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2023-09-14
Comizio in Aula della Von der Leyen: la transizione verde non si discute
Ursula von der Leyen (Ansa)
Nonostante sia una cavallerizza provetta, la baronessa Ursula Gertrud von der Leyen ha deciso di usare la più abusata delle metafore marinaresche: «Manteniamo la rotta». Qualcuno s’era forse illuso che, dopo l’auspicato addio del paraguru Frans Timmermans, l’Unione europea avrebbe deposto la cieca furia ambientalista? Illusi. La presidente della Commissione europea, dopo qualche furbesco ammiccamento a destra, convalida invece la ragion d’essere del suo lunare quadriennio al potere: il Green deal. «Ci atteniamo alla nostra strategia di crescita» insiste nel suo discorso sullo stato dell’Unione. «E lotteremo sempre per avere una transizione equa e giusta». Difatti: dalle auto elettriche alle case efficienti, ogni imminente imposizione rimane a spese dei sempre più impoveriti continentali.
La baronessa Ursula è una moderna Maria Antonietta. «Maestà, il popolo ha fame...» dicevano all’illustre predecessora. E lei: «Che mangino brioches…». Ecco: nella folle corsa a perdifiato della Commissione, tra veicoli a emissioni zero e cappotti termici, saranno ancora gli incolpevoli sudditi a pagare. Come in una fiaba ecologista, Von der Leyen promette che «nessuno deve essere lasciato indietro» ammettendo comunque mire iperuraniche: «Abbiamo un Green deal europeo che rappresenta il fulcro della nostra economia e un’ambizione senza pari». L’inscalfibile Ursula si lascia prendere dalla prosopopea: «È la nostra risposta alla chiamata della storia». Per poi aggiungere, con fervore gretino: «E quest’estate, la più calda di sempre in Europa, ce lo ha ricordato con forza. La Grecia e la Spagna sono state colpite da incendi devastanti. E abbiamo visto il caos e la carneficina provocati dagli eventi meteorologici estremi, dalla Slovenia alla Bulgaria, in tutta l’Unione. È la realtà di un pianeta in ebollizione. Il Green deal è nato dalla necessità di proteggerlo».
La sacerdotessa verde assicura che la transizione non deve essere a scapito dell’industria o dei cittadini. Proprio mentre, tanto per dirne una, continuano a essere diffusi ferali studi sulle sorti dell’auto europea: «La Commissione sta avviando un’indagine anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina» promette quindi la solerte Ursula, dopo aver notato che Pechino ci sta riempiendo di auto economiche a zero emissioni e tanti incentivi. «L’Europa è aperta alla concorrenza. Non per una corsa al ribasso. Dobbiamo difenderci dalle pratiche sleali». Come e quando? Boh. Di sicuro, mette le mani avanti Ursula, «ci sono anche temi in cui possiamo e dobbiamo collaborare». Insomma: «Continueremo a sostenere l’industria europea nel corso di questa transizione» giura. «Dall’eolico all’acciaio, dalle batterie ai veicoli elettrici, il futuro della nostra industria delle tecnologie pulite dev’essere made in Europe». E rivela di aver chiesto a Mario Draghi, «una delle menti economiche più grandi d’Europa», di preparare un report sui destini della nostra competitività. Mutua persino il «Whatever it takes» del fu presidente della Bce. Pure stavolta, prepariamoci a fare la qualsiasi.
Adesso: con tutta la stima per il nostro ex premier, potrà la sua acuta relazione fermare l’inarrestabile avanzata cinese? Insomma: mentre il centrodestra chiede realismo e difesa degli interessi, si continua a supercazzolare. L’unica nobile concessione della baronessa agli avversari è «un maggiore dialogo». Mantenendo «la rotta», chiaramente. Ma pare solo un magra concessione, utile a rassodare il terreno. Il Ppe di Manfred Weber, dopo aver aperto ai conservatori, ultimi sondaggi alla mano sembra voler puntare nuovamente sulla «maggioranza Ursula» con socialisti e liberali. Ma l’Ecr, guidato da Giorgia Meloni, potrebbe comunque essere decisivo. Dunque, meglio lasciare la porta socchiusa fingendo timide aperture. Come reagiranno la premier italiana e suoi alleati? Von der Leyen scalpita ufficialmente per il secondo mandato. Alle prossime elezioni del giugno 2024, toccherà «rispondere ancora all’appello della storia». Il suo intendimento è già scritto: totale continuità. «Quando, nel 2019, mi sono presentata di fronte a voi con il mio programma per un’Europa verde, digitale e geopolitica, so che alcuni avevano dei dubbi» concede. «Guardate invece dove si trova l’Europa oggi?». Ecco, appunto: inflazione epocale, recessione galoppante, migrazioni irrefrenabili. Ma lei è entusiasta persino delle prodezze di Christine Lagarde, gran capa della Bce. O dell’inutile patto europeo sulle migrazioni. Gli ultimi «300 giorni» al potere serviranno soltanto a «terminare il lavoro».
Così uguale, ma anche così diversa. La presidentissima informa di aver avuto tre nipoti, durante questo mandato. È proprio per evitare l’estinzione delle nuove leve che è pronta a immolarsi ancora: «Avranno pure loro un’estate, un autunno, un inverno e una primavera come quando noi eravamo bambini? Potranno avere una famiglia?». Ovviamente, no. Saranno spazzati via da apocalissi e carestie. A meno che SuperUrsula non venga provvidenzialmente rieletta per altri cinque anni.
Bluff europeo contro l’auto cinese
Ursula von der Leyen si è svegliata. All’improvviso, la presidente della Commissione europea ha scoperto che i mercati sono inondati di auto elettriche cinesi, che sono più economiche e quindi in grado di battere la concorrenza dei marchi europei, e che i prezzi sono mantenuti artificialmente bassi da ingenti sussidi erogati a mani basse da Pechino. Risultato: «Questo meccanismo distorce il mercato e l’Europa non può permetterlo. Bisogna difendersi da pratiche sleali e da questa corsa al ribasso» , ha tuonato Von der Leyen, nell’accalorato discorso sullo stato dell’Unione 2023.
La presidente ha dimenticato nella foga, o forse era voluto, il piccolo particolare che il primato sull’auto elettrica, la Cina se l’è conquistato senza andare tanto per il sottile quanto a uso di energia fossile. Sottigliezze. Alla presidente interessa lanciare il segnale forte che la Commissione «è sul pezzo» e che è pronta a sbarrare il passo al nemico cinese. Come ciò sia possibile non lo dice. Ha parlato genericamente dell’avvio di una fantomatica «indagine anti-sovvenzioni». Ma chi se ne occuperà? Sarà creata una sorta di commissione ad hoc e con quali poteri? E poi qualora si scoprisse un meccanismo di aiuti di Stato, quali sarebbero le prossime mosse? Si applicano dazi? Si alzano le barriere doganali alle vetture d’oltre Muraglia? Non si deve dimenticare che produrre le batterie in Europa costa 6 volte di più. Peraltro non siamo all’inizio di un processo ma in pieno tsunami industriale e Pechino ha già messo radici nel mercato.
Tanta sollecitudine fa anche sorgere il sospetto che la presidente abbia ricevuto l’illuminazione del pericolo cinese, nel mezzo della via verso le elezioni europee. Qualora dovesse cambiare maggioranza nel Parlamento, avrebbe bisogno del sostegno dei conservatori per essere rieletta. E non c’è niente di meglio che riallinearsi sfoderando un atteggiamento anti cinese.
La strategia di Von der Leyen va oltre. La presidente sembra sposare la linea di Parigi che da tempo chiede una tutela all’industria dell’auto europea mentre fischia il fuorigioco per Berlino. La Germania ha forti interessi in Cina e non ha mai visto di buon grado una politica di ostilità a Pechino nel timore che il governo di Xi Jinping gli chiuda i canali delle esportazioni.
Bisognerà vedere se la presidente ha intenzione veramente di mordere o si è limitata ad abbaiare. Una guerra dei dazi rischia di rompere le ossa alla fragile industria automobilistica europea, totalmente dipendente per la tecnologia e la componentistica elettronica dalla Cina.
Basta vedere gli ultimi dati delle vendite per capire la difficoltà delle case europee e la potenza di fuoco del Dragone. Dal primo trimestre 2023, con un +80%, la Cina ha superato il Giappone come maggiore esportatore di auto al mondo. Secondo la società di ricerca Canalys, a fine anno si stimano 4,4 milioni di vetture spedite dal Dragone all’estero di cui 1,3 elettriche, raddoppiate. Ma questo era prevedibile dal momento che dal 2009 i cinesi hanno strappato al Giappone la leadership della produzione, raddoppiata nel 2022 da 10,3 a 23,8 milioni di auto (secondo l’Oica, l’Organizzazione internazionale dei produttori). AlixPartners stima che le vendite annuali di auto con marchio cinese nei mercato estero, cresceranno fino a 9 milioni di veicoli entro il 2030. I brand cinesi avrebbero pertanto il 30% della quota globale e il 15% dell’Europa.
A luglio scorso i 22 marchi cinesi presenti sul mercato del Vecchio Continente hanno aumentato le vendite del 131% (25.564 auto) rispetto allo stesso periodo del 2022. La quota di mercato dei cinesi è raddoppiata dall’1,27% al 2,51%.
Va segnalato inoltre che gli europei in Cina non toccano palla. Una classifica riportata da Quattroruote, relativa ad agosto scorso del Top-Selling Pure EV Brands in China, mostra che bisogna scorrere fino alla decima posizione per trovare un marchio europeo, con la Volkswagen.
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Chi sperava che l’addio di Frans Timmermans ammorbidisse la posizione di Bruxelles si sbagliava. Nel discorso sullo stato dell’Unione, la presidente in cerca del secondo mandato pare Greta Thunberg: «La Terra è in ebollizione».La leader della Commissione annuncia un’inchiesta sui sussidi di Pechino all’elettrico: «Distorcono il mercato». Troppo tardi, e non dice quali contromisure si prenderanno.Lo speciale contiene due articoli.Nonostante sia una cavallerizza provetta, la baronessa Ursula Gertrud von der Leyen ha deciso di usare la più abusata delle metafore marinaresche: «Manteniamo la rotta». Qualcuno s’era forse illuso che, dopo l’auspicato addio del paraguru Frans Timmermans, l’Unione europea avrebbe deposto la cieca furia ambientalista? Illusi. La presidente della Commissione europea, dopo qualche furbesco ammiccamento a destra, convalida invece la ragion d’essere del suo lunare quadriennio al potere: il Green deal. «Ci atteniamo alla nostra strategia di crescita» insiste nel suo discorso sullo stato dell’Unione. «E lotteremo sempre per avere una transizione equa e giusta». Difatti: dalle auto elettriche alle case efficienti, ogni imminente imposizione rimane a spese dei sempre più impoveriti continentali. La baronessa Ursula è una moderna Maria Antonietta. «Maestà, il popolo ha fame...» dicevano all’illustre predecessora. E lei: «Che mangino brioches…». Ecco: nella folle corsa a perdifiato della Commissione, tra veicoli a emissioni zero e cappotti termici, saranno ancora gli incolpevoli sudditi a pagare. Come in una fiaba ecologista, Von der Leyen promette che «nessuno deve essere lasciato indietro» ammettendo comunque mire iperuraniche: «Abbiamo un Green deal europeo che rappresenta il fulcro della nostra economia e un’ambizione senza pari». L’inscalfibile Ursula si lascia prendere dalla prosopopea: «È la nostra risposta alla chiamata della storia». Per poi aggiungere, con fervore gretino: «E quest’estate, la più calda di sempre in Europa, ce lo ha ricordato con forza. La Grecia e la Spagna sono state colpite da incendi devastanti. E abbiamo visto il caos e la carneficina provocati dagli eventi meteorologici estremi, dalla Slovenia alla Bulgaria, in tutta l’Unione. È la realtà di un pianeta in ebollizione. Il Green deal è nato dalla necessità di proteggerlo».La sacerdotessa verde assicura che la transizione non deve essere a scapito dell’industria o dei cittadini. Proprio mentre, tanto per dirne una, continuano a essere diffusi ferali studi sulle sorti dell’auto europea: «La Commissione sta avviando un’indagine anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina» promette quindi la solerte Ursula, dopo aver notato che Pechino ci sta riempiendo di auto economiche a zero emissioni e tanti incentivi. «L’Europa è aperta alla concorrenza. Non per una corsa al ribasso. Dobbiamo difenderci dalle pratiche sleali». Come e quando? Boh. Di sicuro, mette le mani avanti Ursula, «ci sono anche temi in cui possiamo e dobbiamo collaborare». Insomma: «Continueremo a sostenere l’industria europea nel corso di questa transizione» giura. «Dall’eolico all’acciaio, dalle batterie ai veicoli elettrici, il futuro della nostra industria delle tecnologie pulite dev’essere made in Europe». E rivela di aver chiesto a Mario Draghi, «una delle menti economiche più grandi d’Europa», di preparare un report sui destini della nostra competitività. Mutua persino il «Whatever it takes» del fu presidente della Bce. Pure stavolta, prepariamoci a fare la qualsiasi.Adesso: con tutta la stima per il nostro ex premier, potrà la sua acuta relazione fermare l’inarrestabile avanzata cinese? Insomma: mentre il centrodestra chiede realismo e difesa degli interessi, si continua a supercazzolare. L’unica nobile concessione della baronessa agli avversari è «un maggiore dialogo». Mantenendo «la rotta», chiaramente. Ma pare solo un magra concessione, utile a rassodare il terreno. Il Ppe di Manfred Weber, dopo aver aperto ai conservatori, ultimi sondaggi alla mano sembra voler puntare nuovamente sulla «maggioranza Ursula» con socialisti e liberali. Ma l’Ecr, guidato da Giorgia Meloni, potrebbe comunque essere decisivo. Dunque, meglio lasciare la porta socchiusa fingendo timide aperture. Come reagiranno la premier italiana e suoi alleati? Von der Leyen scalpita ufficialmente per il secondo mandato. Alle prossime elezioni del giugno 2024, toccherà «rispondere ancora all’appello della storia». Il suo intendimento è già scritto: totale continuità. «Quando, nel 2019, mi sono presentata di fronte a voi con il mio programma per un’Europa verde, digitale e geopolitica, so che alcuni avevano dei dubbi» concede. «Guardate invece dove si trova l’Europa oggi?». Ecco, appunto: inflazione epocale, recessione galoppante, migrazioni irrefrenabili. Ma lei è entusiasta persino delle prodezze di Christine Lagarde, gran capa della Bce. O dell’inutile patto europeo sulle migrazioni. Gli ultimi «300 giorni» al potere serviranno soltanto a «terminare il lavoro». Così uguale, ma anche così diversa. La presidentissima informa di aver avuto tre nipoti, durante questo mandato. È proprio per evitare l’estinzione delle nuove leve che è pronta a immolarsi ancora: «Avranno pure loro un’estate, un autunno, un inverno e una primavera come quando noi eravamo bambini? Potranno avere una famiglia?». Ovviamente, no. Saranno spazzati via da apocalissi e carestie. A meno che SuperUrsula non venga provvidenzialmente rieletta per altri cinque anni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vonderleyen-transizione-verde-non-discute-2665375578.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bluff-europeo-contro-lauto-cinese" data-post-id="2665375578" data-published-at="1694673934" data-use-pagination="False"> Bluff europeo contro l’auto cinese Ursula von der Leyen si è svegliata. All’improvviso, la presidente della Commissione europea ha scoperto che i mercati sono inondati di auto elettriche cinesi, che sono più economiche e quindi in grado di battere la concorrenza dei marchi europei, e che i prezzi sono mantenuti artificialmente bassi da ingenti sussidi erogati a mani basse da Pechino. Risultato: «Questo meccanismo distorce il mercato e l’Europa non può permetterlo. Bisogna difendersi da pratiche sleali e da questa corsa al ribasso» , ha tuonato Von der Leyen, nell’accalorato discorso sullo stato dell’Unione 2023. La presidente ha dimenticato nella foga, o forse era voluto, il piccolo particolare che il primato sull’auto elettrica, la Cina se l’è conquistato senza andare tanto per il sottile quanto a uso di energia fossile. Sottigliezze. Alla presidente interessa lanciare il segnale forte che la Commissione «è sul pezzo» e che è pronta a sbarrare il passo al nemico cinese. Come ciò sia possibile non lo dice. Ha parlato genericamente dell’avvio di una fantomatica «indagine anti-sovvenzioni». Ma chi se ne occuperà? Sarà creata una sorta di commissione ad hoc e con quali poteri? E poi qualora si scoprisse un meccanismo di aiuti di Stato, quali sarebbero le prossime mosse? Si applicano dazi? Si alzano le barriere doganali alle vetture d’oltre Muraglia? Non si deve dimenticare che produrre le batterie in Europa costa 6 volte di più. Peraltro non siamo all’inizio di un processo ma in pieno tsunami industriale e Pechino ha già messo radici nel mercato. Tanta sollecitudine fa anche sorgere il sospetto che la presidente abbia ricevuto l’illuminazione del pericolo cinese, nel mezzo della via verso le elezioni europee. Qualora dovesse cambiare maggioranza nel Parlamento, avrebbe bisogno del sostegno dei conservatori per essere rieletta. E non c’è niente di meglio che riallinearsi sfoderando un atteggiamento anti cinese. La strategia di Von der Leyen va oltre. La presidente sembra sposare la linea di Parigi che da tempo chiede una tutela all’industria dell’auto europea mentre fischia il fuorigioco per Berlino. La Germania ha forti interessi in Cina e non ha mai visto di buon grado una politica di ostilità a Pechino nel timore che il governo di Xi Jinping gli chiuda i canali delle esportazioni. Bisognerà vedere se la presidente ha intenzione veramente di mordere o si è limitata ad abbaiare. Una guerra dei dazi rischia di rompere le ossa alla fragile industria automobilistica europea, totalmente dipendente per la tecnologia e la componentistica elettronica dalla Cina. Basta vedere gli ultimi dati delle vendite per capire la difficoltà delle case europee e la potenza di fuoco del Dragone. Dal primo trimestre 2023, con un +80%, la Cina ha superato il Giappone come maggiore esportatore di auto al mondo. Secondo la società di ricerca Canalys, a fine anno si stimano 4,4 milioni di vetture spedite dal Dragone all’estero di cui 1,3 elettriche, raddoppiate. Ma questo era prevedibile dal momento che dal 2009 i cinesi hanno strappato al Giappone la leadership della produzione, raddoppiata nel 2022 da 10,3 a 23,8 milioni di auto (secondo l’Oica, l’Organizzazione internazionale dei produttori). AlixPartners stima che le vendite annuali di auto con marchio cinese nei mercato estero, cresceranno fino a 9 milioni di veicoli entro il 2030. I brand cinesi avrebbero pertanto il 30% della quota globale e il 15% dell’Europa. A luglio scorso i 22 marchi cinesi presenti sul mercato del Vecchio Continente hanno aumentato le vendite del 131% (25.564 auto) rispetto allo stesso periodo del 2022. La quota di mercato dei cinesi è raddoppiata dall’1,27% al 2,51%. Va segnalato inoltre che gli europei in Cina non toccano palla. Una classifica riportata da Quattroruote, relativa ad agosto scorso del Top-Selling Pure EV Brands in China, mostra che bisogna scorrere fino alla decima posizione per trovare un marchio europeo, con la Volkswagen.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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