2021-04-11
Appena fuori Viterbo c’è una foresta di mostri mai visti
Il Giardino di Bomarzo brulica di opere vecchie di secoli, con cui un conte impreziosì le sue terre. Il loro animo fiabesco è intatto.Non nascondo che fra i tanti giardini che ho visitato, in Italia, in Giappone, a Singapore, in Nord America, in lungo e in largo qui nella nostra Europa, quando penso ad un posto che faccia accapponare letteralmente la pelle questo è il Sacro Bosco o Giardino dei Mostri di Bomarzo.Quando in automobile percorro una strada che mi conduce ad un parco, ad una residenza, o ad un grande albero monumentale, spesso rifletto sull'ordinarietà, addirittura talora l'insignificanza della strada e del paesaggio, talora anonimi, che mi circondano. Mai un ignaro viaggiatore che percorre la strada di campagna che porta all'abitato di Valsanzibio, nelle campagne padovane, potrebbe minimamente immaginarsi un pezzo di Venezia e un giardino di acque e statue e labirinti come quello che trova alla fine dell'abitato, nel giardino storico voluto dai Barbarigo e che abbiamo visitato in questa stessa rubrica alcune settimana fa. Quante strade di montagna, sulle Alpi o in Appennino, ho percorso per raggiungere alberi plurisecolari, quanti sentieri, quante «carretere» e mulattiere, sembravano tutte stradelle ordinarie della vasta provincia, poco prima della comparsa di un patriarca vegetale. E lo stesso sentimento si ripropone ogni volta che percorro la provinciale 20 o Bomarzese che unisce il piccolo comune cresciuto attorno al palazzo dei conti Orsini e il confine con l'Umbria o il Viterbese. Nulla, percorrendo queste vie, ti porterebbe a credere che stai per presentarti di fronte a tanta meraviglia. Ma questo è un pensiero che si ripresenterà ancora molte volte, perlustrando a piedi o su gomma gli anfratti del nostro Belpaese.Settimana scorsa, visitando l'incantevole Villa d'Este a Tivoli abbiamo incrociato il nome di Ligorio Pirro (1514-1583), nato a Napoli e ben presto impegnato a Roma nelle più diverse attività, dal restauro all'ingegneria, dall'architettura alla scultura, dalla scrittura - compose un vasto compendio dedicato alle architetture, agli eroi e agli uomini illustri dell'antichità, nonché un curioso e modernissimo Libro di diversi terremoti - all'antiquariato. Ha lavorato per le grandi famiglie del suo tempo, è stato addirittura successore di Michelangelo nella direzione della Fabbrica di San Pietro, restandovi però pochi anni. Fra i suoi tanti progetti resta una pietra miliare quell'invenzione ardita che è stato il Sacro Bosco di Bomarzo, che lui immaginò e disegnò nel 1547, mentre le statue vennero in parte realizzate dallo scultore Simone Moschino (1553-1610) nei due decenni successivi. Il conte Vicino Orsini (1523-1585) era nato a Roma, aveva frequentato circoli letterari e artistici a Venezia e poi si era imbarcato in una carriera militare che terminò nel 1558, mentre si era già stabilito nel Palazzo Orsini di Bomarzo, dove aveva invitato il Pirro a realizzare un giardino di statue colmo di riferimenti antichi. Le letture e la passione per l'antichità del conte si sommarono al piacere per l'artefatto falso o finto-romano dell'architetto fecondando le opere che noi oggi possiamo ammirare, lungo il percorso di una riserva che è protetta e custodita da pochi decenni. Il progetto che aveva in mente Orsini era quello di concretizzare un teatro dove istruire lo spettatore, l'intento pedagogico era quindi non accessorio ma fondante: l'uomo vitruviano di Leonardo quanto l'uomo colto di rinascimento era intreccio di natura e arte, di cultura umanistica e scientifica, ogni esperienza risulta utile alla comprensione e alla maturazione di una visione. Purtroppo la nostra attuale possibilità di comprenderlo è in parte falsato, sia perché nel corso dei secoli il disegno è stato alterato e condizionato da diversi interventi e prolungati abbandoni, ma nondimeno veniamo disturbati dalla quantità di turisti che soprattutto nei mesi estivi frequenta questi luoghi - proprio per questo consiglio di venirvi in visita il mese di maggio, possibilmente nei giorni feriali. All'ingresso del Bosco Sacro riceviamo un ammonimento: «Tu ch'entri qua pon mente parte a parte et dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte». Il Proteo Glauco, il primo nato da Oceano e Teti, la divinità in grado di trasformarsi in qualsiasi creatura. Fra le tante meraviglie «monstruose» ricorderete la scena della gigantomachia, nella quale Ercole schiena un gigante che sta per uccidere. Prendetevi tempo per avvicinare le statue e girarci attorno, per ammirare l'espressione di puro terrore che è stata impressa sul volto dello sconfitto. Sul muro a fianco leggiamo: «Se Rodi altier gia fu del suo colosso pur di quest il mio bosco ancho si gloria e per piu non poter fo quant io posso». La nota Casa pendente, a due piani, sbilenchissima, dentro la quale potete entrare, divertendovi a ritrovare equilibrio ad ogni passo e che è stato edificata mentre il conte era in prigione a testimoniare della fragilità della famiglia in quegli anni. Il Piazzale dei Vasi e un Nettuno seduto, serafico. La Balena con la fauce spalancata per inghiottire la grande Tartaruga, l'Elefante e la Grande Bocca, o L'Orco, a cui si accede grazie ad alcuni scalini e sul cui labbro superiore è scritto: «Ogni pensiero vola». Le famiglie e le coppie di visitatori fanno la fila per farsi immortalare in piedi dentro questa scultura. Elegante è una signora ammantata, Cerere o la dea dei campi, dei raccolti, della fertilità. In posizione sopraelevata, in pieno sole e fuori dalle ombre del bosco di lecci, il Tempio del Vignola, realizzato da Jacopo Barozzi da Vignola (1507-1573), in stile neoclassico, inizialmente pensato per le spoglie della moglie del conte, Giulia Farnese, morta nel 1560.Il Sacro Bosco è uno di quei luoghi di cui si può fare ripetutamente esperienza ed ogni volta se ne porta a casa qualcosa di nuovo e di unico. I muschi che hanno lavorato sulle superficie scolpite, le radici degli alberi che hanno scavato, la consunzione dei volti e dei visi di diverse sculture, tutto questo ha aggiunto quell'invidiabile strato di nostalgia che noi cerchiamo in luoghi come questi, finti, poiché non rappresentano nulla di vero, ma al contempo epici, immaginifici, spaventosi per altri versi, basti pensare a quanta distanza di percezione possa esistere fra la prima visita fatta magari da bambino, a cinque o sei anni, e quelle che possiamo aggiungere nelle fasi successive della nostra esistenza. Quel che ci intimorisce da bambini in seguito ci diverte, forse anche ci commuove.