2020-01-10
Voleva pacificare la Libia ma a Conte riesce a stento una tregua con Di Maio
Ieri il premier si è incontrato con Giggino dopo il tentato sorpasso sulla Farnesina, finito in un disastro diplomatico per il dietrofront di Al Serraj. Ma fra i due resta il gelo.«Sei una delle scelte di cui vado più fiero nella mia vita. Sei una perla rara, un servitore della nazione che l'Italia non può perdere». Queste erano le parole che, con sprezzo del pericolo (e del ridicolo), Luigi Di Maio rivolse a Giuseppe Conte il 20 agosto scorso, nel pieno dello scontro che li vedeva alleati contro Matteo Salvini. Da allora, la «perla rara» Conte ha «ricompensato» Di Maio prima sfilandogli la fiducia di Beppe Grillo, che costruì l'ipotesi del governo giallorosso come un vestito da far indossare proprio a Conte; poi sottraendogli progressivamente la fiducia dei parlamentari grillini, sussurrando al loro orecchio che Di Maio era pronto a far saltare la legislatura, e che dunque era meglio schierarsi a corpo morto col governo, per salvare stipendi e mutui, mollando il capo politico M5s al suo destino; e ancora facilitando, se non autorizzando, diverse operazioni scissionistiche, inclusa quella dell'ex ministro Lorenzo Fioramonti. L'altro ieri, infine, Conte aveva provato a far scattare quella che doveva essere la trappola finale, l'umiliazione definitiva del titolare della Farnesina: una superpasserella di Haftar e Al Serraj a Palazzo Chigi, con l'immagine di Conte in mondovisione, mentre il povero Di Maio vagava inutilmente per il Nord Africa.Solo la reazione stizzita di Al Serraj ha fatto saltare tutto. Alla Verità risulta da fonti di Bengasi vicinissime ad Haftar che, nel colloquio dell'altro ieri con Conte, si sia ampiamente delineato lo scenario della vittoria del generale, con relativa uscita di scena di Al Serraj. Secondo queste indiscrezioni, Haftar avrebbe anche prospettato un qualche ruolo per l'Italia nella nuova fase. Nasce anche da qui l'irritazione dell'uomo di Tripoli e il suo conseguente rifiuto di recarsi a Palazzo Chigi, dove - dal suo punto di vista - si era già lavorato alla divisione delle sue spoglie. Va peraltro segnalato che ieri sera il ministro degli Interni del governo di Al Serraj, Fathi Bishaga, ha raggiunto Roma per incontrare l'ambasciatore Usa a Tunisi, Donald Blome.Ma torniamo a Di Maio, a cui non è certamente sfuggito il trappolone ordito da Conte e l'operazione volta a commissariarlo. Circostanza figlia - a onor del vero - dell'equivoco che si trascina dalla nascita del Conte bis, e da un intreccio contorto autorizzato dallo stesso Quirinale: dare la Farnesina a Di Maio, ma lasciare a Conte la delega ai servizi, con il retropensiero contiano di poter tranquillamente bypassare l'ex amico.È in questo stato d'animo di rabbia e risentimento che ieri Di Maio si è presentato a Palazzo Chigi. Essendo tuttavia costretto a dissimulare questo nervosismo: anche perché Conte ha proposto da trentasei ore un incontro con i leader di maggioranza e opposizione sulla doppia crisi (Iran e Libia), e dunque era necessario già da ieri lavorare per salvare le apparenze. Sul versante Iran-Iraq-Usa, Conte e Di Maio, d'accordo con il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, hanno confermato la prosecuzione della missione in Iraq dei soldati italiani. La missione continuerà: e il governo tiene a sottolineare il ruolo attualmente svolto dai nostri militari, e cioè l'addestramento dei soldati iracheni. Certo, non piacerà agli Usa la notizia fatta trapelare da Palazzo Chigi di una telefonata tra Conte e il presidente iraniano Rohani, un altro dito nell'occhio di Donald Trump. Ancora più complicato il dossier libico. Conte e Di Maio hanno provato a imbastire sia lo scenario del successo di Haftar (come detto, Conte nell'incontro dell'altro ieri con il generale, ha provato a ritagliarsi uno spazio), sia lo scenario di una convivenza tra Haftar e Al Serraj, sulla base del cessate il fuoco proposto da Putin e Erdogan. Al vertice pomeridiano si sono anche uniti Dario Franceschini e il ministro degli Affari europei Enzo Amendola. A cannoneggiare da fuori, invece, ha provveduto Matteo Renzi: «L'Italia spettatrice e non protagonista nel Mediterraneo è una sconfitta per tutti. La politica estera di un Paese si fa con il lavoro quotidiano durissimo, non con una photo opportunity».Alla Verità risulta inoltre un fortissimo imbarazzo sia di Palazzo Chigi sia della Farnesina dinanzi alla questione che certamente si porrà nei prossimi giorni: e cioè l'assenza di garanzie vere per Eni, e non solo per la sicurezza degli impianti in caso di peggioramento della situazione sul terreno, ma soprattutto per il ruolo nella nuova Libia della nostra compagnia petrolifera. Il governo sarà in grado di tutelare questo fondamentale interesse nazionale o saremo tagliati fuori a favore di altri player?In ogni caso, Conte e Di Maio si sono lasciati tentando di trasmettere una qualche idea di ritrovata compattezza, alla quale tuttavia non crede nessuno. Le lacerazioni tra i due, anche umane, appaiono difficilmente componibili, e la sfiducia reciproca è ormai un dato acquisito. Intanto, sempre ieri è stato reso noto che Di Maio sarà mercoledì prossimo alla Camera, per un'informativa urgente sui due teatri di crisi: Iran e Libia.