2019-04-11
Waterloo, la sfortuna e un doppiogiochista cambiarono l’Europa
Nella piana belga la disfatta di Napoleone, tradito dalla pioggia e dalle manovre di Joseph Fouché per affrettare la fine dell'imperatore.Nonostante sia quasi estate, piove con estrema violenza su Waterloo, il 18 giugno 1815. Il cielo è talmente oscurato dalle nuvole nere, che non sembra nemmeno giorno. Qua e là, rimbombano cupi i tuoni. Il terreno è ricoperto di fango, avanzare è quasi impossibile. Il «sole di Austerlitz» è molto lontano.Eppure, proprio in quella giornata gli eserciti degli alleati e l'Armée francese stanno per affrontarsi. Bonaparte non ha avuto scelta, se non tornare a combattere. Sia sul versante interno sia su quello estero, le cose si sono fatte difficili. I Cento giorni, cominciati in Francia nell'entusiasmo quasi generale, sono proseguiti stancamente, sino all'avvitamento.Inoltre, le potenze riunite a Vienna per il Congresso hanno votato la sua messa al bando, dichiarando che si batteranno fino all'ultimo non contro la Francia, ma contro colui «che turba il riposo del mondo». L'idea di scindere le sorti di Napoleone da quelle della Francia, - venuta innanzitutto a Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, suo antico ministro degli Esteri, ora passato dalla parte di Luigi XVIII - ha cominciato a sortire i suoi effetti.Del resto, il Corso ha perso il magic touch, il tocco magico. La sua buona stella, nella quale tanto fidava, non lo protegge più. Inanella errori su errori, il primo dei quali è riprendere Joseph Fouché a capo del ministero della Polizia. L'antico giacobino, come sempre, fa il doppio e triplo gioco: assicura il Borbone nuovamente in esilio della sua amicizia, nonostante questi avesse cercato di farlo arrestare poco prima dell'arrivo di Bonaparte. Ancora, tiene rapporti con i sovrani d'Europa, con i congressisti di Vienna, con i possibili candidati al trono; infila ovunque le sue spie, promette a destra e manca, intriga con i nemici del padrone, liscia il pelo a giacobini e monarchici.Immediatamente prima dell'ignominiosa fuga di Luigi XVIII, ha gridato ai suoi sostenitori: «Salvate il re, mi incarico io di salvare la Francia!». In realtà, pensa a salvare sé stesso, per cui sulle prime si è messo in posizione attendista, per capire chi sarà il vincitore di quell'ultima, drammatica partita. Gli è bastato poco, per realizzare che Napoleone non può farcela.A quel punto, è diventato lui, Joseph Fouché di Nantes, l'uomo più potente dei Cento giorni, quello a cui tutti si rivolgono. Essendone ben consapevole, si permette commenti feroci sull'imperatore. Ha detto al ministro Etienne-Denis Pasquier: «Quell'uomo non si è corretto in nulla... malgrado la sua sicumera, tutta Europa gli si precipiterà addosso; è impossibile che resista, la faccenda si chiuderà prima di quattro mesi... Mi va bene che tornino i Borbone, solo, occorre che le cose siano sistemate un po' meno stupidamente di come lo sono state lo scorso anno, con Talleyrand... Ci vogliono delle condizioni ben fatte, delle garanzie solide...».Lo scopo di Fouché non è quello di aiutare l'imperatore a riappacificarsi con l'Europa, bensì affrettarne la caduta. Con il consueto opportunismo, non solo si è posizionato in maniera tale da essere «l'ago della bilancia» di quelle settimane, ma intende diventare il personaggio-chiave della successiva transizione. Vuole essere lui a decidere il regime che si stabilirà in Francia. Ha imparato la lezione l'anno prima, quando Talleyrand aveva manovrato per il ritorno di Luigi XVIII e lui era rimasto fuori dai giochi. Non è d'accordo con l'ipotesi di una nuova Restaurazione; ma preferisce fingere, per tenersi aperte tutte le strade. Mentre il ministro della Polizia tesse i suoi malefici fili, Napoleone è sempre più solo e stanco. Se sperava in un ricongiungimento familiare, si è dovuto disilludere. La seconda moglie Maria Luisa si è ben guardata dal tornare, intenta al romanzetto amoroso con il generale austriaco Adam Neipperg. In giro per Parigi si canticchia crudelmente: «Ebbene, Napoleone, non ritorna più la tua Maria Luisa!»Di lì a poco, ella partirà alla volta del suo nuovo regno, cioè il ducato di Parma. Egoista come al solito, non esiterà un attimo ad abbandonare a Vienna il figlio, il piccolo re di Roma, che verrà completamente rieducato dai precettori austriaci, nonché reso dimentico delle sue radici francesi.L'assenza del bambino pesa in modo insopportabile su Bonaparte, che diceva di sé «ho il cuore di una madre». Spesso, gli aiutanti di campo lo sorprendono mentre fissa una miniatura del figlio e mormora: «Mio povero diavoletto!». Ha capito che l'imperatore Francesco e Klemens von Metternich non lasceranno mai la presa sul suo erede, a meno che egli non riesca a vincere in modo così plateale e definitivo, da costringere austriaci e alleati a venire a patti. Un'ipotesi sempre più improbabile.La solitudine è resa più completa dal fatto che la prima moglie, Joséphine de Beauharnais, è morta di polmonite, mentre lui era all'Elba. Rientrato in Francia, ha passato ore a vagare inebetito per i meravigliosi giardini della Malmaison, la raffinata dimora della prima imperatrice.I fratelli, le sorelle, i marescialli di Francia, i generali, si tengono lontani: se non hanno preso le armi contro di lui, hanno optato per una stentata neutralità.Per ridare slancio al regime e restituirgli consenso, Napoleone ha anche deciso di dare una nuova Costituzione alla Francia e ha preparato insieme a Benjamin Constant l'Atto addizionale alle Costituzioni dell'Impero. I risultati, tuttavia, sono stati al di sotto delle aspettative.Vorrebbe trovare una soluzione pacifica con l'Europa, ma nessuno dei suoi avversari è disposto a dargli tregua. Sono finiti i giorni in cui tutti lo adulavano, i giorni in cui poteva decidere a suo piacimento e trattare la pace che preferiva. Ora che lo sanno a terra, i nemici vogliono sferrargli il colpo finale: fa ancora troppa paura.La pressione delle armate straniere lo costringe quindi a ripartire per le frontiere del Belgio, dove si trovano i suoi soldati. Il 12 giugno mette insieme l'Armée - quello che ne resta, cioè meno di centomila uomini - e si prepara a combattere contro i contingenti stranieri, che riuniscono oltre duecentoventimila uomini. Sulle prime ha la meglio e sconfigge i prussiani nella battaglia di Ligny.Purtroppo, ci sono una serie di contrattempi, incomprensioni. Il maresciallo Michel Ney - » il prode fra i prodi», che nei Cento giorni è tornato dalla sua parte - non ha occupato il villaggio di Quatre-Bras e il 16 non è ancora arrivato. Il 17 giugno l'imperatore decidere di far riposare i suoi, anche se forse sarebbe stato meglio che avesse dato loro ordine di inseguire il nemico. Finalmente, ordina a Emmanuel de Grouchy di dare la caccia ai prussiani, mentre giunge anche Ney. Restano da affrontare gli inglesi guidati dal duca di Wellington, che attendono l'armata francese vicino a un villaggio di nome Waterloo. Siamo giunti al fatale 18 giugno 1815. Piove a dirotto, la triste piana è coperta di fango: questo rallenta Bonaparte e ferma del tutto Grouchy. Carri e cannoni francesi arrancano, spesso si bloccano. I britannici, invece, sono arroccati sul monte Saint-Jean, il che offre loro un vantaggio tattico notevole. La battaglia inizia tardi, verso le undici e mezza. Inizialmente, sembra che Napoleone stia vincendo. C'è però un ostacolo imprevisto: la cavalleria, alla cui testa manca Joachim Murat, corre sulla strada di Ohain per andare addosso al nemico, ma si trova davanti a un sentiero stretto e incassato, che termina con un baratro. L'impeto fa sì che i cavalli non riescano a fermarsi e finiscano nel burrone, portando in sella i loro cavalieri.Nel frattempo gli inglesi usano la solita tattica. In prima fila ci sono i fucilieri, che sparano quando i francesi sono a tiro; dietro i cannoni e la cavalleria. Mentre i soldati di Napoleone arrancano, gli altri hanno gioco facile nel massacrarli. Nel pomeriggio, Ney tenta un'altra carica, ma viene fermato. L'imperatore spera che Grouchy arrivi ad aiutarlo, invece giungono i prussiani di Gebhard von Blucher, che non sono stati affatto distrutti. Costoro sono decisivi nel determinare la sua sconfitta.Nonostante gli infiniti atti di eroismo dei francesi, quella che sulle prime sembrava una battaglia vinta è ormai una battaglia perduta. Si dice, tuttavia, che se fosse stata combattuta altre cento volte, in gran parte di esse il successo avrebbe arriso a Bonaparte. Ma stavolta la Fortuna, il Destino - o il caso - gli hanno voltato le spalle.È rimasta celebre la risposta del generale Pierre Cambronne quando un ufficiale inglese gli ha intimato la resa: «Merde! La Vecchia Guardia muore, ma non si arrende!».
La Procura di Torino indaga su un presunto sistema di frode fiscale basato su appalti fittizi e somministrazione irregolare di manodopera. Nove persone e dieci società coinvolte, beni sequestrati e amministrazione giudiziaria di una società con 500 dipendenti.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 settembre 2025. L'esperto di politica internazionale Daniele Ruvinetti analizza l'attacco israeliano in Qatar e i droni russi in Polonia.