2019-11-03
Viganò pungola il Vaticano sul caso Orlandi
Per l'ex nunzio, il testo della prima telefonata dei rapitori di Emanuela Orlandi è nell'archivio della segreteria di Stato. E non è stato adeguatamente analizzato durante le indagini sul sequestro della ragazza nel 1983. Il legale della famiglia chiede spiegazioni.Una telefonata arrivò in Vaticano la sera stessa del rapimento di Emanuela Orlandi, la giovane cittadina vaticana di 15 anni scomparsa il 22 giugno del 1983 a Roma in circostanze mai chiarite. A rivelarlo è l'ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò, autore del memoriale pubblicato dalla Verità nell'estate 2018 sulla questione scandalo abusi nel clero e coperture ai massimi livelli della Chiesa.In un'intervista concessa al blog di Aldo Maria Valli, ex vaticanista di Rai 1, Viganò ricorda quei momenti di 36 anni fa quando lui, semplice monsignore, lavorava in segreteria di Stato, precisamente alle dipendenze dell'allora sostituto per gli affari generali, monsignor Eduardo Martinez Somalo. «Erano circa le 20, o forse più tardi», ricorda l'ex nunzio, «quando ricevetti una telefonata da padre Romeo Panciroli, allora direttore della sala stampa vaticana, il quale mi annunciò che era giunta, appunto alla sala stampa, una telefonata anonima che annunciava che Emanuela Orlandi era stata rapita». Di lì a poco Panciroli avrebbe inviato via fax il testo di quella telefonata proprio alla segreteria di Stato.«Purtroppo la memoria non mi assiste sul contenuto preciso di quel documento. Vi si affermava», prosegue Viganò, «che Emanuela Orlandi era detenuta da loro e che la sua liberazione era collegata a una richiesta, il cui adempimento non necessariamente dipendeva dalla volontà della Santa Sede. Si trattava di un messaggio formulato in termini precisi e ben costruito. Esso è indubbiamente reperibile nell'archivio della segreteria di Stato».A questo proposito Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, rivela che lo stesso Viganò aveva già riferito queste cose a lei «nella tarda primavera del 2018», ma aveva chiesto di mantenere l'anonimato. Comunque la Sgrò aveva ritenuto interessanti queste circostanze, al punto che, racconta a Valli in un'intervista, «in un incontro con le autorità vaticane - seppur mantenendo l'anonimato della fonte, come mi era stato richiesto - chiesi verbalmente di approfondire la circostanza della telefonata giunta la sera stessa del rapimento di Emanuela alla sala stampa vaticana e trasmessa, poi, in segreteria di Stato. Da quell'incontro è passato più di un anno e non credo sia stata fatta la verifica da me richiesta».Quindi, a un paio di ore dalla scomparsa di Emanuela (la giovane, infatti, era uscita intorno alle 19 da una scuola di musica in piazza Sant'Apollinare a Roma) arriva una telefonata alla Santa Sede che denuncia il rapimento. L'anonimo chiede di parlare con l'allora segretario di Stato, Agostino Casaroli, che però era in viaggio con Giovanni Paolo II in Polonia. «Se appena qualche ora dopo la sparizione di Emanuela», sottolinea la Sgrò, «i presunti rapitori chiedono di parlare con la segreteria di Stato allora è evidente che l'interlocutore è la Santa Sede e non la famiglia Orlandi». I parenti di Emanuela chiedono da tempo di avere accesso al fascicolo che sarebbe in segreteria di Stato. Peraltro, aggiunge ancora la Sgrò, si tratta «di una verifica ancora fattibile. Basta guardare l'Annuario pontificio del 1983 e si vedrà che alcune persone che lavoravano al tempo in segreteria di Stato sono ancora vive e con ruoli apicali. Perché non convocarle e chiedere loro lumi?». I nomi di chi lavorava in segreteria di Stato nel 1983 li fa anche Viganò che, tra gli altri, cita in modo particolare monsignor Pierluigi Celata, allora segretario personale del cardinale Casaroli, l'allora assessore e oggi cardinale Giovanni Battista Re e l'allora segretario personale del Papa e oggi cardinale, Stanislaw Dziwisz. Tutti e tre, a cui si può aggiungere il cardinale Leonardo Sandri, sono effettivamente convocabili per fornire elementi utili. L'ex nunzio ricorda anche di aver lui stesso risposto ad alcune telefonate di quello che la stampa ha sempre indicato come «l'amerikano», un interlocutore anonimo per cui fu anche realizzata una linea telefonica dedicata (numero 158), che chiedeva sempre di parlare con Casaroli; secondo Viganò però quello che veniva indicato come «l'amerikano» in realtà a lui pare avesse «inflessioni proprie dei maltesi».Secondo Aldo Maria Valli, interpellato dalla Verità, la telefonata arrivata in Vaticano pochissime ore dopo la scomparsa può indicare che «se l'interlocutore è subito la Santa Sede, cioè evidentemente significa che Emanuela è stata rapita solo per ottenere qualcosa dalla Santa Sede». L'ingarbugliata vicenda della scomparsa della Orlandi che ha tirato in ballo il Vaticano, i servizi segreti di diversi Paesi, l'attentato a Giovanni Paolo II, la banda della Magliana, potrebbe in effetti trovare il bandolo della matassa tra le sacre stanze. È verosimile ipotizzare, aggiunge ancora Valli, che «Emanuela possa essere stato oggetto di ricatto nei confronti della Santa Sede, strumentale ad avere o riavere qualcosa dal Vaticano».Le innumerevoli, e spesso fantasiose, ipotesi su come sono andate le cose per la scomparsa di Emanuela Orlandi passano dalla sua possibile morte in un festino pedofilo con il coinvolgimento di alti prelati, a quella del rapimento realizzato dalla banda della Magliana per recuperare i soldi investiti tramite lo Ior attraverso il Banco Ambrosiano, fino a chi la vorrebbe ancora in vita ricoverata in un manicomio inglese. Se nel 2017 l'allora sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu, disse: «Per noi il caso è chiuso», oggi sarebbe importante che qualcuno avesse il coraggio di riaprirlo e raccontare la storia di quella telefonata delle 20 circa che arrivò in Vaticano il 22 giugno 1983.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)