2021-01-22
Ripartire da vita e famiglia è l’unica speranza
Inutile piangere sul suicidio demografico se non si promuove la natalità e la bellezza della genitorialità.«Quando la verità è scossa dalle fondamenta, il giusto che cosa può fare?». Così il Salmo 10,3: un grido in bilico fra sentimenti contrastanti, dal dolore alla rabbia, dalla delusione all'amarezza, dallo scoramento alla sensazione d'impotenza, di fronte al male. Chissà quante volte e quanti uomini e donne nel corso della storia si sono identificati in quella frase che pesa come un macigno. Chissà quante lacrime o quante invettive hanno provocato, chissà quante rese o quante riscosse, chissà quanti silenzi o quante grida. Possiamo provare a leggerlo nel contesto storico, culturale e politico del momento che ci tocca di vivere, rifuggendo tanto dalla nostalgia per il passato, quanto dall'illusione (sempre smentita) delle «magnifiche sorti e progressive». Prima di chiederci che cosa dobbiamo fare, quale sia il nostro compito o la nostra missione, è indispensabile porci una domanda: «Esistono le fondamenta di una verità ineludibile, che si autoimpone, scavalcando desideri, capricci o preferenze, in grado di trovare e provocare consenso in chiunque, annullando differenze di ogni tipo? Domanda certo non nuova, che già secoli prima di Pilato, con il suo «Quid est veritas?», l'umanità si era posta. E, quindi, si potrebbe dire che la storia si ripete e non vale la pena di spendere tempo ed energie in un'impresa tutto sommato inutile. Ma noi siamo cittadini del nostro tempo, e il nostro tempo ha certamente una marcatura nuova rispetto a tutto quanto ci ha preceduto e conoscerla, proprio nelle sue contraddizioni e nei suoi errori, è il primo passo per cercare di correggerla. Oggi, al centro dell'intera vita culturale, politica e sociale, c'è la questione antropologica: quale significato, valore e ruolo riconoscere all'uomo e a quell'aggregazione primigenia della socialità, che da sempre è chiamata famiglia. Fino a pochi decenni fa non esisteva alcun dubbio: l'umanità si caratterizza in uomini e donne, la complementarietà sessuale è alla base della sopravvivenza della specie, la famiglia è la condivisione di vita tra un uomo e una donna a garanzia della procreazione e dello sviluppo della rete sociale. La morte è quell'ineludibile traguardo che ci attende alla fine della vita, ma che ogni cellula del nostro corpo cerca di allontanare con tutte le forze, e due sono i primordiali istinti che governano la natura: la sopravvivenza e la procreazione. Queste «fondamenta» oggi non valgono più: c'è il gender, le identità fluide, le famiglie arcobaleno, le fecondazioni artificiali e l'affitto degli uteri. C'è il diritto di morire, quando e come si vuole, il suicidio è diventato un bene che la società tutela giuridicamente, e l'aborto provocato non è più l'uccisione di un bimbo innocente, ma è diventato l'icona della libertà femminile e di ogni altra forma di libera scelta. Il «diritto», nato per tutelare e garantire «beni» indiscutibili (libertà, salute, istruzione, pensiero e opinioni) è diventato lo strumento per concretizzare e istituzionalizzare ogni desiderio e ogni capriccio, anche se in palese contraddizione con tutto ciò che è il bagaglio storico culturale dell'umanità. Lo stesso drammatico evento della pandemia, purtroppo, sta insegnando molto poco. Chi ha avuto la «sfortuna» di seguire il dibattito al Senato sulla fiducia al governo, ha potuto constatare di persona che - salvo tre interventi: Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni e Matteo Salvini - nessun'altro ha parlato di famiglia, di politiche famigliari «vere» nel progetto del Recovery plan, di contrasto «vero» alla piaga della denatalità. Anzi, gli atti concreti dell'esecutivo, fuori dal Palazzo, vanno tutti esattamente nella direzione opposta: negazione della genitorialità, abolizione di «padre»/«madre», eliminazione di bimbi con le «kill pils», allargamento della platea legale dei suicidi e dei candidati alla «dolce morte». Chissà quanti fra noi abbiamo pensato in quelle ore - forse in primis l'ex ministro Elena Bonetti - che fine farà il Family act, la promessa di un assegno unico universale per ogni figlio dal settimo mese di gravidanza al ventunesimo anno di età? Andrà ad allungare la vergognosa lista delle promesse sbandierate e mai mantenute? Se ne ricorderà Matteo Renzi, che con tanta convinzione ha sostenuto la «sua» ministro alla famiglia? Regola aurea di ogni ricostruzione è partire dalle fondamenta, che significa, oggi e sempre, ripartire dalla vita e dalla famiglia. Sono lacrime di coccodrillo quelle versate sui dati Istat che attestano il suicidio demografico del nostro Paese se, non solo non si fa nulla per promuovere la natalità e la bellezza della genitorialità, ma si agisce in direzione esattamente opposta. Quando ero giovane medico, chiamato di notte a visitare un malato a domicilio, nella Bassa padana ove regnava la nebbia di giorno e soprattutto di notte, mentre guidavo l'auto, la striscia bianca della mezzeria mi ha preservato tante volte dal finire in un fosso. Il dramma era quando la mezzeria era cancellata o diventata invisibile. Lo scenario politico di questi ultimi anni è quello di una classe politica che, almeno in larga parte, ha perso la mezzeria, brancola nella nebbia, finisce nel fosso, senza raggiungere il malato per curarlo. Dunque, «Quid est veritas?». Speriamo che almeno gli uomini politici che si riconoscono in Colui che ricevette dal potere costituito questa drammatica domanda, faccia lo sforzo di far passare nella mente i suoi insegnamenti e scoprirà che non c'è posto per le derive antropologiche che annientano la sacralità della vita e della famiglia.