
Altre prove dell'inesistente superiorità morale della sinistra.Il passato non si può certo cambiare, e di sicuro non si può recriminare troppo sull'esito di una tornata elettorale. La lettura dei fatti, però, quella si può modificare. E andrebbe in effetti modificata dopo ciò che è accaduto in Emilia Romagna. Nel gennaio 2020, quando Stefano Bonaccini è stato riconfermato governatore della regione più rossa d'Italia, in troppi hanno descritto la vittoria del Bene (i democratici) contro il Male (i perfidi sovranisti). Il Pd ha festeggiato nemmeno avesse fermato l'invasore austriaco, la stampa progressista ha celebrato i fasti del rieletto campione di virtù. Eppure, esattamente dodici mesi dopo, tocca correggere un po' il racconto epico. Uno dei tormentoni di quella campagna elettorale - tutta improntata alla lotta «antifascista» contro le debordanti orde nere - fu la famigerata citofonata di Salvini. Non fu un gesto elegantissimo, intendiamoci. Probabilmente se la sarebbe potuta risparmiare, e forse gli costò pure qualche consenso nelle urne. Ma la reazione che suscitò fu ben oltre i limiti del grottesco. A un certo punto, il ragazzo di 17 anni che abitava in quell'appartamento assieme alla famiglia divenne una sorta di starlette televisiva. Yassin, questo il suo nome, fu scarrozzato per i talk show dal suo avvocato (l'impegnatissima Cathy La Torre, fiera paladina dei diritti Lgbt di cui s'immaginò a un certo punto la candidatura a sindaco di Bologna), e prese a rilasciare interviste commoventi. Venne presentato come la Vittima, l'Innocente perseguitato dall'orrendo leghista il cui comportamento, si disse, era decisamente paragonabile a quello degli ufficiali della Gestapo. A Piazzapulita, Yassin dichiarò che il capo della Lega gli aveva «rovinato la vita» (chissà se ripeterà il concetto nelle prossime ore, rivolto ad altri). Opinionisti, conduttori, editorialisti: tutti s'indignarono, sbraitarono per il terribile sopruso. Oggi, però, scopriamo che nell'appartamento in cui viveva Yassin c'era effettivamente qualcuno che spacciava: i suoi genitori. In quella casa i carabinieri hanno trovato droga, armi e altro ben di Dio. No, non toccava a Salvini suonare e improvvisarsi investigatore. Però, in quel quartiere di Bologna, un problema c'era eccome. Ed è stato occultato dalla propaganda. Si è parlato di razzismo, di un povero minorenne perseguitato, sono partite cause contro il leghista intemperante. Ma il punto era e resta la droga, lo spaccio. E nessuno, a parte Lega e Fratelli d'Italia, ha avuto il fegato di affrontarlo. Si è preferito dipingere un quadretto idilliaco, raccontare «la regione meglio governata d'Italia». Si è lasciato campo libero alle Sardine e ai moralisti associati. Il Pd ha vinto, ha salvato la ghirba. Un anno è trascorso, e soltanto adesso la droga viene fuori assieme all'orrido resto. Non è finita. Il santo Bonaccini, salvatore della patria e del Pd, è indagato per un'altra vicenda che fu rimossa in campagna elettorale. L'accusa è abuso d'ufficio e si riferisce a una brutta telefonata che il governatore fece al sindaco di Jolanda di Savoia (Ferrara), Paolo Pezzolato. Il vice di Pezzolato, Elisa Trombin, aveva deciso di appoggiare la candidata leghista Lucia Borgonzoni. Bonaccini si irritò e chiamò il sindaco: «Se vinco io, come è probabile, dopo non mi cercate più». Secondo l'accusa, ci sarebbero anche state pressioni per privare il piccolo Comune di alcuni dipendenti, una sorta di ritorsione. In campagna elettorale questa storia fu ridotta a pantomima destrorsa, ma siamo certi che se al posto di Bonaccini ci fosse stato un governatore d'altro colore la cagnara sarebbe stata ben superiore. Chissà, forse l'indagine finirà per svaporare. C'è, tuttavia, una lezione da apprendere: la superiorità morale di sinistra non esiste. E si può montare tutta la propaganda del mondo ma la dura realtà, prima o poi, si presenta comunque al citofono.
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