
Il documento finale dei lavori inserisce nella lista delle colpe dell'uomo la violenza contro l'ambiente. E apre all'ordinazione degli uomini sposati. Più sfumate le proposte sul rito amazzonico e sul ministero femminile.Il Papa nel suo discorso conclusivo del Sinodo panamazzonico ricorda ancora una volta che la tradizione «non è un museo» e cita Charles Peguy per dire che non gli piacciono coloro che «credono di essere nell'eterno perché non hanno il coraggio di essere nel tempo». La votazione sul testo del documento finale ha visto tutti i paragrafi raggiungere i due terzi dei voti di maggioranza e, come era atteso, quelli con il maggior numero di non placet sono stati quelli «caldi» su cui si è discusso in questi giorni. In estrema sintesi si confermano le previsioni che avevamo fatto sulla Verità: c'è l'apertura ai viri probati in Amazzonia, anche se devono essere già diaconi permanenti; no alle diaconesse, anche se si vuole riaprire lo studio della commissione che il Papa aveva già incaricato in questi anni, e sì allo studio di un rito amazzonico. E poi si definisce un «nuovo» peccato: ecologico. In linea generale si aprono processi che potrebbero poi portare anche oltre, secondo un refrain molto ripetuto da papa Francesco.Nel caso dei viri probati, uomini di provata fede sposati che possono essere ordinati sacerdoti, ci si propone di «di stabilire criteri e disposizioni da parte dell'autorità competente, […] per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un proficuo diaconato permanente e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, e che potrebbero avere famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti nelle aree più remote della regione amazzonica». La postilla finale di questo paragrafo 111, che ha avuto 41 non placet, è che «a questo proposito alcuni si sono pronunciati per un approccio universale all'argomento» e cioè per riproporre questo modello amazzonico dei viri probati in altre aree dove vi fosse «fame eucaristica» per carenza di sacerdoti. Un tema caro soprattutto ai tedeschi, ma che pare aver incontrato più difficoltà del previsto nel dibattito e per ora la questione è solo amazzonica. Nei prossimi mesi capiremo se il processo avviato porterà oltre, anche perché il Papa ha detto che spera di fare in tempi brevissimi l'esortazione post sinodale che dovrebbe approfondire il documento votato ieri.Per le donne e il loro ruolo nella Chiesa, nonostante le attese di uno dei grandi registi di questo sinodo, il vescovo austriaco trapiantato in Brasile, monsignor Erwin Kräutler, nulla di fatto per le diaconesse, mentre si crea un ministero denominato per la «donna dirigente della comunità», ovviamente un ministero non ordinato. Al paragrafo 103, con 30 non placet, di fatto si chiede di studiare ancora il caso della possibile ordinazione di donne diacono chiedendo di fatto che la commissione voluta dal Papa in questi anni riprenda il confronto sul tema, un modo per tenere ancora aperta la porta. Si chiede anche una «revisione del motu proprio di Paolo VI Ministeri quaedam affinché le donne preparate possano ricevere i ministeri del lettorato ed accolitato».L'emergenza ecologica è uno dei pilastri su cui ruota tutto il documento finale, certi toni apocalittici ascoltati dentro l'aula del Sinodo hanno lasciato perplesso qualche padre per l'eccessiva drammatizzazione, ma è innegabile che il testo finale sposa senza indugio il pericolo ambientale. L'Amazzonia è riconosciuta come il polmone verde da preservare e che lancia il suo «grido» al mondo intero per essere salvata, un «grido» che la Chiesa fa suo nel modo più totale. L'ecologia integrale da preservare, quella ambientale e umana, diventa così il terreno su cui spunta una delle grandi novità del Sinodo: il peccato ecologico definito come «una azione o omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l'ambiente». Un «peccato contro le future generazioni», prosegue il documento finale al numero 82, che si «manifesta in atti e abitudini di contaminazione e distruzione dell'armonia dell'ambiente, trasgressioni contro i principi di interdipendenza e rottura delle reti di solidarietà tra le creature». Una categoria di peccato di nuovo conio che porta con sé diversi rischi di carattere teologico, primo fra tutti quello che si possa pensare all'esistenza di un peccato contro l'ambiente dimenticando, invece, che tutti i peccati sono primariamente contro Dio. Oppure possa far ritenere che al decalogo mancasse un elemento. O ancora che si possa sfociare in una comprensione dell'ecologia integrale per cui uomo e ambiente finiscano di fatto sullo stesso piano nella scala dell'essere.Il dibattito è stato meno facile del previsto, nonostante la parte brasiliana, peruviana e tedesca dei padri fosse consistente e tutto sommato ben decisa a spingere le novità. Comunque le cose non sono andate lisce come si pensava, anche grazie alla resistenza, specie sul celibato sacerdotale, che è emersa da diversi interventi anche di cardinali non conservatori, come ad esempio il cardinale africano Peter Turkson e il segretario di Stato, Pietro Parolin. Certo nessuno ha alzato barriere insormontabili, ma per chi ha sensibilità ecclesiale alcune felpate parole hanno chiaramente indicato una resistenza.Infine vedremo oggi se alla messa di chiusura del Sinodo le statuette ripescate dal Tevere saranno presenti oppure no in San Pietro. Ieri pomeriggio intanto qualche Pachamama era di nuovo a Santa Maria in Traspontina, al centro della navata con candele e panche poste intorno. Per la preghiera.
2025-10-21
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(Arma dei Carabinieri)
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro. Con l’aggravante del metodo mafioso.
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
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