeno a spiegarlo, cerco solo di essere naturale». Non sono tanto le sue dimensioni gargantuesche a stupire. Quelle si sono già viste ai tempi del colosso lituano Arvidas Sabonis, di Shaquille O’Neal, del re delle schiacciate Kareem Abdul Jabbar. Il fatto è che Wembanyama ai rimbalzi guarda tutti come se giocasse a Lilliput - e fin qui niente di strano - ma tira da tre punti come un’ala piccola, stoppa come un centro, è financo agile a dispetto della struttura che lo vorrebbe simile a un animalone dinoccolato. Qualcuno dice somigli a un Kevin Durant capace di difendere come Rudy Gobert, tarantolato come un Gianmarco Pozzecco dei bellissimi tempi che furono. In parole povere, quando serve, sa muoversi e correre come un atleta molto più basso di lui. Un animale mai visto sul parquet, appunto «l’unicorno». L’età è dalla sua parte: 19 anni vissuti nella zona di Versailles, terra di sovrani piuttosto noti, assieme a papà Felix Wembanyama, origini congolesi, ex saltatore in lungo alto 198 cm, e a mamma Elodie de Fautereau, 190 cm, ex cestista: è stata lei ad avviare il figlio, invaghito sulle prime dei campi da calcio nel ruolo di portiere e del tatami di judo, verso i tabelloni della pallacanestro. Come biasimarla. All’età di 8 anni, il pargolo era alto 170 cm, a 11 alcuni giornalisti lo avevano scambiato per un assistente di gioco, anziché per un ragazzino delle giovanili e a 15 calzava il 53 di scarpe. Ci sono anche due fratelli, Oscar, agonista di pallamano, ed Eve, a sua volta cestista. Ma guai a parlare di pressione indotta: «I miei genitori non mi sono mai stati col fiato sul collo. Se avessi deciso di intraprendere la carriera di avvocato, mi avrebbero incoraggiato e non sarebbero rimasti delusi dall’eventuale scelta di abbandonare lo sport. Mi hanno però sempre insegnato la cultura del lavoro. Quando ho scelto di fare il cestista, papà mi ha insegnato a correre con equilibrio, usando al meglio busto e gambe, migliorando la postura. Mamma, diventata allenatrice, mi ha chiamato nelle squadre in cui lavorava». Adesso però ci si immagina il figlio volare oltreoceano. Non a caso, Wembanyama ha preferito rescindere il contratto con l’Asvel Villeurbanne per passare ai Metropolitans 92. Entrambi club del campionato transalpino, ma la casacca indossata attualmente gli consente di giocare una sola partita alla settimana, evitando lo stress e i potenziali infortuni del’Eurolega. Non scordando che ai Metropolitans ha trovato Vincent Collet, allenatore mecenate, quasi padre putativo per lui, capace di organizzargli un tour promozionale negli States. In Francia sanno quanto sia importante preservarsi il gioiellino di casa per vederlo trionfare in nazionale, più che nei club da cui presto si affrancherà per spiccare il volo nella terra dei giganti veri. Lasciando dietro le spalle numeri già sostanziosi: nel 2019 è stato il secondo giocatore più giovane di sempre a debuttare nella Euro Cup, nel 2020 viene nominato miglior giovane della stagione nella Lnb Pro A, nel 2021 ha chiuso la sua annata con una media di 9,4 punti, 5,1 rimbalzi, 1,8 stoppate. «Sono un osservatore. Guardo i campioni per imparare da loro. Osservo le movenze di Giannis Antetokounmpo, di Kevin Durant, mi ispiro alla loro tecnica, rubo qualcosa a loro per affinare il mio repertorio. Mi piace pensare al giocatore di basket come al giocatore di scacchi, un tipo capace di prevedere le mosse degli avversari, anticiparle, evolvendo la propria personale prospettiva strategica», spiega a L’Equipe. Con un pensiero agli idoli di sempre: «Penso ogni giorno a Kobe Bryant, alla sua tragica scomparsa. Quando ho dei dubbi su me stesso, non mi sento sicuro di qualcosa, immagino sempre a che cosa farebbe Kobe al mio posto e di colpo mi rassereno». Non è la sua unica ricetta per calmare le ansie incipienti: Victor ama disegnare e costruire coi mattoncini della Lego. Uno scacchista, ma anche un architetto di traiettorie future.